STRAGI E TERRORISMO E COMPLOTTISMO IN ITALIA DALLA DOPOGUERRA AL 1974

 
 
 – LA STRATEGIA DELLA TENSIONE FINO ALLO SCOPPIO DELLE BOMBE 
 
 - LE ORIGINI DELLA STRATEGIA DELLA TENSIONE 
 
 
La politica americana in italia dalla fine della guerra fredda alla nascita di Gladio 
 
 
E’  difficile  individuare  una  data  precisa  alla  quale  far  risalire  l’origine  della  c.d.  strategia  della  tensione. 
Sicuramente, questa data è molto più lontana di quanto non lo siano gli avvenimenti oggetto di questa relazione, la vera 
e propria strategia della tensione, con le stragi e gli omicidi quale elemento portante, e le congiure e i depistaggi anche 
ad  opera  da  apparati  dello  Stato,  come  corollario.  Si  vedrà,  più  oltre,  che  per  certi  versi  il  rapporto  può  essere 
rovesciato, essendo la parte operativa solo l’estrinsecazione di un ben più raffinato disegno. 
Di  certo,  è  necessario  tornare  indietro  di  molti  anni,  di  decenni,  quando  con  la  fine  della  seconda  guerra 
mondiale inizia lo scontro tra i due blocchi. L’Italia è per buona parte di questo periodo in prima fila come territorio di 
confine,  un  vero  e  proprio  “laboratorio”  nel  quale  sperimentare  le  diverse  strategie  che  Stati  Uniti  e,  diversamente,  Unione Sovietica applicheranno poi su scala planetaria.  Un  laboratorio  nel  quale  sono  cresciuti  elementi  che  vedremo  poi  “lavorare”  in  diversi  paesi,  con  i  medesimi  mezzi  e,  soprattutto,  con  i  medesimi  fini.  Ed  è  difficile  non  vedere  una  regia  unica  –  per  quanto  articolata  –  negli  episodi che in Occidente, dall’Europa al Sud America, hanno segnato questi 50 anni di dopoguerra. Per sintesi estrema, e volutamente limitando la nostra analisi al rapporto tra Usa e Italia, è possibile affermare che in questo mezzo secolo Washington ha ininterrottamente applicato la “dottrina Truman”, permanendo in una convinzione che, anno dopo anno, non trovava più nessun riscontro nella realtà. 
Non  conta  qui  vedere  gli  avvenimenti  successivi  alla  metà  degli  anni  ’70,  ma  non  può  tacersi  che  i  principali artefici della strategia della tensione – almeno sotto il profilo operativo – si ritroveranno, variamente combinati, attivi anche  nel  disegno  statunitense  di  controllo  del  sub  continente  americano.  Basti  qui  citare  il  caso  di  Stefano  Delle Chiaie, fondatore di Avanguardia  Nazionale,  e uomo alle dirette dipendenze del dittatore Pinochet  e del suo  “braccio armato”, la polizia segreta (la DINA) di Contreras, nella guerra a tutto campo contro gli oppositori della dittatura. E se questi governi affidavano operazioni delicate a un oscuro neofascista romano, evidentemente il personaggio godeva di credenziali molto alte, che facevano riferimento ad ambienti di intelligence internazionali. Con  questa  accezione  si  è  parlato  di  Italia  come  “laboratorio”  della  strategia  della  tensione,  essendo  stati sufficienti  i  soli  mutamenti  politici  ad  indurre  le  leadership  nordamericane  a  intervenire  pesantemente  negli  affari interni  del  nostro  paese,  mentre  l’11  settembre  1973,  gli  apparati  della  guerra  fredda  applicano  in  Cile  quanto  hanno sperimentato in Europa, e in particolare in Italia, dalla fine del secondo conflitto in poi. In ciò, paradossalmente, aiutati dall’Unione Sovietica, che fedele interprete degli accordi di Yalta, non ritenne di dovere – o di potere – riaprire fronti di scontro con gli USA per salvaguardare la democrazia di quei paesi che non ricadevano sotto la sua tutela. Certo,  l’ingerenza  negli  affari  interni  degli  altri  paesi  e  la  violazione  delle  norme  di  diritto  internazionale, necessitavano di una valida motivazione, che se l’URSS fornì fino alla demarcazione dei confini dei due blocchi, non poteva  certo  ritenersi  più  valida  una  volta  che  i  due  blocchi  si  erano  definitivamente  consolidati.  Di  più,  sotto  la medesima motivazione, venne coperto tutto quanto non risultava strategicamente utile alla conservazione del blocco di potere che ha governato il paese per quasi cinquant’anni, con un intreccio di interessi politici, economici e militari non facile da individuare. Per questo, il citato caso di Delle Chiaie non è che uno degli esempi dell’estensione della strategia della tensione,  e nella ricostruzione dei singoli episodi non sarà facile  individuare  le responsabilità proprio in virtù di una  incredibile  “globalizzazione”  del  fenomeno:  apparati  statali,  terroristi,  ambienti  politici,  massoneria,  lobby finanziarie  e servizi  segreti occidentali, ognuno con uno o  più ruoli (vedremo più oltre  le differenti posizioni), riuniti dall’unico comune denominatore dell’ “oltranzismo atlantico”. 
Che  in  Italia  non  si  sia  giunti  al  colpo  di  Stato  è  probabilmente  dovuto  a  due  fattori.  Per  un  verso  in  virtù  di quella civiltà europea di cui gli USA – potenza militare, economica e tecnologica – sentono ancora il fascino, e che non 
ha consentito di applicare metodi “sudamericani” per la risoluzione del problema comunista italiano. In secondo luogo, perché in Italia l’applicazione della teoria che “prevenire è meglio che curare” diede buoni frutti, e alla sinistra non fu 
mai  consentito  di  assumere  il  governo  del  paese,  risparmiando  e  sé  e  al  paese  le  certe  conseguenze  dell’involuzione della crisi.  Il mantenimento dello status quo, certamente, è costato non pochi morti, e qualche difficoltà è pur sorta nel corso di  un’ingerenza  quarantennale,  ma  il  peggio  è  sempre  stato  evitato.  E’  in  quel  motto,  già  di  Giolitti,  il  paradosso  di questa storia: aver camminato sul crinale di un continuo colpo di Stato senza che si sia mai realizzato, essendo evidente che bastava spaventare  certi  ambienti per  impedire che il  Pci  e, fino  a un  certo punto, il Psi assumessero un ruolo di governo del paese. 
Le  energie  investite  in  questa  operazione  sono  difficilmente  calcolabili,  e  probabilmente  superiori  a  quelle 
necessarie  per  un  golpe,  ma  il  risultato  è  stato  senza  dubbio  all’altezza  dell’investimento.  Il  governo  mondiale  degli USA è riuscito a portare un’Italia “democratica”, cioè anti-comunista, oltre la caduta del muro di Berlino. 
 

Le elezioni del 18 aprile 1948 e la nuova guerra contro la sinistra 

 
 
Questa  premessa  per  spiegare  la  difficoltà  di  individuare  la  data  di  partenza  della  strategia  USA  nei  confronti 
dell’Italia,  che  possiamo  fissare,  però,  a  prima  della  fine  della  seconda  guerra  mondiale,  quando  con  la  caduta  del fascismo  il  25  luglio  1943,  appare  chiaro  che  il  regime  ventennale  di  Mussolini  è  destinato  a  passare  la  mano,  e  che sullo scacchiere mondiale c’è ora un’altra grande potenza, l’Unione Sovietica di Stalin. 
E’ su queste basi che inizia la “guerra” americana all’Italia, non solo al Pci o alla sinistra, ma proprio all’intero 
paese, al quale si impedirà con ogni mezzo di decidere autonomamente da chi farsi governare. Impedire, a costo di una 
nuova guerra, che le sinistre possano – legittimamente e attraverso libere e democratiche elezioni – giungere al governo 
del paese, è l’obiettivo primario sul quale concentrare ogni sforzo. 
In  questa  guerra  al  comunismo,  agli  Stati  Uniti  non  mancano  certo  gli  alleati,  e  anche  tra  i  nemici  del  giorno prima  verranno  pescate  forze  utili  alla  crociata.  Intorno  agli  interessi  nordamericani  si  coagulano  immediatamente soggetti  diversi  e  lontani  per  storia  e  cultura,  cementati  solo  dall’obiettivo  finale:  evitare,  sempre  e  comunque,  una “deriva  comunista”  del  paese.  Così,  in  breve,  accanto  a  uomini  della  Cia  e  ai  militari  della  Nato,  troviamo  elementi dell’OVRA (la polizia politica di Mussolini), e settori della massoneria, le gerarchie del Vaticano, e parte di quella Dc che,  assieme  ai  comunisti,  aveva  dato  il  suo  contributo  alla  Resistenza  e  che  governava  il  paese;  la  massoneria americana  giocherà  una  parte  non  irrilevante,  come  la  giocheranno,  inevitabilmente,  buona  parte  delle  Forze  armate italiane e degli apparati adibiti  al  controllo dell’ordine pubblico.  Monarchici ed  ex fascisti1 saranno, di volta in volta, utilizzati  per  questo  disegno,  prima  che  la  strategia  passi  alla  fase  operativa  e  le  cellule  neofasciste  diventino  il  vero braccio armato dell’intera operazione. E i Servizi  americani non rinunciano neppure  a  coltivare buoni rapporti con  la mafia  fin  dall’immediato  dopoguerra,  in  quanto  questa,  “per  sua  natura  anticomunista,  è  uno  degli  elementi  su  cui poggia la Cia per tenere sotto controllo l’Italia”2. 
In  tale  coacervo  di  forze  e  di  attori,  salva  la  guida  del  governo  USA,  è  difficile  individuare  il  bandolo  della matassa e i veri responsabili di questa guerra, considerato anche che sul medesimo obiettivo finiranno per convergere esigenze  differenti,  come  dimostra  l’appello  che  De  Gasperi  rivolge  agli  Usa  affinché  trattengano  loro  truppe  in territorio  italiano  anche  dopo  la  fine  della  guerra.  Non  sarebbe  di  per  sé  una  richiesta  illegittima,  salvo  che  il  leader democristiano,  oltre  a  chiedere  ciò,  espressamente  sottolinea  la  necessità  che  il  suo  nome  non  venga  menzionato  in alcun  caso,  segno  di  come  la  segretezza  e  la  copertura  diventino  fin  da  subito  le  parole  chiave  di  questa  lunga operazione.  C’è  un’altra  parola  chiave  nella  storia  della  strategia,  o  meglio  una  dicotomia  sul  filo  della  quale  è  possibile leggere  tutta  questa  storia:  ortodossia/non-ortodossia,  che  può  essere  letta  in  una  duplice  veste.  Da  una  parte  si contrappongono l’ortodossia democristiana e la non ortodossia comunista rispetto ai valori atlantici; dall’altra, emerge inequivocabilmente  –  fino  alla  sua  ufficializzazione  al  Convegno  del  1965  al  Parco  dei  Principi  –  l’assoluta  non ortodossia di questa guerra. E non ortodossa, in questo caso, più che la posizione del Pci, è la volontà di De Gasperi di mantenere segreta la sua richiesta, esautorando il Parlamento, e non solo le sinistre, su una fondamentale decisione di politica estera. 
Similmente  non  può  certo  dirsi  ortodossa  la  presa  di  posizione  del  Vaticano,  che  dopo  aver  mantenuto  un 
atteggiamento  quantomeno  ambiguo  nei  confronti  del  fascismo,  dichiara  il  proprio  favore  “a  qualsiasi  intervento 
necessario da parte degli USA negli affari interni italiani”4, confondendo, in un tempo solo, il suo ruolo, il suo territorio 
(o,  meglio,  la  sua  extraterritorialità),  e  la  sua  missione,  e  -  oltrepassate  le  proprie  competenze  con  la  sua  diretta ingerenza – delegando a terzi un’ingerenza ulteriore più pesante. 
Sono i documenti ufficiali americani, tuttavia, a rendere chiaro il progetto anticomunista elaborato in quegli anni sulla scorta della c.d. “dottrina Truman”: guerra totale al comunismo, ortodossa nei confronti dell’URSS, non-ortodossa nei confronti di tutti quei paesi, in primis l’Italia, con una presenza comunista in grado di modificare equilibri non solo 
nazionali. Che queste forze fossero legittimate dal voto popolare, ottenuto peraltro in evidenti condizioni di difficoltà, perdurante l’ostracismo occidentale, è questione che, ai fini della loro guerra, non poteva interessare gli Stati Uniti.  E’  così  che  l’Italia  si  prepara  a  consolidare  le  difficili  conquiste  ottenute  con  la  sconfitta  del  fascismo. Contemporaneamente allo sviluppo economico ed industriale, infatti, la classe dirigente del paese, forse su input degli americani, certo con il loro appoggio, si predispone a una nuova crociata, questa volta nei confronti di una forza politica legittima e rappresentata in parlamento con un terzo dei voti del paese. 
 
1  La  fondazione  nel  1946  del  Msi,  che  si  richiamava  già  nel  nome  alla  Repubblica  di  Salò,  non  potè  certo  passare  inosservata negli Usa, e fu con ogni probabilità avallata dal governo statunitense proprio in funzione anti-comunista. 
2 Così ha dichiarato l’ex agente della Cia Victor Marchetti in un intervista al settimanale Panorama del 10.2.1076 
3 In un telegramma  al Dipartimento di Stato,  il 5 dicembre 1947 l’ambasciatore USA  in Italia espressamente riferisce 
che, “dato l’attuale clima politico, il signor De Gasperi chiede che non venga menzionato il suo nome per nessuna delel 
cose suddette”. In Us Foreign Relations, 1948, vol. III, pp. 736-737.  Alle elezioni del 1946 per l’Assemblea costituente, il Pci ebbe il 18,9% dei voti, il Psiup il 20,7%, e la Dc il 35,2%. Alle elezioni politiche del 18 aprile 1948, il Fronte popolare e democratico (Pci e Psi) ottenne il 31% dei voti e la Dc il 48,5%. Ma bisogna spostarsi  sul  terreno delle  scelte etiche6 per  comprendere come  il paese fosse spaccato in due. Da una parte  i comunisti (e  i socialisti, almeno fino  al 1956) e la fedeltà  all’Unione Sovietica di Stalin, dall’altra  i paesi filoatlantici,  legati  a  Washington  probabilmente  più  di  quanto  non  lo  fossero  le  sinistre  a  Mosca.  Ed  è  solo  con  il termine  “etico”  che  può  giustificarsi  tutto  ciò.  L’argomento,  infatti,  per  cui  l’adesione  agli  Usa  era  più  legittima  di quella  all’URSS,  è  notoriamente  fondata  sul  carattere  di  “potenza  amica”  dei  primi  e  di  “nemica  della  democrazia” dell’altra.  Ma,  pur  volendo  accettare  questa  linea  interpretativa,  appare  evidente  come  fosse  ipocrita,  se  non  falsa, questa  lettura. La  Russia sedeva nel  Consiglio di sicurezza dell’ONU, era una delle tre potenze artefici della sconfitta del  nazifascismo,  e  –  soprattutto  –  intratteneva  rapporti  diplomatici  e  commerciali  con  tutti  i  paesi  occidentali,  ivi compresi gli Stati Uniti e l’Italia. Soprattutto,  era  noto  come  l’esperienza  sovietica  non  fosse  applicabile  in  Italia,  che  –  in  base  agli  accordi  di Yalta  –  rientrava  nella  sfera  di  influenza  degli  americani.  Certo,  non  erano  mancati  fin  dall’immediato  dopoguerra esempi clamorosi di presa del potere da parte dei comunisti (nei c.d. paesi satelliti dell’URSS), ma è ben vero che quelle esperienze rientravano tragicamente nelle linee negoziate da Roosvelt, Churchill e Stalin, e  che nessuna delle potenze occidentali si sognò mai di intervenire in un territorio fuori dalla propria zona di influenza7. Proprio  la  centralità  dell’Italia  nello  scacchiere  mondiale,  con  una  possibilità  di  vigilanza  su  tutto  il 
Mediterraneo, ha fatto del nostro paese il “laboratorio” di cui si diceva. Lungi dal poter cadere sotto il dominio assoluto 
di  una  delle  due  grandi  potenze,  dal  1945  al  1990  (e  possiamo  individuare  nel  27  novembre  1990  –  data  dello 
scioglimento ufficiale di Gladio – la fine di questa storia), l’Italia è stato un paese a “sovranità limitata”, come è stato 
definito  con  felice  espressione,  dove  per  quarantacinque  anni,  gli  Stati  Uniti  hanno  determinato  le  scelte  di  politica interna e internazionale, le sue politiche economiche ed industriali, come quelle in materia sociale e sindacale. 
Conviene,  dunque,  provare  a  segnalare  come  fin  dall’inizio  delle  ostilità,  da  parte  statunitense  emergesse  con 
forza la necessità di contrastare con ogni mezzo il possibile successo elettorale della sinistra. 
 
L’Office of policy coordination e le armi nella campagna elettorale 
Siamo ancora nell’ambito del governo unitario – Dc, Pci, Psi – quando la Cia decreta  la nascita dell’Office of 
policy coordination (Opc) con lo scopo di aiutare “i movimenti clandestini anticomunisti sia con l’aiuto finanziario che 
militare”8,  e  il  risultato  di  questa  prima  operazione  si  avrà  di  lì  a  poco  con  l’estromissione  delle  sinistre  da  parte  del  Presidente  del  Consiglio  De  Gasperi.  Non  era  bastato,  evidentemente,  che  il  Pci  avesse  fornito  i  suoi  esponenti  più illustri all’esecutivo, né che Togliatti si fosse fatto promotore in prima persona della grande amnistia nei confronti dei militanti  fascisti.  Parimenti  vano  era  stato  l’impegno  democratico  delle  sinistre  nell’approvazione  della  Costituzione, con  i  comunisti  in  prima  fila  nel  sostenere  la  necessità  dell’unità  nazionale,  fino  al  voto  favorevole  –  costato  una lacerazione  interna  al  partito  e  alla  sinistra  –  sull’inclusione  dei  Patti  Lateranensi  nella  Carta  fondamentale  della nazione. 
La  macchina  americana  si  era  ormai  messa  in  moto,  e  nel  1948  i  proclami  anti-comunisti  diventano  azione,  e 
scatta il primo nei numerosi piani messi in opera dalla Casa Bianca per contrastare il possibile buon risultato elettorale 
della sinistra. E’ il famoso “piano X”: dieci milioni di dollari in armamenti per la campagna elettorale del 1948, a favore 
dei partiti di centro-destra, ma destinati in ultima analisi a “movimenti reazionari con caratteristiche anticomuniste”9. 
Lungi dal considerare sufficiente la propaganda e l’investimento economico, per le elezioni del 1948 dagli USA 
arrivano  dunque  in  Italia  le  armi,  destinate  a  tutti  coloro  che,  fuori  dalle  urne  elettorali,  intendono  continuare  la  loro battaglia  contro  la  sinistra.  Un  risultato  a  favore  del  Fronte  popolare  di  Pci  e  Psi  viene,  quindi,  preso  in  attenta considerazione,  ma  nessuno  sbocco  in  tal  senso  è  possibile,  come  afferma  anche  H.  S.  Hughes,  già  responsabile dell’Ufficio ricerche e analisi dell’OSS (Office of Strategic Service, poi divenuto Cia), secondo cui “alla fine di giugno del 1945 qualsiasi possibilità di una rivoluzione in Italia, seppure esisteva prima, era definitivamente perduta”10. Anche il sen. Cossiga, non ancora investito di cariche politiche di rilievo ricorda come ci si preparò a quel fatidico 18 aprile 1948: 6 "In molti anni l’atlantismo non è stata una scelta politica ma etica”. Cosi si è espresso il sen. Francesco Cossiga nel corso  della  sua  audizione  davanti  la  Commissione  parlamentare  d’inchiesta  sul  terrorismo  e  le  stragi  del  6  novembre 1997. Resoconto stenografico, p. 1169. 
7  Non  conta  qui  raccontare  la  storia  della  “svolta  di  Salerno”  con  la  quale  il  Pci  sancisce  ufficialmente  la  propria posizione  in  ordine  alla  impossibilità  di  importare  la  rivoluzione  comunista  in  Italia.  Ciò  che  è  noto  –  come  lo  era all’epoca – è che, con quel gesto, Togliatti schierò il partito e tutta la sinistra a fianco delle altre forze democratiche del paese con l’unico obiettivo di ricostruire  il paese dopo la rovina del fascismo,  e dargli una  Costituzione democratica, non certo comunista. E i primi ad avere la consapevolezza che il modello sovietico non fosse in alcun modo ripetibile in Italia erano proprio i comunisti, ma ciò è sempre stato negato, strumentalmente, da chi ha fondato la propria storia e la propria attività in chiave anticomunista.  
“In Sardegna noi eravamo armati […] con armi corte in parte fornite dalle Forze dell’ordine e in 
parte  acquistate  sul  libero  mercato.  Le  bombe  a  mano  ci  furono  fornite  dall’Arma  dei  carabinieri. 
L’addestramento  del  gruppo,  del  commando  di  cui  facevo  parte  venne  seguito  da  un  sottufficiale  della 
San Marco del Sud.[…] Nulla posso dire per scienza diretta del fatto che la parte avversa fosse armata”11. 
 
E’ facile ritenere che, in realtà, buona parte di queste armi facessero parte di quella abbondante partita arrivata da 
oltreoceano, ed è ancora più preoccupante che ai “ragazzi della Dc” le armi venissero fornite dalle Forze dell’ordine e 
dai  carabinieri.  Sarà  questa,  peraltro,  una  drammatica  consuetudine,  con  i  depositi  istituzionali  di  armi  e  munizioni  utilizzati come fonte di rifornimento da parte dei terroristi.12 La  testimonianza del sen.  Cossiga, tuttavia, non  è  la  sola a  suffragare  l’ipotesi che  le  armi di cui disponeva  le forze  vicine  alla  Dc  provenissero  dagli  ambienti  americani.  Con  la  costituzione  dei  Comitati  Civici  di  Luigi  Gedda, infatti, vennero parallelamente attivati numerosi militanti incaricati di distribuire le armi ai civili considerati vicini alle posizioni  della  Chiesa,  della  Dc  e  degli  americani.  Così  racconta  Vito  Talamini,  nel  1946  capo  squadra  alla  FIAT  di Padova e militante dell’Azione Cattolica: “Voglio ricordare che qualche mese prima dell’attentato a Togliatti fui chiamato da Gui, Lorenzi, Saggin, Riondato e don Piero Costa, assistente diocesano dell’Azione Cattolica.  Mi recai dunque presso il  Collegio  Barbarigo,  dopo  aver  giorni  prima  preso  accordi  con  i  predetti  a  casa  mia  circa  un  servizio speciale  e  segreto  –  concernente  una  serie  di  trasporti  di  materiale  di  armamento,  ufficialmente  da qualificare “macchine da scrivere” – che avrei dovuto effettuare nel giro di più mesi, così come feci. […] Trasportai  così  con  la  mia  vettura  Lancia  Augusta  e  sempre  di  sera:  bombe  a  mano  –  nostre  “balilla”, fucili modello 91, mitra, pistole. Per ogni viaggio trasportavo quattro pacchi che andavo consegnando ai singoli parroci o cappellani.  […] Io attingevo i pacchi dal cortile del Collegio Barbarigo con sede in via 
Rogati, retto all’epoca da un  Monsignore molto quotato. Il  Collegio dipendeva dalla  curia Vescovile di Padova.  […]  Sapevo  di  operare  per  conto  dei  Comitati  Civici  di  Padova,  i  quali  stavano  operando  un sistema di organizzazione anticomunista.”13 Proseguendo  nella  sua  deposizione  Talamini,  afferma  trattarsi  “di  materiale  aviolanciato  di  notte  durante  la guerra  dagli  alleati  in  zona  Arcella  di  Padova,  raccolto  da  frate  Stanislao  con  alcuni  giovani  e  indi  convogliato  al Collegio.”  Analogamente, l’ex sen. Uberto Breganze, all’epoca Presidente diocesano dell’Azione Cattolica, così testimonia davanti al G.I. Mastelloni: “Le armi dei partigiani bianchi furono custodite dagli stessi fino a quando gli organi centrali della Dc diedero direttive di  consegnarle alle Forze dell’Ordine.  Ciò avvenne dopo il 1948, dopo le  elezioni. Senz’altro all’uopo intervenne il Ministro dell’interno Scelba per il tramite dei Prefetti”14. Erano  quindi  certamente  i  c.d.  partigiani  bianchi  a  detenere  le  armi  ben  oltre  la  Liberazione.  A  distanza  di  tre  anni  dal  25  aprile  1945,  infatti,  elementi  civili  vicini,  e/o  appartenenti,  alla  Dc  sono  ancora  in  possesso  di  armi  e munizioni, nel caso le elezioni del 18 aprile 1948 non fossero andato nel verso auspicato dagli americani e dal Vaticano. 11 Audizione sen. F. Cossiga, cit. pag. 1130. E’ interessante notare che, sottolineando come l’addestramento fosse stato tenuto  “da  un  sottufficiale  della  San  Marco  del  Sud”,  il  sen.  Cossiga  aggiunga 
 “non  di  quella  di  Valerio  Borghese, anche  se  poi  la  storia  dovrà  chiarire  che  differenza  c’è”.  Sembra  di  capire  che  l’addestramento  avvenne,  quindi,  ad opera di una struttura non dissimile da quella del principe Borghese, il cui nome ricorrerà fin troppo nella storia della strategia della tensione in Italia. 
12 Durante il servizio militare, il capo dei NAR Valerio Fioravanti sottrae dalla polveriera della caserma “due casse di bombe a mano Srcm, 25 chili l’una”. (l’episodio è riportato da G. Bianconi, A mano armata, ed. L’Unità, p. 71). Sergio 
Minetto, agente Cia a Verona tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, procura a Gianfranco Bertoli le bombe a mano tipo “ananas” con le quali questi si eserciterà per eseguire la strage di Via Fatebenefratelli a Milano il 17 maggio 
1973 [sentenza-ordinanza 3.2.1998 del G.I. di Milano Salvini, p. 257]. Inquietante è stata la recente scoperta che per la 
strage  di  Via  Fani  del  16  marzo  1978  furono  utilizzati  anche  alcuni  proiettili  provenienti  “da  un  deposito  dell’Italia settentrionale”, molto probabilmente della Nato. Le successive indagini non hanno purtroppo consentito di risalire alla fonte  dell’informazione.  (cfr.  doc.  Cps).  Più  complessa  è  la  vicenda  del  deposito  della  Gladio  NASCO  di  Aurisina, scoperto casualmente dai Carabinieri il 24 febbraio 1972, e contenente armi ed esplosivo. Poiché dai differenti verbali risulterebbe come mancante un chilo e mezzo di esplosivo, il magistrato competente ha ipotizzato che il materiale possa essere  stato  utilizzato  per  compiere  gravi  attentati,  con  particolare  riferimento  alla  strage  di  Peteano  del  31  maggio 1972. Allo stato degli atti, tuttavia, tale circostanza non risulta confermata.  
13 Sentenza-ordinanza del G.I. di Venezia, Dr. C. Mastelloni, p. 3077-3078. 
14 Ibidem, p. 3082. Che questo fosse lo scopo, infatti, è abbondantemente documentato anche negli atti giudiziari cui si fa qui riferimento. Ancora  il  sen.  Breganze,  riferisce  che  “i  partigiani  avevano  conservato  delle  armi.  A  Vicenza  erano  parecchi  e l’armamento era custodito nelle case degli stessi partigiani bianchi. Nei giorni immediatamente precedenti al 18 aprile del 1948 vi era una grossa preoccupazione per una avanzata eventuale del fronte Popolare e perciò bisognava illuminare le coscienze sui pericoli della vittoria del Fronte e sull’utilità del successo delle forze democratiche”15. E’ da notare, per inciso, che l’indagine del Cons. Mastelloni origina da una curiosa denuncia sporta nel 1969 dal signor  Giuseppe  Falcone,  ufficiale  di  fanteria  in  congedo,  il  quale  affermò  che  tra  gli  oggetti  sottratti  dalla  sua abitazione  vi  era  anche  un  mitra  “Beretta”  che  egli  deteneva  dal  1948.  La  denuncia,  per  sé  non  particolarmente rilevante,  assume  importanza,  viceversa,  per  due  ordini  di  motivi.  Il  primo  è  la  motivazione  che  Falcone  adduce  per giustificare il possesso del mitra, che si ricollega a quanto ora esposto circa l’armamento in dotazione di militari e civili nel dopoguerra. Così espone Falcone nella sua denuncia:  
 
”Nell’anno 1948 in previsione delle elezioni politiche che si presentavano abbastanza difficoltose 
ebbi incarico, in qualità di comandante di Presidio di Sacile, dal Commando del V Comiliter di Udine, di 
armare  alcuni  civili  fidati  nella  zona  di  Sacile,  Vittorio  Veneto,  Valcellina  e  limitrofi,  di  un  certo 
quantitativo  di  armi.    Detti  armi  anche  all'attuale  Arcivescovo  di  Udine  -  Mons.  Zaffonato  -  allora 
Vescovo  di  Vittorio  Veneto.  Tutta  questa  zona  era  sotto  il  mio  controllo  diretto.  Ad  elezioni  ultimate  - 
prosegue Falcone - ritirai le armi e le versai alla Sezione Staccata di Artiglieria di Conegliano. Avevo con 
me e mi serviva nei diversi giri di ispezione un mitra “Beretta” con alcune cartucce. Detto mitra, al quale 
ero affezionato, ritenni di non versarlo e tenermelo in casa”.16 Tale ultima affermazione, peraltro, consente di prefigurare ulteriori ipotesi circa l’illegittimo possesso di armi e munizioni  da  parte  di  militari  e  civili  per  conto  di  un  partito  politico,  al  fine  di  contrastare  la  parte  avversa.  Che  un ufficiale di fanteria, si permetta di trattenere fino al 1969 – cioè fino al furto subito – il mitra Beretta in dotazione nel 1948,  solo  perché  vi  era  “affezionato”  appare  decisamente  poco  credibile,  e  la  circostanza  potrebbe,  viceversa, implicare che i gruppi filoatlantici abbiano continuato a detenere armi ben oltre lo svolgimento - e al di là dell’obiettivo - delle elezioni del 1948. 
 
A  segnalare,  in  ogni  caso,  la  rilevanza  dell’episodio,  contribuisce  il  rinvenimento  di  un  appunto  trasmesso  dal 
Ministro della Difesa Luigi Gui al Capo della Polizia nell’agosto 1969, con il quale vengono riportate le dichiarazioni di 
Falcone  relative  al  possesso  e  alla  detenzione  del  mitra  nel  periodo  1948-1969.  Non  è  compito  di  questa  relazione indagare sulle  modalità di  trasmissione della notizia, ma appare di  tutta evidenza che il  transito delle dichiarazioni di Falcone da un’anonima caserma dei Carabinieri di Conegliano Veneto (TV) al Ministro della Difesa e da questi al Capo della Polizia, non può non essere considerato come un evento eccezionale. A maggiore ragione, se di questa vicenda si interessano  i  vertici  della  sicurezza  nazionale  nell’agosto-settembre  del  1969,  quando  sono  già  scoppiate  le  prime bombe dimostrative e mancano solo tre mesi alla strage di Piazza Fontana. Che, dunque, nel corso del 1948, in chiara funzione anticomunista - e non certo antisovietica - gli americani si  adoperino per far avere ai propri fiduciari armi e munizioni, appare realtà acclarata, come accertato è il ruolo svolto dal Vaticano nella gestione, attraverso i suoi uomini più fidati, di questi gruppi armati. La costituzione dei Comitati Civici, infatti, rispondeva all’esigenza di poter liberamente operare in campo politico per contrastare un possibile – e, alla luce dei risultati del 1946, probabile – successo del Fronte Popolare delle sinistre. L’impedimento, per gli uomini di Pio XII, risiedeva  nelle  disposizioni  del  Concordato  del  1929  che,  tassativamente,  precludevano  all’Azione  Cattolica  la possibilità  di  svolgere  attività  e  propaganda  in  favore  dei  partiti  politici.  Con  il  sistematico  adeguamento  dei  propri strumenti alla realtà, il Vaticano dispone così la creazione di strutture “politiche”, nominalmente differenti dall’Azione Cattolica,  ma  in  tutto  e  per  tutto  coincidenti,  tanto  che  “fu  lo  stesso  Vaticano  a  sostenere  le  spese  per  la  nuova organizzazione e per  la conseguente propaganda” […] delegando sostanzialmente i vescovi per  la nomina dei singoli presidenti dei Comitati civici diocesani”17. L’organizzazione “O” e l’Armata italiana della libertà (Ail)  Questa  attività,  però,  sembra  potersi  definire  sostanzialmente  collaterale  a  quella  primaria,  posta  in  essere direttamente  dagli  Stati  Uniti.  E’  sulla  base  di  precise  direttive  del  National  Security  Council,  infatti,  che  le  strutture filoatlantiche  si  muovono  sul  fronte  italiano.  La  campagna  elettorale  del  ’48  viene  impostata  sulla  scorta  delle indicazioni  di  questo  organismo  (i  cui  documenti  sono  raccolti  nel  Foreign  Relations  of  the  United  States),  che  a quaranta  giorni  dalle  elezioni  così  si  esprime  per  giustificare  il  proprio  impegno  in  Italia:  “La  dimostrazione  di  una ferma  opposizione  degli  Stati  Uniti  al  comunismo  e  la  garanzia  di  un  effettivo  sostegno  degli  Stati  Uniti  potrebbe incoraggiare gli elementi non comunisti in Italia a fare un ultimo vigoroso sforzo anche a rischio di una guerra civile, per  prevenire  il  consolidarsi  di  un  controllo  comunista”.  E  proprio  per  scongiurare  il  pericolo  adombrato,  in  un successivo punto si dispone di “fornire ai clandestini anticomunisti assistenza finanziaria e militare”.18 Tutto ciò, sulla scorta del principio secondo cui il Pci non aveva legittimità alcuna a governare il paese,  anche  quando questo fosse accaduto per il tramite di una regolare vittoria elettorale. La direttiva NSC 1/3 dell’8 marzo 1948, da  questo  punto,  di  vista  è  illuminante,  in  quanto  viene  reso  esplicito  che  gli  “interessi  degli  Stati  Uniti  nell’area  del Mediterraneo, relativi ai problemi di sicurezza, risultano seriamente minacciati dalla possibilità che il Fronte Popolare, dominato  da  comunisti,  ottenga  una  partecipazione  al  Governo  attraverso  le  elezioni  nazionali  […]”.  E’  quindi necessario, secondo Washington, “nel caso in cui i comunisti italiani dovessero riuscire ad ottenere la guida del governo attraverso  sistemi  legali,  […]  prendere  delle  misure  immediate,  compreso  ciascun  tipo  di  misura  coercitiva,  per realizzare una mobilitazione limitata, […] fornire assistenza militare e finanziaria alla base anticomunista”19. E’ noto come le elezioni del 1948 videro trionfare la Democrazia Cristiana, ma il timore degli Usa doveva essere tale  che  lo  scampato  pericolo  li  indusse  a  rafforzare  il  sistema  di  “difesa”  sperimentato  in  quella  occasione. L’organizzazione “O”, da questo punto di vista,  è la progenitrice di quella  complessa struttura – non ancora del  tutto disvelata – che va sotto il nome di Gladio (S/B). La “O” prende il nome, ereditandone uomini e organizzazione, dalla formazione  partigiana  Osoppo,  sciolta  nel  giugno  1945,  ma  ricostituita  sei  mesi  dopo,  asseritamente  per  tutelare  i confini a fronte di episodi di violenza  alla frontiera con la  Jugoslavia. Secondo la Relazione sull’organizzazione “O”, redatta dal V Comando militare territoriale – Ufficio monografie – (14 dicembre 1954) già due mesi dopo la struttura può contare su 2130 uomini e creare al suo interno un “servizio informazioni, con compiti informativi interni e d’oltre confine”20.  Ridenominata  Volontari  difesa  Confini  Italiani  VIII,  l’organizzazione  viene  incaricata  dal  Comando  della divisione  Mantova  di  “Preparare  uno  studio  per  l’impiego  dei  volontari  nella  protezione  di  opere,  impianti  e comunicazioni in caso di grave perturbazione dell’ordine pubblico”21. 
Così, quella che era una formazione partigiana – non inserita nel circuito delle formazioni comuniste – diventa in 
breve,  prima  una  struttura  di  supporto  dell’esercito  per  il  controllo  delle  zone  di  confine,  poi  una  vera  e  propria organizzazione  clandestina  “costituita  da  elementi  sui  quali  si  poteva  fare  sicuro  affidamento”22.  L’affidamento,  per paradossale  che  possa  apparire,  sembra  però  configurarsi  come  un  espresso  rifiuto  della  legittimità  della  Repubblica nata il 2 giugno 1946,  tanto che  il signor Amelio Cuzzi, pur essendosi rifiutato di prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica,  e  per  questo  congedato  dall’esercito,  venne  contattato  dal  colonnello  Olivieri  per  far  parte dell’organizzazione. E’ con queste persone che le componenti filoatlantiche delle Ff.Aa italiane – certo prevalenti sulle altre – prestano il loro contributo alla ricostruzione del paese dopo la rovina della guerra. 
L’organizzazione, nel corso degli anni, assume connotati sempre più definiti in senso clandestino e occulto. Il 6 
aprile  del  1950,  sulla  base  di  direttive  dello  SME,  il  corpo  V.D.C.I.  VIII  viene  trasformato  in  una  organizzazione 
militare  segreta  alla  quale  fu  data  la  denominazione  di  “Organizzazione  O”.  Era  costituita,  a  quella  data,  da  256 
ufficiali,  496  sottufficiali,  5728  uomini  di  truppa,  al  comando  del  colonnello  Luigi  Olivieri.  Alla  fine  del  1956, 
l’organizzazione viene poi trasformata nella “Stella Alpina” che sarà una delle (cinque) articolazioni di Gladio. 
Lungi dall’essere una banale organizzazione di reduci o ex partigiani, la “O” rivestirà un ruolo fondamentale in 
questa strategia, com’è chiaramente dimostrato dalla sua dipendenza diretta dal Presidente del Consiglio, perlomeno nel periodo  1949-1950,  ed  avvalorato  ulteriormente  dall’interesse  che  gli  Stati  Uniti  manifestano  nel  1958  per  un  suo presunto (temuto) scioglimento.  A  rassicurare  il dominus  penseranno  i  vertici  dei  nostri  Servizi,  con  un  appunto  del  26  marzo  1958  dal  titolo “Risposta  ai  quesiti  del  Servizio  americano  riguardanti  il  programma  S/B”.  E’  bene  riportare  l’intero  passaggio  della risposta, per valutarne poi la reale portata. Scrivono, dunque, i nostri Servizi: 
 
“Il Servizio italiano ha sempre considerato che sarebbe stato un errore lasciare cadere nel nulla tali 
idealità  e  propositi  [degli  aderenti  alla  “O”]  (che  sarebbero  altrimenti  andati  delusi  e  perduti)  e,  perciò, 
quando a fine 1956 lo stato maggiore dell’esercito disponeva lo scioglimento della ”Osoppo”, il Servizio 
italiano  prendeva  a  suo  carico  l’organizzazione  e  ne  decideva  la  conservazione  e  la  ricostituzione.  Le 
nuove  basi  per  la  ricostituzione  dell’organizzazione  datano  dal  1°  ottobre  1957,  quando  esse  venivano 
così precisate: - denominazione: Stella Alpina - compiti: in tempo di pace: controllo e neutralizzazione dell’attività slavo-comunista in caso di conflitto e o insurrezione interna: antiguerriglia e antisabotaggio […]”23. A tali compiti, l’organizzazione “O” si preparava forte di “32 mortai da 81, 23 mortai da 45, 204 mitragliatrici, 
351  fucili  mitragliatori,  820  moschetti  automatici,  3.416  fucili,  371  fucili  esteri”24.  E’  da  notare,  peraltro,  che  la 
disponibilità di quasi 400 fucili di provenienza straniera, poteva giustificarsi solo con la clandestinità che caratterizzava 
la struttura. 
 
Parallelamente  alla  trasformazione  della  Osoppo,  i  vertici  istituzionali  del  paese  predispongono  un  piano/rete 
clandestino da attivare in caso di tentativi insurrezionali del Pci. E’ lo stesso Ministro dell’interno Scelba a rivelarlo in 
una  intervista,  dichiarando  che  “già  nei  primi  mesi  del  1948  era  stata  messa  a  punto  una  infrastruttura  capace  di  far  fronte  a  un  tentativo  insurrezionale  comunista.  L’intero  paese  era  stato  diviso  in  una  serie  di  grosse  circoscrizioni, ognuna delle quali comprendeva varie province, e alla loro testa era stato designato in maniera riservata […] una specie di  prefetto  regionale[…].  I  superprefetti  da  me  designati  avrebbero  assunto  gli  interi  poteri  dello  Stato  sapendo esattamente, in base ad un piano prestabilito, che cosa fare”25. 
Probabilmente  in relazione con questo piano è la costituzione dell’Armata italiana della  libertà (Ail) del  luglio 
1947, fondata dal colonnello Ettore Musco, già Capo di Stato maggiore alla data dell’armistizio, designato dagli alleati 
come capo dei Servizi italiani, e dal 1952 al vertice del Sifar. Secondo Faenza e Fini, in realtà il vero capo dell’Ail era 
il generale Sorice, ministro della guerra durante il governo Badoglio, ma è importante notare come il colonnello Musco 
sia  anche  il  responsabile  di  quel  “piano  X”,  di  cui  abbiamo  detto  più  sopra,  che  rappresenta  l’esordio  dell’ingerenza “armata”  degli  USA  in  Italia.  Secondo  il  reverendo  Frank  Gigliotti,  massone  statunitense  e  collaboratore  dei  servizi americani, proprio durante quel periodo “ci sono in Italia 50 generali che si stanno organizzando per un colpo di Stato. 
Sono  tutti  anticomunisti  e  sono  pronti  a  tutto”27.  Non  sembra,  quindi,  priva  di  fondamento  l’ipotesi  che  almeno  una parte  dell’Armata  italiana  della  libertà  coincida,  in  realtà,  con  la  struttura  predisposta  dal  Viminale  per  sostituire  i prefetti con uomini di sicura appartenenza atlantica. 
Che il riferimento dell’Ail fossero i Servizi americani è peraltro dimostrato, inequivocabilmente, dal fatto che tre mesi  dopo  la  sua  costituzione,  il  colonnello  Musco  deposita  presso  l’ambasciata  di  Via  Veneto  l’elenco  dello  stato maggiore  dell’organizzazione  (in  realtà,  nei  documenti  americani  il  vertice  dell’organizzazione  viene  denominato “Comitato  Centrale”,  ed  è  possibile  ipotizzare  che  il  riferimento  fosse  proprio  alla  più  tipica  delle  articolazioni  dei partiti comunisti). E’ questa una prassi - che si ripeterà quando verrà consegnato all’ambasciata statunitense un elenco degli appartenenti alla loggia P2 - che denota un indissolubile legame tra l’Ail e i rappresentanti di Washington in Italia, e probabilmente anche tra questi ultimi e il piano elaborato dal ministro Scelba. 
D’altra  parte,  che  i  responsabili  dei  ministeri  chiave  per  la  politica  filoatlantica  dell’Italia  fossero  in  stretto 
collegamento con gli apparati Usa è dato ormai acquisito, e ciò che preme evidenziare in questa sede sono, in realtà, le 
eventuali distorsioni che questo rapporto ha creato nella regolare attività politica e istituzionale del nostro paese. E una 
distorsione si ha certamente quando “attraverso contatti con prefetture e servizi segreti, il dipartimento dell’Esercito si 
preoccupa di sorvegliare personalità comuniste e socialiste” e i loro spostamenti in Italia e all’estero28. Che comunisti e 
socialisti  fossero  discriminati,  e  possibilmente  espulsi  dalla  pubblica  amministrazione,  lo  ha  raccontato  anche  il  sen. Cossiga29, ma appare evidente come il controllo degli spostamenti di parlamentari ed esponenti politici all’interno del loro  paese  non  può  non  rappresentare  una  palese  violazione  dei  diritti  e  delle  prerogative  sancite  dalla  nostra Costituzione. Ciò che appare grave, in ogni caso, è che le mine poste alle fondamenta della democrazia italiana vengono collocate dagli americani in totale accordo – se non su richiesta – proprio del governo italiano. 
Che questa fosse una necessità dettata dalla posizione filosovietica della sinistra italiana, trova peraltro la sua più 
clamorosa smentita proprio nei documenti americani. Una lettera del 13 febbraio 1952 al Dipartimento di Stato riferisce 
che “il Partito comunista […] prepara un’organizzazione segreta nell’eventualità che sia messo fuori legge. Due tipi di 
comitati  sono  stati  formati:  uno  di  natura  politica  e  l’altro  di  natura  paramilitare  per  l’organizzazione  di  formazioni partigiane  e  la  preparazione  della  guerriglia”30.  Con  ciò  si  può  probabilmente  porre  fine  alla  famosa  tesi  della pericolosità  del  Pci,  e  del  suo  ruolo  di  quinta  colonna  sovietica  all’interno  del  blocco  Nato.  Ancora  nel  1952,  il  Pci “prepara  un’organizzazione  segreta”  e  non  dispone,  quindi,  di  alcuna  struttura  di  questo  genere;  inoltre,  stando  alla fonte statunitense, la struttura  servirebbe  ai comunisti nell’eventualità di essere  messi fuori legge, e non ha, pertanto, alcuna  caratteristica  offensiva,  neppure  in  relazione  ai  canoni  della  guerra  fredda.  Piuttosto,  rivelandosi  sempre  più evidente l’ingerenza americana negli affari interni del nostro paese, il Pci inizia a organizzarsi nella sciagurata ipotesi che  possano  prevalere  i  settori  più  duri  dell’amministrazione  americana,  decisi  a  tutto  pur  di  impedire  alla  sinistra qualunque avvicinamento alla stanza dei bottoni. 
Ma  è  proprio  questa  la  strategia  della  Casa  Bianca.  Inventare  il  nemico,  aumentarne  sproporzionatamente  il 
pericolo  e  le  capacità,  intervenire  per  spezzarne  le  velleità.  Che  questo  pericolo  non  esista  realmente,  non  è 
preoccupazione americana, e sembra quasi che questo ruolo “creativo” sia affidato al governo italiano, sempre secondo 
procedure  sperimentate  e  uomini  di  sicura  affidabilità.  E’,  in  buona  sostanza,  il  semplice  meccanismo  della  strategia della tensione: creare i presupposti, falsificandoli, per legittimare la reazione. 
Negli  anni  ’50,  in  attesa  di  “tempi  migliori”,  l’oltranzismo  atlantico  si  esercita  e  arma  le  proprie  strutture  e  i 
propri  uomini.  Torneranno  utili  quando,  dalla  fase  teorica  e  preparativa,  si  passerà  a  quella  operativa,  inizieranno  gli scontri preorganizzati tra lavoratori e forze dell’ordine con l’ausilio dei provocatori, si infiltreranno uomini dello Stato nelle organizzazioni  eversive  con il compito di accelerarne  la deriva  in funzione reazionaria,  e scoppieranno infine  le prime bombe. 
 
L’Ufficio REI del Sifar, “Pace e Libertà” e l’attività di Edgrado Sogno 
Per adesso, agli anticomunisti sarà  sufficiente mantenere alta  l’attenzione e  cercare di sfruttare  la disponibilità 
americana verso tutto ciò che possa costituire un argine, purchessia, all’ipotesi di un governo comunista. Ed è utile, a tal 
fine, anche la strana associazione creata da Edgardo Sogno, in funzione anticomunista. A coltivare il contatto con “Pace 
e  Libertà”  è  una  struttura,  creata  all’interno  del  Sifar  all’inizio  degli  anni  ’50,  l’Ufficio  Relazioni  Economiche  e 
Industriali (Ufficio REI), gestito per anni dal maggiore Rocca. A costui, nonostante il suo rifiuto di prestare giuramento 
alla  Repubblica,  non  solo  fu  affidato  l’importante  settore  del  controspionaggio  industriale  e  del  controllo 
dell’esportazione  di  armamenti  e  materiale  strategico,  ma  fu  consentito,  altresì,  di  impiantare  all’interno  dell’Ufficio una particolare Sezione “Viaggiatori legali”, con il compito di raccogliere notizie e dati in funzione anticomunista. Tra le fonti che dovette ritenere di valore, Rocca perviene all’inizio del 1954 al contatto con gli uomini di “Pace e Libertà”, che un appunto del Capo del Sifar segnala come organizzazione “secondo alcune voci” “finanziata con fondi della Nato, secondo altri da una potenza straniera che potrebbe essere l’Inghilterra”31.  
In ogni caso, nel medesimo appunto si fa riferimento alla circostanza che l’organizzazione “sarebbe in possesso di schedari contemplanti i nominativi di tutti gli aderenti al PCI”, ed è, molto probabilmente, per questo che il Capo del Servizio,  gen.  Ettore  Musco,  in  un  appunto  del  giugno  1954  annota  di  averne  “parlato  con  il  Sig.  Ministro.  Egli  è favorevole ad uno ‘oculatissimo’ appoggio. Per i materiali degli archivi darò direttive verbali”. Dunque l’attività anticomunista di Sogno è ben conosciuta dai vertici dei servizi, e – stando agli stessi – anche dalle più alte cariche istituzionali del paese. In un appunto di poco precedente, infatti, viene riportato il contenuto di un colloquio con Edgardo Sogno, “le cui iniziative avrebbero riscosso l’adesione e l’appoggio del Presidente del consiglio Scelba, […] del Ministro Taviani, del Ministro degli Esteri.” Ma a dimostrazione che le iniziative di “Pace e Libertà” 
non  sono  svincolate  da  precise  indicazioni  di  carattere  Nato,  l’autore  dell’appunto  riferisce  che  “Sogno  avrebbe  fatto istituire  agli  Esteri  (egli  è  diplomatico  di  carriera)  un  Ufficio  per  il  coordinamento  della  guerra  psicologica  da  lui diretto”.  
La  conferma  di  quest’ultimo  importante  dato,  emergerà  molti  anni  dopo  da  una  lettera  che  lo  stesso  Sogno 
rivolge all’allora Ministro degli affari esteri Aldo Moro, nella quale l’ex partigiano lamenta il suo mancato avanzamento 
di  carriera.  Egli  sa  bene,  infatti,  che  la  mancata  progressione  nei  ruoli  della  Farnesina,  è  dovuta  al  suo  temporaneo distacco  presso  il  Ministero  dell’interno,  quando,  “nel  luglio  del  1953,  per  iniziativa  della  Presidenza  del  Consiglio (Governo Scelba) mi veniva nuovamente proposto un incarico di carattere eccezionale e riservato (organizzazione della difesa  psicologica  delle  istituzioni  democratiche),  in  ripresa  di  un’operazione  avviata  nel  1948  per  iniziativa  del Ministro Sforza nel quadro delle attività svolte in base al Piano Marshall”.  
Merita riportare il successivo brano della lettera a Moro, esplicativo del progetto gestito da Sogno, per poi trarne 
alcune considerazioni. “L’azione  svolta  per  il  tramite  del  Comitato  da  me  organizzato  ebbe  tre  fasi  principali:  in  un  periodo  (fino all’Ottobre  1954)  essa  si  concretò  nella  realizzazione  del  progetto  che  gli  onorevoli  De  Gasperi  e  Pella  avevano ripetutamente  sostenuto  in  Consiglio  Atlantico  e  consistente  nel  contrapporre  degli  organi  promotori  e  coordinatori della propaganda occidentale alla costante iniziativa campo sovietica nel campo dell’informazione. Nel secondo periodo (Ottobre  1954  –  Giugno  1955)  il  comitato  assolse  funzioni  specifiche  nel  quadro  dei  provvedimenti  adottati  dal Governo Scelba per la difesa delle istituzioni,  assumendo compiti di punta che non potevano essere affidati ad organi governativi.  Nel  terzo  periodo  (dopo  il  giugno  1955)  il  Comitato  ridusse  progressivamente  l’azione  esterna  per concentrarsi su compiti di carattere riservato sempre nel campo della difesa psicologica”. 
Edgardo Sogno, già a capo di una formazione partigiana autonoma e medaglia d’oro della Resistenza, è dunque l’uomo di punta del Governo per la predisposizione e il coordinamento degli strumenti di guerra psicologica contro le sinistre.  In  altra  parte  della  citata  lettera,  Sogno  ricorda  come  già  nel  1949  il  Ministro  dell’interno  Scelba  gli  avesse chiesto di partecipare in prima persona al progetto del Servizio di Difesa Civile (di cui si dirà poco oltre), in tal modo evidenziandone la forte valenza anticomunista. Tramontato quel progetto, il capo di “Pace e Libertà” rimane, però, una preziosa riserva per l’attività dell’oltranzismo atlantico, e proprio in questo ruolo viene utilizzato per la costituzione del Comitato di coordinamento della guerra psicologica. Ciò  che  assume  particolare  rilevanza,  tuttavia,  è  che  a  far  data  dall’ottobre  del  1954,  il  comitato  di  Sogno “assolse  funzioni  specifiche  nel  quadro  dei  provvedimenti  adottati  dal  Governo  Scelba  per  la  difesa  delle  istituzioni, assumendo  compiti  di  punta  che  non  potevano  essere  affidati  ad  organi  governativi”.  E  seppure  dal  documento  non emerge  quale  specifico  ruolo  abbia  assunto  Sogno,  è  di  per  sé  indicativo  che  al  Viminale  facessero  capo  attività “coperte” non delegabili a strutture governative. 
E’  altresì  significativo  che  Scelba,  rispondendo  alle  accuse  di  aver  creato  nel  1949  una  polizia  segreta 
anticomunista, replichi affermando di non aver inventato nulla, e ricordi come “i servizi della polizia che si occupavano 
della  prevenzione  dei  reati  contro  la  sicurezza  interna  […]  esistevano  quando  io  assunsi  la  carica  di  Ministro 
dell’interno ed erano stati riorganizzati dal capo della polizia35”. Che Sogno millanti credito con il Ministro degli esteri 
Moro  non  appare  credibile,  ed  è,  viceversa,  plausibile,  che  le  strutture  di  cui  Scelba  si  servì  per  contrastare  il 
comunismo  non  corrispondessero  appunto  alla  polizia  di  prevenzione,  ma  fossero  Uffici  o  Servizi  posti  fuori  dal 
controllo istituzionale. In  questa  linea  si  inserisce  il  progetto  per  la  costituzione  di  una  struttura  di  difesa/protezione  civile  voluta  dal Ministro  dell’interno  Scelba  nell’ottobre  195036.  A  dimostrazione  che  il  progetto  non  si  limitava  a  una  ridefinizione delle strutture di protezione civile, Scelba ricordò alla Camera come dopo i fatti di Corea nel mondo fosse intervenuto qualcosa di nuovo “che ha obbligato tutti i paesi pensosi della sicurezza all’interno e della difesa delle proprie frontiere ad organizzare anche la difesa civile […] considerato anche il modo in cui le guerre vengono oggi combattute”37. Vi è da considerare, peraltro, che una struttura con analoghi compiti era già stata attivata presso il Ministero dell’interno, con disposizione del Consiglio dei ministri, e il disegno di legge potrebbe essere stato, in realtà, il meccanismo per sancire ufficialmente l’esistente. Prassi, questa, come ricordato, ricorrente in molte delle vicende trattate in questa relazione. 
In questo senso sembra deponga anche Edgardo Sogno che, in una lettera al Ministro degli Esteri Sforza del 22 ottobre 1949 - un anno prima della presentazione del disegno di legge - , riferisce di aver ricevuto dal Ministro Scelba la proposta di assumere la carica di “capo del costituendo Servizio per la Difesa civile”. La peculiarità di questa iniziativa legislativa, in ogni caso, è rappresentata dall’essere l’unica tra quelle intraprese in chiave anticomunista a divenire pubblica e a passare attraverso l’esame del Parlamento. E non è certo per caso che il progetto scelbiano dal Parlamento non uscirà mai sotto forma di legge, opponendosi strenuamente le forze di sinistra. E’,  questa,  la  dimostrazione  dell’impossibilità  di  eliminare  dal  gioco  democratico  i  partiti  di  sinistra  se  non  con strumenti impropri per una democrazia; ma sarà anche, per i più oltranzisti, la dimostrazione della necessità di operare solo  tramite  cover  operations,  sempre  esautorando  il  Parlamento  e,  talvolta,  qualche  membro  dell’Esecutivo  ritenuto non affidabile.  
 
Le origini di Gladio e la politica esautorata 
Vedremo più avanti, ma è bene accennarlo fin da subito, la genesi della struttura Gladio/Stay Behind, della quale 
viene  tenuto  all’oscuro  il  Parlamento  e  che,  pur  portata  a  conoscenza  di  tutti  i  Presidenti  del  Consiglio,  non  verrà comunicata ai Presidenti Fanfani e Spadolini (quest’ultimo verrà “indottrinato” solo successivamente, quando assumerà la carica di Ministro della difesa nel 1° governo Craxi). La Commissione Stragi, nella prerelazione su Gladio, approvata il  20  giugno  1991,  sintetizzerà  il  problema  nei  seguenti  termini:  “Non  ci  può  essere  in  queste  cose  una  catena informativa che parta dal basso per raggiungere chi sta in alto. Il rapporto ‘controllore-controllato’ verrebbe sconvolto. […]  In  sostanza,  occorre  che  vi  sia  una  doppia  catena  informativa  ‘discendente’,  dal  responsabile  del  Governo  al Ministro  delegato;  ‘ascendente’  dal  responsabile  del  Servizio  al  Ministro  delegato  o  direttamente  al  Presidente  del Consiglio. Comunque non debbono mai essere i Servizi a decidere che cosa dire a chi”.
Furono, viceversa, settori delle Forze Armate e i vertici dei Servizi di sicurezza a decidere che cosa dire a chi, e 
a valutare, in totale indipendenza rispetto al potere legislativo ed esecutivo, la corrispondenza o meno dei programmi di 
Governo  con  le  linee  di  “politica  militare”  in  corso.  Senza  in  alcun  modo  voler  attribuire  a  Gladio  un  ruolo  finora 35 “Replica di Scelba a ‘Stampa Sera’, Il Popolo, 2 dicembre 1975. “Stampa Sera” del 1 dicembre 1975 aveva rivelato che tra le carte scoperte da R. Faenza e M. Fini negli archivi del Dipartimento di Stato USA, era emersa l’esistenza di una “polizia segreta anticomunista” creata da Scelba nel 1949. Disposizioni  per  la  protezione  della  popolazione  civile  in  caso  di  guerra  o  di  calamità  (difesa  civile), Camera dei Deputati, seduta pomeridiana del 8 maggio 1951. 
  Prerelazione  sull’inchiesta  condotta  dalla  Commissione  in  ordine  alle  vicende  connesse  all’operazione  Gladio,  Atti Cps, X Legislatura, Doc. XXIII, n. 36, pp. 51-52. Il corsivo è nel testo.  
indimostrato,  quanto  riportato  più  sopra  non  può,  tuttavia,  non  configurarsi  come  un  grave  attentato  al  corretto 
svilupparsi della dialettica istituzionale e politica. 
Per pura coincidenza, è lo stesso Amintore Fanfani che verrà tenuto all’oscuro dell’esistenza di Gladio, l’uomo incaricato di scrivere una pagina emblematica, buia e segreta, dei rapporti tra l’Italia e gli stati Uniti. Rispondendo il 1° 
giugno 1954 alle sollecitazioni dell’ambasciatrice Clare Boothe Luce, sulla posizione italiana in merito al ruolo del Pci, 
il neo segretario della Democrazia Cristiana riassume il programma del Governo Pella, un “programma anticomunista 
concreto”, nei seguenti termini: 
“1) attaccare l’apparato finanziario esterno del PCI con la costituzione di un’organizzazione statale che abbia il monopolio del commercio con i paesi orientali e quindi impedisca a gruppi paracomunisti di commerciare con i paesi d’oltrecortina; 2)  ridurre  la  capacità  finanziaria  interna  del  PCI  dando  istruzioni  alla  Banca  d’Italia  di  esercitare  il  proprio 
controllo sul sistema finanziario italiano in modo da strangolare le cooperative comuniste. (Fanfani ha detto che Pella ha già approvato questo piano e che il sottosegretario al budget Ferrari-Aggradi sta lavorando sui dettagli);  3) chiudere le sezioni del PCI negli edifici dell’ex partito fascista; 
4) limitare le attività sindacali che compromettono lo Stato”39. [il corsivo è nostro] Qualcuno, all’interno della Dc, propone addirittura di  mettere fuori  legge il partito comunista, ma  la proposta, avanzata  nel  corso  di  una  riunione  del  gruppo  parlamentare  non  trova,  fortunatamente,  il  consenso  necessario.  Forse perché il bando nei confronti del Pci sta per essere elaborato in forme meno rozze, anche se certamente più efficaci, con la ufficializzazione della struttura Gladio.  
Come emerge anche dalla corrispondenza del giornalista Indro Montanelli con l’ambasciatrice americana Booth 
Luce,  in  realtà  il  vero  obiettivo  della  politica  americana,  ancora  prima  della  predisposizione  di  Gladio  era  la  politica interna  del  Pci  e  delle  sinistre,  e  non  già  il  pericolo  di  invasione,  improbabile  considerando  lo  scrupolo  di  Mosca nell’applicazione  degli  accordi  di  Yalta.  In  una  lettera  del  6  maggio  1954  all’ambasciatrice,  Montanelli,  dopo  aver analizzato  il  momento  politico  successivo  alle  elezioni  del  1953,  evidenzia  la  debolezza  dell’attuale  assetto  di  potere democristiano, stigmatizzando l’atteggiamento di Scelba  che “se  alle prossime  elezioni un Fronte Popolare comunque costituito  raggiungesse  la  maggioranza  […]  consegnerebbe  il  potere,  e  sarebbe  la  fine  […]  si  arrenderebbe  per  totale impossibilità  di  compiere  un  colpo  di  Stato”.  La  minoranza  sana  del  paese,  prosegue  Montanelli  -  che  riferisce all’ambasciatrice i suoi colloqui con un gruppo di industriali anticomunisti - , è disarmata, non ha una guida, ma “questa minoranza esiste ancora e non è comunista. E’ l’unica nostra fortuna. Bisogna ricercarla individuo per individuo, darle una bandiera, una organizzazione terroristica e segreta”40. 
Una  organizzazione  terroristica  e  segreta,  questa  era  la  ricetta  del  mondo  industriale  italiano41,  probabilmente 
condivisa dagli USA, per contrastare il comunismo. 
Più recentemente,  Montanelli ha  specificato il senso dell’attività svolta in quel torno di  tempo in raccordo con 
l’ambasciatrice USA: “Se al potere fossero saliti, per libere elezioni, i comunisti, gli anglo-americani si sarebbero ritirati 
dalle nostre basi. Il pericolo che l’Italia correva era questo: interno, non esterno”42. E’ la conferma, da parte di chi visse 
quegli anni in stretto contatto con la rappresentanza statunitense in Italia, che il timore  atlantico non era rivolto a una 
possibile – ma abbiamo visto del tutto improbabile – invasione sovietica, bensì direttamente alla possibilità che Pci e Psi 
potessero vincere le elezioni e assumere la guida del paese.  
 
Con queste finalità, ma ovviamente con una prospettiva più ampia, a partire dal 1951 gli ambienti più ortodossi 
della  Nato  iniziano  a  coltivare  il  progetto  più  ambizioso:  una  rete  europea  finalizzata  alla  guerra  psicologica  contro  i comunisti, che costituirà poi l’ossatura della rete Stay Behind. Così, proprio mentre il Dipartimento dell’Esercito USA evidenzia come il Pci si organizzi in chiave difensiva (nel caso fosse messo fuori legge), e non abbia in animo, in realtà, alcun intento insurrezionale,  il  North Atlantic  Military Committee Standing Group, organismo creato all’interno della Nato  dalle  tre  potenze  alleate,  suggerisce  la  creazione  di  una  struttura  cui  affidare  la  responsabilità  esclusiva  delle attività della guerra non convenzionale43. Si scorge, in questo periodo, un meccanismo che sarà una costante di tutta la storia dei rapporti tra gli USA e l’Italia: la dilazione dei tempi e la formalizzazione ex post dei fatti. Originando, com’è naturale, oltreoceano tutte le iniziative tese al contrasto del comunismo, in Italia le direttive americane vengono recepite sempre con uno scarto temporale notevole (di diversi anni), e la loro ufficializzazione viene costantemente posticipata, a guisa  di  sanatoria.  In  tal  modo,  risulta  difficile  seguire  coerentemente  lo  svolgersi  dei  passaggi  che  portano  alla creazione  di  Gladio  e  alla  sua  formalizzazione,  all’applicazione  del  piano  Demagnetize,  e  all’attività  dello  Standing Group per la guerra psicologica e non ortodossa. 
Certo  è  che,  nell’ottobre  1951  il  comando  Nato  organizza  un  convegno  a  Parigi  –  Sicurezza  civile  e controspionaggio  in  tempo  di  pace  -  nel  corso  del  quale  viene  avanzata  la  proposta  di  creare  un  comitato  per  la pianificazione clandestina con lo scopo di coordinare le attività di Stay Behind in Europa. Quella che in Italia assumerà 
la denominazione di Gladio, infatti, è una struttura già presente in molti paesi europei, ed è molto probabilmente attiva anche  in  Italia,  anche  se  –  per  il  meccanismo  esposto  sopra  –  verrà  formalmente  costituito  solo  molti  anni  dopo.  E’ necessario,  quindi,  per  i  vertici  americani  e  per  la  Cia  coordinare  tutte  le  strutture  europee  finalizzate  al  medesimo obiettivo, e, in quest’ottica, sviluppare tutte le forme possibili di guerra non ortodossa nei confronti del comunismo. Che anche in Italia ci si muovesse secondo le medesime indicazioni emerge dal promemoria che il capo del Sifar, generale Umberto  Broccoli,  invia  l’8  ottobre  1951  al  Capo  di  Stato  maggiore  della  Difesa,  generale  Efisio  Marras.  Scrive Broccoli  che  “nell’attuale  relatività  di  forze  Nato  –  COMINFORM,  primo  dovere  del  Sifar  è  quello  di  prevedere,  in caso  di  conflitto,  l’occupazione  nemica  di  almeno  parte  del  territorio  nazionale  e  di  preorganizzare  il  servizio informazioni, il sabotaggio, la propaganda e la resistenza”. Più oltre, il generale mette in luce come in altri paesi europei già  esista  una  simile  organizzazione:  “in  Olanda  e  Belgio  (e  presumibilmente  anche  in  Danimarca  e  in  Norvegia) l’organizzazione può dirsi a punto”. Da  queste  premesse  nascerà  il  nucleo  dell’organizzazione  S/B  in  Italia,  le  cui  finalità,  benché  ampiamente analizzate,  mantengono  un  profilo  di  non  sicura  legittimità  costituzionale.  Due  ordini  di  fattori  inducono  a  questa considerazione. Il primo è che, pur a fronte di un pronunciamento della magistratura, rimane dubbia la legittimità di un organismo sorto sulla base di un accordo stipulato tra due Servizi non ufficialmente autonomi nei confronti del potere esecutivo e legislativo dei rispettivi paesi; e, per quanto non si conosca la genesi formale dell’istituzione di Stay Behind negli USA, certo è che in Italia tale struttura non passa mai al vaglio, né preventivo né ratificativo del Governo e del Parlamento.  Come  già  accennato,  i  Presidenti  del  Consiglio  e  i  Ministri  della  difesa  venivano  informati,  al  momento dell’assunzione  delle  funzioni,  dell’esistenza  di  una  rete  di  contrasto  nei  confronti  di  una  possibile  invasione  del territorio nazionale, ma tale prassi – perché solo di prassi può parlarsi, non evidenziandosi nessuna disposizione in tal senso  –  non  venne  sempre  rispettata,  tanto  che  dell’esistenza  di  Gladio  non  fu  informato  il  Presidente  del  Consiglio Amintore  Fanfani.  Non  sembra,  quindi,  eccessivo  sostenere  che  tale  apparato  sia  sorto  totalmente  al  di  fuori  della Costituzione, e inquietanti ombre non possono non vedersi anche per l’attività di Gladio nel corso degli anni. E’  il  secondo  ordine  di  fattori,  infatti,  che  induce  a  ritenere  la  non  corrispondenza  al  dettato  costituzionale  di tutta  la  rete  Stay  Behind,  nella  consapevolezza,  peraltro,  che  minacce  di  invasione  da  parte  di  potenziali  aggressori dell’Est  –  vale  a  dire  da  parte  dei  comunisti  –  era  terminata,  se  mai  vi  fu,  venticinque  anni  prima  la  scoperta dell’esistenza di Gladio, che venne resa nota all’opinione pubblica solo grazie alle indagini di un magistrato. E’ ormai  evidente  che  i gladiatori non potevano essere,  come ufficialmente sostenuto, solamente 622 (numero casualmente  coincidente  con  quello  degli 
 informatori  dell’OVRA),  e  si  esporranno  più  avanti  le  fondate  critiche  a questa  risibile  asserzione.  Il  vero  nocciolo  del  problema  risiede  nella  possibilità  –  in  parte  accertata,  e  in  parte  da accertare  –  che  numerosi  degli  appartenenti  a  Gladio  abbiano,  in  realtà,  assunto  compiti  e  compiuto  azioni  che  nulla hanno a che fare con  le finalità  “istituzionali”  che  la struttura prevedeva. Vi  è stato nel corso degli anni,  e con punte allarmanti nel periodo a cavallo tra i ’60 e i ’70, un’intensificarsi della attività dei gruppi di estrema destra che hanno trovato  ampia  copertura,  laddove  non  collusione,  di  apparati  dello  Stato,  e  segnatamente  proprio  di  quelle  strutture preposte al controllo e alla prevenzione dei fenomeni eversivi, come verrà evidenziato nei successivi capitoli dedicati ai singoli episodi della fase culminante della strategia della tensione. 
 
Il piano Demagnetize/Clydesdale
Tra  il  citato  Convegno  di  Parigi  del  1951  e  la  firma  dell’accordo  tra  Italia  e  USA  per  la  formalizzazione  di 
Gladio, si  inserisce un altro  capitolo della  strategia statunitense nei confronti delle  sinistre  europee, in particolare dei 
partiti comunisti di Italia e Francia. E’ il famoso Piano Demagnetize (che per la Francia assumerà il nome di  Cloven), 
con  il  quale  il  governo  americano,  d’intesa  con  quello  italiano,  intende  porre  un  definitivo  argine  ad  ogni  attività 
comunista nel paese. 
Il  piano  viene  approvato  il  21  febbraio  1952  dal  Psychological  Strategy  Board  (Pbs),  la  struttura  deputata  da Washington alla guerra psicologica, contestualmente alla creazione di un comitato - Lenap - composto da membri del dipartimento  di  Stato,  della  Difesa,  della  Cia  e  della  Mutual  Security  Agecy.  Un  ruolo  di  responsabilità  è  affidato all’Ambasciata americana di Roma, all’epoca retta da James Dunn, con funzioni di informazione, di coordinamento e di collegamento con il governo italiano. 
Come  in  altri  numerosi  episodi  relativi  all’ingerenza  americana  in  Italia,  anche  in  questo  vi  è  una  clausola segreta,  relativa  proprio  al  ruolo  giocato  all’interno  dal  nostro  governo.  Un  rapporto  del  16  luglio  dello  stesso  anno, segnalava,  infatti,  che  “l’ambasciatore  Bunker  ha  sottolineato  l’estrema  importanza  di  proteggere  il  suo  rapporto confidenziale con De Gasperi  su questo problema”45, e  sembra di rileggere  il medesimo copione del 1947, quando lo stesso  De  Gasperi  chiede  agli  alleati  di  non  far  trapelare  le  sue  richieste  di  mantenere  nel  mediterraneo  unità  navali USA46. La regolare frequentazione – ancorché in parte segreta – del Presidente del Consiglio italiano con gli americani, non doveva, in realtà aver del tutto fugato i dubbi circa il mantenimento di una politica rigidamente anticomunista nel nostro paese, ed è proprio per compensare questo declino di linea politica che gli americani stabilirono di adottare un piano speciale di contrasto ed emarginazione della sinistra in Italia. Situazione emblematica quella italiana, tanto da diventare per gli USA il terreno in cui sperimentare gli effetti e i risultati della guerra psicologica, passata alla fase operativa tra il giugno e il luglio del 1952, con il piano nel frattempo denominato Clydesdale. Le linee guida del piano, elaborate nel corso di una riunione del Comitato Lenap, prevedevano di dedicare particolare attenzione al blocco Pci-Cgil, individuata come l’asse portante del mantenimento di potere della sinistra  italiana.  Obiettivo  conseguente  doveva,  quindi,  essere  quello  di  “rompere  il  controllo  comunista  sulle organizzazioni sindacali”47, con corrispondente e favorevole attenzione nei confronti degli altri sindacati. Nel dettaglio, il Piano di guerra psicologica per la riduzione del comunismo in Italia, prevedeva due tipologie di azioni, le prime di carattere repressivo nei confronti del partito comunista e dei suoi affiliati, e le altre più dirette alla crescita economica e sociale del paese. Da parte sua, il governo di De Gasperi avrebbe dovuto “apportare revisioni alla legge elettorale per diminuire la rappresentanza  del  Pci  a  tutti  i  livelli  governativi,  […]  adottare  misure  legislative  e  amministrative  più  vigorose  per prosciugare le fonti di finanziamento del Pci  in Italia, specialmente quelle provenienti da accordi commerciali  con  le industrie sovietiche o con altri paesi satelliti, […] ridurre la vendita e la distribuzione di pubblicazioni sovietiche e del Cominform […], prendere misure legali contro tutti coloro che fossero coinvolti in movimenti illegali o nascondessero armi […], favorire i non comunisti nell’affitto di case realizzate con l’utilizzo di fondi lire”49. Più generalmente, il Piano prevedeva  un’azione  del  governo  italiano  tendente  a  eliminare  l’influenza  comunista  nei  campi  della  difesa,  della sicurezza  interna,  dell’informazione  e  dell’economia,  nonché  a  ridurre  la  presenza  dei  comunisti  all’interno  delle industrie statali. Con un duplice  e  convergente interesse,  agli Stati  Uniti veniva  lasciata mano libera per  la localizzazione delle basi  americane  e  alleate,  avendo  l’accortezza  di  estromettere  da  ogni  commessa  società  vicine  al  Pci  e  dalla partecipazione  ai  lavori  società  e  lavoratori  vicini  alle  formazioni  di  sinistra.  Laddove  fosse  stata  maggiore  e  più radicata la presenza di lavoratori comunisti, gli USA prevedevano anche l’applicazione di speciali contratti offshore, in base  ai  quali  le  aziende  che  avessero  voluto  ottenere  commesse  da  parte  di  società  americane  –  e  particolarmente  da quelle  di  Stato  –  avrebbero  dovuto  preventivamente  licenziare  gli  appartenenti  alle  cellule  comuniste  e  socialiste. 
Risulta che questo genere di contratto venne certamente applicato alle Officine Galileo, e scatenò la ovvia reazione del 
sindacato e dei partiti di sinistra, a testimonianza di un impegno costante in difesa dei lavoratori e dei diritti conquistati 
con la nascita della Repubblica. Negli  anni  successivi  (e  precisamente  il  1°  gennaio  1957),  presso  la  Caserma  Passalacqua  di  Verona  viene istituito  il Battaglione Guerra  Psicologica, che assume la denominazione di Reparto Guerra  Psicologica  e viene posto alla dipendenza del Comando Forze  Terrestri Alleate del Sud Europa (FTASE),  la struttura della Nato sovrintendente tutte le forze di terra del Patto Atlantico. Benché non esista documentazione sufficiente a dimostrare un coinvolgimento del Reparto G.P. nella guerra non ortodossa, il solo fatto che abbia operato per quasi quaranta anni, e direttamente alle dipendenze del Comando FTASE induce a ritenere che il Reparto possa aver funzionato con un ruolo di coordinamento di molte delle operazioni attivate dall’alleanza atlantica nei confronti dei comunisti, e l’ipotesi può ritenersi confermata anche da quanto scritto dal G.I. Mastelloni, nella sua ordinanza sentenza relativa ad ARGO 16: “Dalla deposizione del citato ufficiale [il gen. dell’esercito in ausiliaria Eugenio Cartechini] è emerso che il Battaglione di supporto psicologico aveva avuto origine all’inizio degli anni Cinquanta [e non già nel 1957] con sede allocata presso l’Ospedale militare di Verona  […]”50.  La  sua  dipendenza  dai  Servizi  militari  americani,  dai  quali  “dipendevano”  anche  noti  elementi neofascisti  come  Digilio  e  Soffiati,  induce  ulteriormente  a  ritenere  che  il  Battaglione  possa  aver  svolto  funzioni  non irrilevanti nell’ottica di quella “guerra senza confini” scatenata dagli Stati Uniti nei confronti dell’Italia. La polizia segreta del Ministero dell’interno e il “Gruppo De Nozza” 
Documentalmente accertata è, viceversa, la creazione di una speciale struttura presso il Ministero dell’interno tra 
la fine del 1958 e l’inizio del 1959, e di rilievo è anzitutto l’emergenza di un pesante scontro tra il Servizio delle Forze 
armate  –  il  Sifar  –  e  l’Ufficio  Affari  riservati  del  Viminale,  in  merito  al  nuovo  apparato  “occulto”  che  il  Ministro 
 E’ evidente, sotto questo profilo, come gli americani siano convinti  assertori dell’equazione comunismo  = povertà, 
tanto  da  ritenere  di  poter  debellare  il  primo  attenuando  la  seconda:  dovrebbe  forse,  in  altra  sede,  concentrarsi 
l’attenzione sugli enormi sforzi  economici sostenuti dagli  USA, non già  con  l’intento di promuovere  lo sviluppo  e  la 
ricostruzione dei paesi distrutti dalla guerra, bensì con il precipuo obiettivo di eliminare dalla scena politica un partito 
che  rappresentava  una  delle  due  ideologie/potenze,  uscite  vincitrici  dal  secondo  conflitto  bellico.  A  puro  titolo  di 
curiosità potrebbe, a tal fine, essere utile indagare anche sul capitolo di bilancio del Ministero dell’interno denominato 
“fondi UNRRA”. 49 Piano di guerra psicologica per la riduzione del comunismo in Italia, cit. in M. E. Guasconi, op. cit., p. 
50 Cfr. Ordinanza-sentenza G.I. Mastelloni, cit., p. 1337  dell’interno intende costituire sopprimendo i vecchi Uffici Vigilanza Stranieri già presenti presso ogni Questura. Tutto origina da una nota del 7 settembre 1958, con la quale il capo centro CS di Trieste informa il Capo dell’ufficio D del Sifar che il Questore del capoluogo giuliano Domenico De Nozza “viene nominato ispettore generale di p.s. e trasferito a  Roma  con  incarico  speciale  […],  destinato  a  sostituire  nell’incarico  l’ispettore  generale  di  p.s.  dott.  Barletta  [capo dell’Ufficio  Affari  riservati]”51.  Obiettivo  del  Ministro  dell’interno  Tambroni  è  la  costituzione  di  un  ufficio  centrale occulto che, sulla scorta del lavoro di De Nozza, sia in grado di effettuare una vera opera di contrasto nei confronti delle forze comuniste. 
In una nota dell’11 settembre, il capo centro CS di Trieste specifica la natura e il ruolo che il costituendo ufficio 
dovrà  avere:  “In  una  prima  fase  l’obiettivo  principale  dei  predetti  [i  dirigenti  e  i  funzionari  trasferiti  a  Roma]  dovrà essere la penetrazione nel p.c.i. – sia a Roma che nelle province – e la creazione di un nuovo tipo di schedario generale e provinciale, comprensivo dei dirigenti e degli attivisti più pericolosi. [...] Il funzionario [dal quale il capo centro CS assume le informazioni] ha fatto anche trapelare che all’iniziativa di rafforzare e riorganizzare l’ufficio A.R. non sono 
estranei gli  elementi del servizio  americano. […] Il predetto servizio per  tale intento ha messo  a disposizione  ingenti 
somme”. E’ una prima, seppure parziale, dimostrazione di come gli Stati Uniti partecipino attivamente alla costituzione di 
un organismo segreto costituito con funzioni espressamente anticomuniste. Di più, questa struttura appare configurata 
con funzioni anticostituzionali, avendo come sua applicazione primaria, “la penetrazione nel p.c.i.”, un’attività segreta e 
clandestina contro un partito legittimamente rappresentato al Parlamento. La  preoccupazione  del  Sifar,  tuttavia,  non  è  certo  in  questa  direzione,  condividendo  in  gran  parte  il  Servizio militare  i  medesimi  obiettivi  perseguiti  dal  Ministero  dell’interno.  La  preoccupazione  è,  viceversa,  quella  di  una invasione  di  campo  da  parte  del  Servizio  civile  che  va  riorganizzandosi  su  nuove  basi  e  con  uomini  espressamente addestrati a tale scopo. L’appunto del 6 dicembre 1958 proveniente dal centro CS di Napoli esprime chiaramente questo timore,  segnalando  che  “gli uffici vigilanza stranieri, ora  aboliti, si ricostituirebbero  in sedi occulte, fuori dell’ambito delle  Questure  per  assumere  un  ordinamento  funzionale  ed  organico  molto  simile  a  quello  dei  nostri  centri  c.s.”. L’Ufficio D del Sifar gira tre giorni dopo a tutti i centri CS la medesima informazione, riferendo della costituzione di “uffici al di fuori delle Questure e sotto copertura alla stregua dei Centri C.S. del Sifar”. La scelta del Viminale di conferire a De Nozza e ai suoi uomini – Beneforti, Corti e Mangano – un ruolo di tale rilievo è espresso riconoscimento dell’operato della Questura di  Trieste  in materia di  schedatura politica.  Secondo un appunto del 21 ottobre del ’58, il  Ministro e  il  Capo della  Polizia “sono rimasti particolarmente impressionati da due schedari loro mostrati dal dott. Beneforti e dott. Corti, rispettivamente per la parte politica e per gli stranieri, schedari che in effetti i due avevano ‘ereditato’ dalla polizia civile del già T.L.T. [Territorio libero di Trieste] che a sua volta li aveva così creati per ordine degli inglesi”54. L’efficienza degli uomini di De Nozza impressionò a tal punto i vertici del Viminale  che  dopo  la  visita  venne  data  disposizione  che  “tutti  i  questori  ed  i  funzionari  degli  uffici  politici  d’Italia seguissero un breve corso inf. [ormativo] presso la questura di Trieste”. 
E’ quindi in base a queste considerazioni che venne deciso di modellare il nuovo Ufficio politico centrale presso 
il  Ministero  dell’interno.  Schedari  efficienti,  determinazione  degli  uomini  –  ne  verranno  trasferiti  da  Trieste  a  Roma diverse  decine  –  e  assenza  di  scrupoli  nell’attività  di  infiltrazione  nei  confronti  della  sinistra,  che  –  dopo  la  presa  di posizione del Psi nel 1956 – si identifica unicamente nel Pci e nei suoi esponenti. 
L’organizzazione del nuovo Ufficio politico, che avviene con uno spostamento massiccio di uomini da Trieste, 
per i motivi suesposti, non sfugge peraltro agli stessi dirigenti del partito comunista,  che avvertono come il  Ministero 
dell’interno intenda proseguire la sua incredibile guerra contro la sinistra.  
Un altro aspetto inquietante è il ripetuto riferimento all’OVRA, citato nelle note inviate dai centri CS all’Ufficio 
D del Sifar. Il primo appunto nel quale compare un riferimento all’OVRA, è del centro di Bologna che riferisce come i 
nuovi uffici “assumeranno una fisionomia analoga alla disciolta OVRA”55, mentre il centro CS di Bari sostiene che la 
costituenda struttura dipenderebbe non più dalla Direzione  Affari riservati, bensì dalla Direzione Affari vari generali, 
proprio “per non avere il sapore di OVRA”, che doveva, con ogni evidenza, aleggiare in quegli ambienti. 
Da Bari giunge poi un’ulteriore conferma dell’indirizzo di attività che il Viminale intende dare a questa “polizia 
segreta”, nella quale “dovrebbe avere gran parte l’intercettazione: telefonica e postale”. E come peraltro già evidenziato, 
in questa attività un ruolo di primo piano è quello degli  americani  “che seguono da vicino  il lavoro del dr. De Nozze 
[sic]” e che proprio per le intercettazioni telefoniche “fornirebbero alcune attrezzature tecniche”56. 
Nei diversi rapporti che i centri CS inviano a Roma viene poi sottolineato – a riprova della rilevanza di questa 
struttura  –  che  i  funzionari  chiamati  a  Roma  a  farne  parte  godranno  per  un  intero  anno  dei  benefici  del  personale  in una  Nota  del  capo  centro  CS  di  Trieste  del  7  settembre  1958,  in  allegato  n.  43  alla  relazione  del  ROS  Carabinieri nell’ambito del procedimento penale contro G. Rognoni e altri del G.I. di Milano, dott. Guido Salvini. 
missione, e comunque successivamente di due terzi dell’indennità di missione, benché formalmente distaccati a presso 
gli Uffici del Viminale. Cercare  di  limitare  la  portata  di  una  tale  operazione  sembra  davvero  impresa  impossibile.  E’  fuor  di  dubbio, infatti, che l’organizzazione del nuovo Ufficio politico, con la soppressione in tutte le Questure degli Uffici di vigilanza stranieri (copertura di fatto degli uffici politici), doveva essere a conoscenza del Governo o quantomeno del Presidente del  Consiglio,  e  non  si  giustificherebbe  altrimenti  la  promozione  a  Ispettore  generale  di  p.s.  di  De  Nozza  e  la  sua collocazione  a  capo  della  Direzione  A.R.,  né  il  distacco  a  Roma  di  decine  di  funzionari,  né  tantomeno  il  contributo tecnico (e forse economico) degli USA per quanto riguarda le intercettazioni. 
Nell’omogeneità dei rapporti che dai centri CS giungono a Roma, stupisce tuttavia che il capo centro di Cagliari 
affermi  che  “l’ufficio  di  vigilanza  stranieri  […]  non  è  mai  esistito  in  nessuna  delle  Questure  della  Sardegna”  e  che conseguentemente  nulla  risulti  circa  una  “eventuale  organizzazione  nell’Isola  del  nuovo  servizio  su  basi  occulte”57. Sebbene non possa aversi conferma, è da ritenere che, con  ogni probabilità, in Sardegna non fossero mai stati attivati particolari Uffici politici in considerazione della presenza nell’isola di una struttura già abbondantemente funzionante, e con funzioni in parte analoghe, vale a dire la base di Capo Marrangiu presso la quale era dislocato il centro di Gladio. Si vedrà oltre, che Gladio, lungi dall’essere una solo uno strumento di carattere difensivo, si configura come vera e  propria  organizzazione  adibita  al  contrasto  di  ogni  mutamento  politico  e  istituzionale  a  favore  delle  sinistre.  Se  si considera, inoltre, che la Sardegna e la Sicilia erano considerate in ambito Nato come i due avamposti occidentali nel caso di un’invasione sovietica dell’Italia, a maggior ragione avrebbe dovuto esserci un Ufficio adibito al controllo dei soggetti  ritenuti  potenzialmente  pericolosi;  in  altre  parole,  non  era  immaginabile  che  la  Nato  pensasse  di  lanciare  la propria  controffensiva  da  luoghi  che  non  fossero  sotto  stretto  controllo  dell’Alleanza  occidentale.  Che  un  Ufficio politico –  con ruolo di spionaggio  e controllo degli  esponenti comunisti – non fosse stato impiantato quantomeno nel capoluogo,  si  giustifica  allora  solamente  con  la  presenza  in  Sardegna  di  una  struttura  ben  organizzata  e  funzionante come Gladio.  
 
 

 

inserito da domenico marigliano blogger

 

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