STRAGI E TERRORISMO E COMPLOTTISMO IN ITALIA DALLA DOPOGUERRA AL 1974
– LA STRATEGIA DELLA TENSIONE FINO ALLO SCOPPIO DELLE BOMBE
- LE ORIGINI DELLA STRATEGIA DELLA TENSIONE
La politica americana in italia dalla fine della guerra fredda alla nascita di Gladio
E’ difficile individuare una data precisa alla quale far risalire l’origine della c.d. strategia della tensione.
Sicuramente, questa data è molto più lontana di quanto non lo siano gli avvenimenti oggetto di questa relazione, la vera
e propria strategia della tensione, con le stragi e gli omicidi quale elemento portante, e le congiure e i depistaggi anche
ad opera da apparati dello Stato, come corollario. Si vedrà, più oltre, che per certi versi il rapporto può essere
rovesciato, essendo la parte operativa solo l’estrinsecazione di un ben più raffinato disegno.
Di certo, è necessario tornare indietro di molti anni, di decenni, quando con la fine della seconda guerra
mondiale inizia lo scontro tra i due blocchi. L’Italia è per buona parte di questo periodo in prima fila come territorio di
confine, un vero e proprio “laboratorio” nel quale sperimentare le diverse strategie che Stati Uniti e, diversamente, Unione Sovietica applicheranno poi su scala planetaria. Un laboratorio nel quale sono cresciuti elementi che vedremo poi “lavorare” in diversi paesi, con i medesimi mezzi e, soprattutto, con i medesimi fini. Ed è difficile non vedere una regia unica – per quanto articolata – negli episodi che in Occidente, dall’Europa al Sud America, hanno segnato questi 50 anni di dopoguerra. Per sintesi estrema, e volutamente limitando la nostra analisi al rapporto tra Usa e Italia, è possibile affermare che in questo mezzo secolo Washington ha ininterrottamente applicato la “dottrina Truman”, permanendo in una convinzione che, anno dopo anno, non trovava più nessun riscontro nella realtà. 

Non conta qui vedere gli avvenimenti successivi alla metà degli anni ’70, ma non può tacersi che i principali artefici della strategia della tensione – almeno sotto il profilo operativo – si ritroveranno, variamente combinati, attivi anche nel disegno statunitense di controllo del sub continente americano. Basti qui citare il caso di Stefano Delle Chiaie, fondatore di Avanguardia Nazionale, e uomo alle dirette dipendenze del dittatore Pinochet e del suo “braccio armato”, la polizia segreta (la DINA) di Contreras, nella guerra a tutto campo contro gli oppositori della dittatura. E se questi governi affidavano operazioni delicate a un oscuro neofascista romano, evidentemente il personaggio godeva di credenziali molto alte, che facevano riferimento ad ambienti di intelligence internazionali. Con questa accezione si è parlato di Italia come “laboratorio” della strategia della tensione, essendo stati sufficienti i soli mutamenti politici ad indurre le leadership nordamericane a intervenire pesantemente negli affari interni del nostro paese, mentre l’11 settembre 1973, gli apparati della guerra fredda applicano in Cile quanto hanno sperimentato in Europa, e in particolare in Italia, dalla fine del secondo conflitto in poi. In ciò, paradossalmente, aiutati dall’Unione Sovietica, che fedele interprete degli accordi di Yalta, non ritenne di dovere – o di potere – riaprire fronti di scontro con gli USA per salvaguardare la democrazia di quei paesi che non ricadevano sotto la sua tutela. Certo, l’ingerenza negli affari interni degli altri paesi e la violazione delle norme di diritto internazionale, necessitavano di una valida motivazione, che se l’URSS fornì fino alla demarcazione dei confini dei due blocchi, non poteva certo ritenersi più valida una volta che i due blocchi si erano definitivamente consolidati. Di più, sotto la medesima motivazione, venne coperto tutto quanto non risultava strategicamente utile alla conservazione del blocco di potere che ha governato il paese per quasi cinquant’anni, con un intreccio di interessi politici, economici e militari non facile da individuare. Per questo, il citato caso di Delle Chiaie non è che uno degli esempi dell’estensione della strategia della tensione, e nella ricostruzione dei singoli episodi non sarà facile individuare le responsabilità proprio in virtù di una incredibile “globalizzazione” del fenomeno: apparati statali, terroristi, ambienti politici, massoneria, lobby finanziarie e servizi segreti occidentali, ognuno con uno o più ruoli (vedremo più oltre le differenti posizioni), riuniti dall’unico comune denominatore dell’ “oltranzismo atlantico”.

Che in Italia non si sia giunti al colpo di Stato è probabilmente dovuto a due fattori. Per un verso in virtù di quella civiltà europea di cui gli USA – potenza militare, economica e tecnologica – sentono ancora il fascino, e che non
ha consentito di applicare metodi “sudamericani” per la risoluzione del problema comunista italiano. In secondo luogo, perché in Italia l’applicazione della teoria che “prevenire è meglio che curare” diede buoni frutti, e alla sinistra non fu
mai consentito di assumere il governo del paese, risparmiando e sé e al paese le certe conseguenze dell’involuzione della crisi. Il mantenimento dello status quo, certamente, è costato non pochi morti, e qualche difficoltà è pur sorta nel corso di un’ingerenza quarantennale, ma il peggio è sempre stato evitato. E’ in quel motto, già di Giolitti, il paradosso di questa storia: aver camminato sul crinale di un continuo colpo di Stato senza che si sia mai realizzato, essendo evidente che bastava spaventare certi ambienti per impedire che il Pci e, fino a un certo punto, il Psi assumessero un ruolo di governo del paese.
Le energie investite in questa operazione sono difficilmente calcolabili, e probabilmente superiori a quelle
necessarie per un golpe, ma il risultato è stato senza dubbio all’altezza dell’investimento. Il governo mondiale degli USA è riuscito a portare un’Italia “democratica”, cioè anti-comunista, oltre la caduta del muro di Berlino.
Le elezioni del 18 aprile 1948 e la nuova guerra contro la sinistra
Questa premessa per spiegare la difficoltà di individuare la data di partenza della strategia USA nei confronti
dell’Italia, che possiamo fissare, però, a prima della fine della seconda guerra mondiale, quando con la caduta del fascismo il 25 luglio 1943, appare chiaro che il regime ventennale di Mussolini è destinato a passare la mano, e che sullo scacchiere mondiale c’è ora un’altra grande potenza, l’Unione Sovietica di Stalin.
E’ su queste basi che inizia la “guerra” americana all’Italia, non solo al Pci o alla sinistra, ma proprio all’intero
paese, al quale si impedirà con ogni mezzo di decidere autonomamente da chi farsi governare. Impedire, a costo di una
nuova guerra, che le sinistre possano – legittimamente e attraverso libere e democratiche elezioni – giungere al governo
del paese, è l’obiettivo primario sul quale concentrare ogni sforzo. 

In questa guerra al comunismo, agli Stati Uniti non mancano certo gli alleati, e anche tra i nemici del giorno prima verranno pescate forze utili alla crociata. Intorno agli interessi nordamericani si coagulano immediatamente soggetti diversi e lontani per storia e cultura, cementati solo dall’obiettivo finale: evitare, sempre e comunque, una “deriva comunista” del paese. Così, in breve, accanto a uomini della Cia e ai militari della Nato, troviamo elementi dell’OVRA (la polizia politica di Mussolini), e settori della massoneria, le gerarchie del Vaticano, e parte di quella Dc che, assieme ai comunisti, aveva dato il suo contributo alla Resistenza e che governava il paese; la massoneria americana giocherà una parte non irrilevante, come la giocheranno, inevitabilmente, buona parte delle Forze armate italiane e degli apparati adibiti al controllo dell’ordine pubblico. Monarchici ed ex fascisti1 saranno, di volta in volta, utilizzati per questo disegno, prima che la strategia passi alla fase operativa e le cellule neofasciste diventino il vero braccio armato dell’intera operazione. E i Servizi americani non rinunciano neppure a coltivare buoni rapporti con la mafia fin dall’immediato dopoguerra, in quanto questa, “per sua natura anticomunista, è uno degli elementi su cui poggia la Cia per tenere sotto controllo l’Italia”2. 

In tale coacervo di forze e di attori, salva la guida del governo USA, è difficile individuare il bandolo della matassa e i veri responsabili di questa guerra, considerato anche che sul medesimo obiettivo finiranno per convergere esigenze differenti, come dimostra l’appello che De Gasperi rivolge agli Usa affinché trattengano loro truppe in territorio italiano anche dopo la fine della guerra. Non sarebbe di per sé una richiesta illegittima, salvo che il leader democristiano, oltre a chiedere ciò, espressamente sottolinea la necessità che il suo nome non venga menzionato in alcun caso, segno di come la segretezza e la copertura diventino fin da subito le parole chiave di questa lunga operazione. C’è un’altra parola chiave nella storia della strategia, o meglio una dicotomia sul filo della quale è possibile leggere tutta questa storia: ortodossia/non-ortodossia, che può essere letta in una duplice veste. Da una parte si contrappongono l’ortodossia democristiana e la non ortodossia comunista rispetto ai valori atlantici; dall’altra, emerge inequivocabilmente – fino alla sua ufficializzazione al Convegno del 1965 al Parco dei Principi – l’assoluta non ortodossia di questa guerra. E non ortodossa, in questo caso, più che la posizione del Pci, è la volontà di De Gasperi di mantenere segreta la sua richiesta, esautorando il Parlamento, e non solo le sinistre, su una fondamentale decisione di politica estera.
Similmente non può certo dirsi ortodossa la presa di posizione del Vaticano, che dopo aver mantenuto un
atteggiamento quantomeno ambiguo nei confronti del fascismo, dichiara il proprio favore “a qualsiasi intervento
necessario da parte degli USA negli affari interni italiani”4, confondendo, in un tempo solo, il suo ruolo, il suo territorio
(o, meglio, la sua extraterritorialità), e la sua missione, e - oltrepassate le proprie competenze con la sua diretta ingerenza – delegando a terzi un’ingerenza ulteriore più pesante. 

Sono i documenti ufficiali americani, tuttavia, a rendere chiaro il progetto anticomunista elaborato in quegli anni sulla scorta della c.d. “dottrina Truman”: guerra totale al comunismo, ortodossa nei confronti dell’URSS, non-ortodossa nei confronti di tutti quei paesi, in primis l’Italia, con una presenza comunista in grado di modificare equilibri non solo
nazionali. Che queste forze fossero legittimate dal voto popolare, ottenuto peraltro in evidenti condizioni di difficoltà, perdurante l’ostracismo occidentale, è questione che, ai fini della loro guerra, non poteva interessare gli Stati Uniti. E’ così che l’Italia si prepara a consolidare le difficili conquiste ottenute con la sconfitta del fascismo. Contemporaneamente allo sviluppo economico ed industriale, infatti, la classe dirigente del paese, forse su input degli americani, certo con il loro appoggio, si predispone a una nuova crociata, questa volta nei confronti di una forza politica legittima e rappresentata in parlamento con un terzo dei voti del paese.

1 La fondazione nel 1946 del Msi, che si richiamava già nel nome alla Repubblica di Salò, non potè certo passare inosservata negli Usa, e fu con ogni probabilità avallata dal governo statunitense proprio in funzione anti-comunista.
2 Così ha dichiarato l’ex agente della Cia Victor Marchetti in un intervista al settimanale Panorama del 10.2.1076
3 In un telegramma al Dipartimento di Stato, il 5 dicembre 1947 l’ambasciatore USA in Italia espressamente riferisce
che, “dato l’attuale clima politico, il signor De Gasperi chiede che non venga menzionato il suo nome per nessuna delel
cose suddette”. In Us Foreign Relations, 1948, vol. III, pp. 736-737. Alle elezioni del 1946 per l’Assemblea costituente, il Pci ebbe il 18,9% dei voti, il Psiup il 20,7%, e la Dc il 35,2%. Alle elezioni politiche del 18 aprile 1948, il Fronte popolare e
democratico (Pci e Psi) ottenne il 31% dei voti e la Dc il 48,5%. Ma bisogna spostarsi sul terreno delle scelte etiche6 per comprendere come il paese fosse spaccato in due. Da una parte i comunisti (e i socialisti, almeno fino al 1956) e la fedeltà all’Unione Sovietica di Stalin, dall’altra i paesi filoatlantici, legati a Washington probabilmente più di quanto non lo fossero le sinistre a Mosca. Ed è solo con il termine “etico” che può giustificarsi tutto ciò. L’argomento, infatti, per cui l’adesione agli Usa era più legittima di quella all’URSS, è notoriamente fondata sul carattere di “potenza amica” dei primi e di “nemica della democrazia” dell’altra. Ma, pur volendo accettare questa linea interpretativa, appare evidente come fosse ipocrita, se non falsa, questa lettura. La Russia sedeva nel Consiglio di sicurezza dell’ONU, era una delle tre potenze artefici della sconfitta del nazifascismo, e – soprattutto – intratteneva rapporti diplomatici e commerciali con tutti i paesi occidentali, ivi compresi gli Stati Uniti e l’Italia. Soprattutto, era noto come l’esperienza sovietica non fosse applicabile in Italia, che – in base agli accordi di Yalta – rientrava nella sfera di influenza degli americani. Certo, non erano mancati fin dall’immediato dopoguerra esempi clamorosi di presa del potere da parte dei comunisti (nei c.d. paesi satelliti dell’URSS), ma è ben vero che quelle esperienze rientravano tragicamente nelle linee negoziate da Roosvelt, Churchill e Stalin, e che nessuna delle potenze occidentali si sognò mai di intervenire in un territorio fuori dalla propria zona di influenza7. Proprio la centralità dell’Italia nello scacchiere mondiale, con una possibilità di vigilanza su tutto il

Mediterraneo, ha fatto del nostro paese il “laboratorio” di cui si diceva. Lungi dal poter cadere sotto il dominio assoluto
di una delle due grandi potenze, dal 1945 al 1990 (e possiamo individuare nel 27 novembre 1990 – data dello
scioglimento ufficiale di Gladio – la fine di questa storia), l’Italia è stato un paese a “sovranità limitata”, come è stato
definito con felice espressione, dove per quarantacinque anni, gli Stati Uniti hanno determinato le scelte di politica interna e internazionale, le sue politiche economiche ed industriali, come quelle in materia sociale e sindacale.
Conviene, dunque, provare a segnalare come fin dall’inizio delle ostilità, da parte statunitense emergesse con
forza la necessità di contrastare con ogni mezzo il possibile successo elettorale della sinistra.
L’Office of policy coordination e le armi nella campagna elettorale 

Siamo ancora nell’ambito del governo unitario – Dc, Pci, Psi – quando la Cia decreta la nascita dell’Office of
policy coordination (Opc) con lo scopo di aiutare “i movimenti clandestini anticomunisti sia con l’aiuto finanziario che
militare”8, e il risultato di questa prima operazione si avrà di lì a poco con l’estromissione delle sinistre da parte del Presidente del Consiglio De Gasperi. Non era bastato, evidentemente, che il Pci avesse fornito i suoi esponenti più illustri all’esecutivo, né che Togliatti si fosse fatto promotore in prima persona della grande amnistia nei confronti dei militanti fascisti. Parimenti vano era stato l’impegno democratico delle sinistre nell’approvazione della Costituzione, con i comunisti in prima fila nel sostenere la necessità dell’unità nazionale, fino al voto favorevole – costato una lacerazione interna al partito e alla sinistra – sull’inclusione dei Patti Lateranensi nella Carta fondamentale della nazione.
La macchina americana si era ormai messa in moto, e nel 1948 i proclami anti-comunisti diventano azione, e
scatta il primo nei numerosi piani messi in opera dalla Casa Bianca per contrastare il possibile buon risultato elettorale
della sinistra. E’ il famoso “piano X”: dieci milioni di dollari in armamenti per la campagna elettorale del 1948, a favore
dei partiti di centro-destra, ma destinati in ultima analisi a “movimenti reazionari con caratteristiche anticomuniste”9.
Lungi dal considerare sufficiente la propaganda e l’investimento economico, per le elezioni del 1948 dagli USA
arrivano dunque in Italia le armi, destinate a tutti coloro che, fuori dalle urne elettorali, intendono continuare la loro battaglia contro la sinistra. Un risultato a favore del Fronte popolare di Pci e Psi viene, quindi, preso in attenta considerazione, ma nessuno sbocco in tal senso è possibile, come afferma anche H. S. Hughes, già responsabile dell’Ufficio ricerche e analisi dell’OSS (Office of Strategic Service, poi divenuto Cia),
secondo cui “alla fine di giugno del 1945 qualsiasi possibilità di una rivoluzione in Italia, seppure esisteva prima, era definitivamente perduta”10. Anche il sen. Cossiga, non ancora investito di cariche politiche di rilievo ricorda come ci si preparò a quel fatidico 18 aprile 1948: 6 "In molti anni l’atlantismo non è stata una scelta politica ma etica”. Cosi si è espresso il sen. Francesco Cossiga nel corso della sua audizione davanti la Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo e le stragi del 6 novembre 1997. Resoconto stenografico, p. 1169.

7 Non conta qui raccontare la storia della “svolta di Salerno” con la quale il Pci sancisce ufficialmente la
propria posizione in ordine alla impossibilità di importare la rivoluzione comunista in Italia. Ciò che è noto – come lo era all’epoca – è che, con quel gesto, Togliatti schierò il partito e tutta la sinistra a fianco delle altre forze democratiche del paese con l’unico obiettivo di ricostruire il paese dopo la rovina del fascismo, e dargli una Costituzione democratica, non certo comunista. E i primi ad avere la consapevolezza che il modello sovietico non fosse in alcun modo ripetibile in Italia erano proprio i comunisti, ma ciò è sempre stato negato, strumentalmente, da chi ha fondato la propria storia e la propria attività in chiave anticomunista.
“In Sardegna noi eravamo armati […] con armi corte in parte fornite dalle Forze dell’ordine e in
parte acquistate sul libero mercato. Le bombe a mano ci furono fornite dall’Arma dei carabinieri.
L’addestramento del gruppo, del commando di cui facevo parte venne seguito da un sottufficiale della
San Marco del Sud.[…] Nulla posso dire per scienza diretta del fatto che la parte avversa fosse armata”11.
E’ facile ritenere che, in realtà, buona parte di queste armi facessero parte di quella abbondante partita arrivata da
oltreoceano, ed è ancora più preoccupante che ai “ragazzi della Dc” le armi venissero fornite dalle Forze dell’ordine e
dai carabinieri. Sarà questa, peraltro, una drammatica consuetudine, con i depositi istituzionali di armi e munizioni utilizzati come fonte di rifornimento da parte dei terroristi.12 La testimonianza del sen. Cossiga, tuttavia, non è la sola a suffragare l’ipotesi che le armi di cui disponeva le forze vicine alla Dc provenissero dagli ambienti americani. Con la costituzione dei Comitati Civici di Luigi Gedda, infatti, vennero parallelamente attivati numerosi militanti incaricati di distribuire le armi ai civili considerati vicini alle posizioni della Chiesa, della Dc e degli americani. Così racconta Vito Talamini, nel 1946 capo squadra alla FIAT di Padova e militante dell’Azione Cattolica: “Voglio ricordare che qualche mese prima dell’attentato a Togliatti fui chiamato da Gui, Lorenzi, Saggin, Riondato e don Piero Costa, assistente diocesano dell’Azione Cattolica. Mi recai dunque presso il Collegio Barbarigo, dopo aver giorni prima preso accordi con i predetti a casa mia circa un servizio speciale e segreto – concernente una serie di trasporti di materiale di armamento, ufficialmente da qualificare “macchine da scrivere” – che avrei dovuto effettuare nel giro di più mesi, così come feci. […] Trasportai così con la mia vettura Lancia Augusta e sempre di sera: bombe a mano – nostre “balilla”, fucili modello 91, mitra, pistole. Per ogni viaggio trasportavo quattro pacchi che andavo consegnando ai singoli parroci o cappellani. […] Io attingevo i pacchi dal cortile del Collegio Barbarigo con sede in via
Rogati, retto all’epoca da un Monsignore molto quotato. Il Collegio dipendeva dalla curia Vescovile di Padova. […] Sapevo di operare per conto dei Comitati Civici di Padova, i quali stavano operando un sistema di organizzazione anticomunista.”13 Proseguendo nella sua deposizione Talamini, afferma trattarsi “di materiale aviolanciato di notte durante la guerra dagli alleati in zona Arcella di Padova, raccolto da frate Stanislao con alcuni giovani e indi convogliato al Collegio.” Analogamente, l’ex sen. Uberto Breganze, all’epoca Presidente diocesano dell’Azione Cattolica, così testimonia davanti al G.I. Mastelloni: “Le armi dei partigiani bianchi furono custodite dagli stessi fino a quando gli organi centrali della Dc diedero direttive di consegnarle alle Forze dell’Ordine. Ciò avvenne dopo il 1948, dopo le elezioni. Senz’altro all’uopo intervenne il Ministro dell’interno Scelba per il tramite dei Prefetti”14. Erano quindi certamente i c.d. partigiani bianchi a detenere le armi ben oltre la Liberazione. A distanza di tre anni dal 25 aprile 1945, infatti, elementi civili vicini, e/o appartenenti, alla Dc sono ancora in possesso di armi e munizioni, nel caso le elezioni del 18 aprile 1948 non fossero andato nel verso auspicato dagli americani e dal Vaticano. 11 Audizione sen. F. Cossiga, cit. pag. 1130. E’ interessante notare che, sottolineando come l’addestramento fosse stato tenuto “da un sottufficiale della San Marco del Sud”, il sen. Cossiga aggiunga

12 Durante il servizio militare, il capo dei NAR Valerio Fioravanti sottrae dalla polveriera della caserma “due casse di bombe a mano Srcm, 25 chili l’una”. (l’episodio è riportato da G. Bianconi, A mano armata, ed. L’Unità, p. 71). Sergio
Minetto, agente Cia a Verona tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, procura a Gianfranco Bertoli le bombe a mano tipo “ananas” con le quali questi si eserciterà per eseguire la strage di Via Fatebenefratelli a Milano il 17 maggio
1973 [sentenza-ordinanza 3.2.1998 del G.I. di Milano Salvini, p. 257]. Inquietante è stata la recente scoperta che per la
strage di Via Fani del 16 marzo 1978 furono utilizzati anche alcuni proiettili provenienti “da un deposito dell’Italia settentrionale”, molto probabilmente della Nato. Le successive indagini non hanno purtroppo consentito di risalire alla fonte dell’informazione. (cfr. doc. Cps). Più complessa è la vicenda del deposito della Gladio NASCO di Aurisina, scoperto casualmente dai Carabinieri il 24 febbraio 1972, e contenente armi ed esplosivo. Poiché dai differenti verbali risulterebbe come mancante un chilo e mezzo di esplosivo, il magistrato competente ha ipotizzato che il materiale possa essere stato utilizzato per compiere gravi attentati, con particolare riferimento alla strage di Peteano del 31 maggio 1972. Allo stato degli atti, tuttavia, tale circostanza non risulta confermata.
13 Sentenza-ordinanza del G.I. di Venezia, Dr. C. Mastelloni, p. 3077-3078. 
14 Ibidem, p. 3082. Che questo fosse lo scopo, infatti, è abbondantemente documentato anche negli atti giudiziari cui si fa qui riferimento. Ancora il sen. Breganze, riferisce che “i partigiani avevano conservato delle armi. A Vicenza erano parecchi e l’armamento era custodito nelle case degli stessi partigiani bianchi. Nei giorni immediatamente precedenti al 18 aprile del 1948 vi era una grossa preoccupazione per una avanzata eventuale del fronte Popolare e perciò bisognava illuminare le coscienze sui pericoli della vittoria del Fronte e sull’utilità del successo delle forze democratiche”15. E’ da notare, per inciso, che l’indagine del Cons. Mastelloni origina da una curiosa denuncia sporta nel 1969 dal signor Giuseppe Falcone, ufficiale di fanteria in congedo, il quale affermò che tra gli oggetti sottratti dalla sua abitazione vi era anche un mitra “Beretta” che egli deteneva dal 1948. La denuncia, per sé non particolarmente rilevante, assume importanza, viceversa, per due ordini di motivi. Il primo è la motivazione che Falcone adduce per giustificare il possesso del mitra, che si ricollega a quanto ora esposto circa l’armamento in dotazione di militari e civili nel dopoguerra. Così espone Falcone nella sua denuncia:
”Nell’anno 1948 in previsione delle elezioni politiche che si presentavano abbastanza difficoltose
ebbi incarico, in qualità di comandante di Presidio di Sacile, dal Commando del V Comiliter di Udine, di
armare alcuni civili fidati nella zona di Sacile, Vittorio Veneto, Valcellina e limitrofi, di un certo
quantitativo di armi. Detti armi anche all'attuale Arcivescovo di Udine - Mons. Zaffonato - allora
Vescovo di Vittorio Veneto. Tutta questa zona era sotto il mio controllo diretto. Ad elezioni ultimate -
prosegue Falcone - ritirai le armi e le versai alla Sezione Staccata di Artiglieria di Conegliano. Avevo con
me e mi serviva nei diversi giri di ispezione un mitra “Beretta” con alcune cartucce. Detto mitra, al quale
ero affezionato, ritenni di non versarlo e tenermelo in casa”.16 Tale ultima affermazione, peraltro, consente di prefigurare ulteriori ipotesi circa l’illegittimo possesso di armi e munizioni da parte di militari e civili per conto di un partito politico, al fine di contrastare la parte avversa. Che un ufficiale di fanteria, si permetta di trattenere fino al 1969 – cioè fino al furto subito – il mitra Beretta in dotazione nel 1948, solo perché vi era “affezionato” appare decisamente poco credibile, e la circostanza potrebbe, viceversa, implicare che i gruppi filoatlantici abbiano continuato a detenere armi ben oltre lo svolgimento - e al di là dell’obiettivo - delle elezioni del 1948.
Ministro della Difesa Luigi Gui al Capo della Polizia nell’agosto 1969, con il quale vengono riportate le dichiarazioni di
Falcone relative al possesso e alla detenzione del mitra nel periodo 1948-1969. Non è compito di questa relazione indagare sulle modalità di trasmissione della notizia, ma appare di tutta evidenza che il transito delle dichiarazioni di Falcone da un’anonima caserma dei Carabinieri di Conegliano Veneto (TV) al Ministro della Difesa e da questi al Capo della Polizia, non può non essere considerato come un evento eccezionale. A maggiore ragione, se di questa vicenda si interessano i vertici della sicurezza nazionale nell’agosto-settembre del 1969, quando sono già scoppiate le prime bombe dimostrative e mancano solo tre mesi alla strage di Piazza Fontana. Che, dunque, nel corso del 1948, in chiara funzione anticomunista - e non certo antisovietica - gli americani si adoperino per far avere ai propri fiduciari armi e munizioni, appare realtà acclarata, come accertato è il ruolo svolto dal Vaticano nella gestione, attraverso i suoi uomini più fidati, di questi gruppi armati. La costituzione dei Comitati Civici, infatti, rispondeva all’esigenza di poter liberamente operare in campo politico per contrastare un possibile – e, alla luce dei risultati del 1946, probabile – successo del Fronte Popolare delle sinistre. L’impedimento, per gli uomini di Pio XII, risiedeva nelle disposizioni del Concordato del 1929 che, tassativamente, precludevano all’Azione Cattolica la possibilità di svolgere attività e propaganda in favore dei partiti politici. Con il sistematico adeguamento dei propri strumenti alla realtà, il Vaticano dispone così la creazione di strutture “politiche”, nominalmente differenti dall’Azione Cattolica, ma in tutto e per tutto coincidenti, tanto che “fu lo stesso Vaticano a sostenere le spese per la nuova organizzazione e per la conseguente propaganda” […] delegando sostanzialmente i vescovi per la nomina dei singoli presidenti dei Comitati civici diocesani”17. L’organizzazione “O” e l’Armata italiana della libertà (Ail) Questa attività, però, sembra potersi definire sostanzialmente collaterale a quella primaria, posta in essere direttamente dagli Stati Uniti. E’ sulla base di precise direttive del National Security Council, infatti, che le strutture filoatlantiche si muovono sul fronte italiano. La campagna elettorale del ’48 viene impostata sulla scorta delle indicazioni di questo organismo (i cui documenti sono raccolti nel Foreign Relations of the United States), che a quaranta giorni dalle elezioni così si esprime per giustificare il proprio impegno in Italia: “La dimostrazione di una ferma opposizione degli Stati Uniti al comunismo e la garanzia di un effettivo sostegno degli Stati Uniti potrebbe incoraggiare gli elementi non comunisti in Italia a fare un ultimo vigoroso sforzo anche a rischio di una guerra civile, per prevenire il consolidarsi di un controllo comunista”. E proprio per scongiurare il pericolo adombrato, in un successivo punto si dispone di “fornire ai clandestini anticomunisti assistenza finanziaria e militare”.18 Tutto ciò, sulla scorta del principio secondo cui il Pci non aveva legittimità alcuna a governare il paese, anche quando questo fosse accaduto per il tramite di una regolare vittoria elettorale. La direttiva NSC 1/3 dell’8 marzo 1948, da questo punto, di vista è illuminante, in quanto viene reso esplicito che gli “interessi degli Stati Uniti nell’area del Mediterraneo, relativi ai problemi di sicurezza, risultano seriamente minacciati dalla possibilità che il Fronte Popolare, dominato da comunisti, ottenga una partecipazione al Governo attraverso le elezioni nazionali […]”. E’ quindi necessario, secondo Washington, “nel caso in cui i comunisti italiani dovessero riuscire ad ottenere la guida del governo attraverso sistemi legali, […] prendere delle misure immediate, compreso ciascun tipo di misura coercitiva, per realizzare una mobilitazione limitata, […] fornire assistenza militare e finanziaria alla base anticomunista”19. E’ noto come le elezioni del 1948 videro trionfare la Democrazia Cristiana, ma il timore degli Usa doveva essere tale che lo scampato pericolo li indusse a rafforzare il sistema di “difesa” sperimentato in quella occasione. L’organizzazione “O”, da questo punto di vista, è la progenitrice di quella complessa struttura – non ancora del tutto disvelata – che va sotto il nome di Gladio (S/B). La “O” prende il nome, ereditandone uomini e organizzazione, dalla formazione partigiana Osoppo, sciolta nel giugno 1945, ma ricostituita sei mesi dopo, asseritamente per tutelare i confini a fronte di episodi di violenza alla frontiera con la Jugoslavia. Secondo la Relazione sull’organizzazione “O”, redatta dal V Comando militare territoriale – Ufficio monografie – (14 dicembre 1954) già due mesi dopo la struttura può contare su 2130 uomini e creare al suo interno un “servizio informazioni, con compiti informativi interni e d’oltre confine”20. Ridenominata Volontari difesa Confini Italiani VIII, l’organizzazione viene incaricata dal Comando della divisione Mantova di “Preparare uno studio per l’impiego dei volontari nella protezione di opere, impianti e comunicazioni in caso di grave perturbazione dell’ordine pubblico”21. 
Così, quella che era una formazione partigiana – non inserita nel circuito delle formazioni comuniste – diventa in
breve, prima una struttura di supporto dell’esercito per il controllo delle zone di confine, poi una vera e propria organizzazione clandestina “costituita da elementi sui quali si poteva fare sicuro affidamento”22. L’affidamento, per paradossale che possa apparire, sembra però configurarsi come un espresso rifiuto della legittimità della Repubblica nata il 2 giugno 1946, tanto che il signor Amelio Cuzzi, pur essendosi rifiutato di prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica, e per questo congedato dall’esercito, venne contattato dal colonnello Olivieri per far parte dell’organizzazione. E’ con queste persone che le componenti filoatlantiche delle Ff.Aa italiane – certo prevalenti sulle altre – prestano il loro contributo alla ricostruzione del paese dopo la rovina della guerra.
L’organizzazione, nel corso degli anni, assume connotati sempre più definiti in senso clandestino e occulto. Il 6
aprile del 1950, sulla base di direttive dello SME, il corpo V.D.C.I. VIII viene trasformato in una organizzazione
militare segreta alla quale fu data la denominazione di “Organizzazione O”. Era costituita, a quella data, da 256
ufficiali, 496 sottufficiali, 5728 uomini di truppa, al comando del colonnello Luigi Olivieri. Alla fine del 1956,
l’organizzazione viene poi trasformata nella “Stella Alpina” che sarà una delle (cinque) articolazioni di Gladio.
Lungi dall’essere una banale organizzazione di reduci o ex partigiani, la “O” rivestirà un ruolo fondamentale in
questa strategia, com’è chiaramente dimostrato dalla sua dipendenza diretta dal Presidente del Consiglio, perlomeno nel periodo 1949-1950, ed avvalorato ulteriormente dall’interesse che gli Stati Uniti manifestano nel 1958 per un suo presunto (temuto) scioglimento. A rassicurare il dominus penseranno i vertici dei nostri Servizi, con un appunto del 26 marzo 1958 dal titolo “Risposta ai quesiti del Servizio americano riguardanti il programma S/B”. E’ bene riportare l’intero passaggio della risposta, per valutarne poi la reale portata. Scrivono, dunque, i nostri Servizi:
“Il Servizio italiano ha sempre considerato che sarebbe stato un errore lasciare cadere nel nulla tali
idealità e propositi [degli aderenti alla “O”] (che sarebbero altrimenti andati delusi e perduti) e, perciò,
quando a fine 1956 lo stato maggiore dell’esercito disponeva lo scioglimento della ”Osoppo”, il Servizio
italiano prendeva a suo carico l’organizzazione e ne decideva la conservazione e la ricostituzione. Le
nuove basi per la ricostituzione dell’organizzazione datano dal 1° ottobre 1957, quando esse venivano
così precisate: - denominazione: Stella Alpina - compiti: in tempo di pace: controllo e neutralizzazione dell’attività slavo-comunista in caso di conflitto e o insurrezione interna: antiguerriglia e antisabotaggio […]”23. A tali compiti, l’organizzazione “O” si preparava forte di “32 mortai da 81, 23 mortai da 45, 204 mitragliatrici,
351 fucili mitragliatori, 820 moschetti automatici, 3.416 fucili, 371 fucili esteri”24. E’ da notare, peraltro, che la
disponibilità di quasi 400 fucili di provenienza straniera, poteva giustificarsi solo con la clandestinità che caratterizzava
la struttura.
Parallelamente alla trasformazione della Osoppo, i vertici istituzionali del paese predispongono un piano/rete
clandestino da attivare in caso di tentativi insurrezionali del Pci. E’ lo stesso Ministro dell’interno Scelba a rivelarlo in
una intervista, dichiarando che “già nei primi mesi del 1948 era stata messa a punto una infrastruttura capace di far fronte a un tentativo insurrezionale comunista. L’intero paese era stato diviso in una serie di grosse circoscrizioni, ognuna delle quali comprendeva varie province, e alla loro testa era stato designato in maniera riservata […] una specie di prefetto regionale[…]. I superprefetti da me designati avrebbero assunto gli interi poteri dello Stato sapendo esattamente, in base ad un piano prestabilito, che cosa fare”25.
Probabilmente in relazione con questo piano è la costituzione dell’Armata italiana della libertà (Ail) del luglio
1947, fondata dal colonnello Ettore Musco, già Capo di Stato maggiore alla data dell’armistizio, designato dagli alleati
come capo dei Servizi italiani, e dal 1952 al vertice del Sifar. Secondo Faenza e Fini, in realtà il vero capo dell’Ail era
il generale Sorice, ministro della guerra durante il governo Badoglio, ma è importante notare come il colonnello Musco
sia anche il responsabile di quel “piano X”, di cui abbiamo detto più sopra, che rappresenta l’esordio dell’ingerenza “armata” degli USA in Italia. Secondo il reverendo Frank Gigliotti, massone statunitense e collaboratore dei servizi americani, proprio durante quel periodo “ci sono in Italia 50 generali che si stanno organizzando per un colpo di Stato. 

Sono tutti anticomunisti e sono pronti a tutto”27. Non sembra, quindi, priva di fondamento l’ipotesi che almeno una parte dell’Armata italiana della libertà coincida, in realtà, con la struttura predisposta dal Viminale per sostituire i prefetti con uomini di sicura appartenenza atlantica.
Che il riferimento dell’Ail fossero i Servizi americani è peraltro dimostrato, inequivocabilmente, dal fatto che tre mesi dopo la sua costituzione, il colonnello Musco deposita presso l’ambasciata di Via Veneto l’elenco dello stato maggiore dell’organizzazione (in realtà, nei documenti americani il vertice dell’organizzazione viene denominato “Comitato Centrale”, ed è possibile ipotizzare che il riferimento fosse proprio alla più tipica delle articolazioni dei partiti comunisti). E’ questa una prassi - che si ripeterà quando verrà consegnato all’ambasciata statunitense un elenco degli appartenenti alla loggia P2 - che denota un indissolubile legame tra l’Ail e i rappresentanti di Washington in Italia, e probabilmente anche tra questi ultimi e il piano elaborato dal ministro Scelba.
D’altra parte, che i responsabili dei ministeri chiave per la politica filoatlantica dell’Italia fossero in stretto
collegamento con gli apparati Usa è dato ormai acquisito, e ciò che preme evidenziare in questa sede sono, in realtà, le
eventuali distorsioni che questo rapporto ha creato nella regolare attività politica e istituzionale del nostro paese. E una
distorsione si ha certamente quando “attraverso contatti con prefetture e servizi segreti, il dipartimento dell’Esercito si
preoccupa di sorvegliare personalità comuniste e socialiste” e i loro spostamenti in Italia e all’estero28. Che comunisti e
socialisti fossero discriminati, e possibilmente espulsi dalla pubblica amministrazione, lo ha raccontato anche il sen. Cossiga29, ma appare evidente come il controllo degli spostamenti di parlamentari ed esponenti politici all’interno del loro paese non può non rappresentare una palese violazione dei diritti e delle prerogative sancite dalla nostra Costituzione. Ciò che appare grave, in ogni caso, è che le mine poste alle fondamenta della democrazia italiana vengono collocate dagli americani in totale accordo – se non su richiesta – proprio del governo italiano.
Che questa fosse una necessità dettata dalla posizione filosovietica della sinistra italiana, trova peraltro la sua più
clamorosa smentita proprio nei documenti americani. Una lettera del 13 febbraio 1952 al Dipartimento di Stato riferisce
che “il Partito comunista […] prepara un’organizzazione segreta nell’eventualità che sia messo fuori legge. Due tipi di
comitati sono stati formati: uno di natura politica e l’altro di natura paramilitare per l’organizzazione di formazioni partigiane e la preparazione della guerriglia”30. Con ciò si può probabilmente porre fine alla famosa tesi della pericolosità del Pci, e del suo ruolo di quinta colonna sovietica all’interno del blocco Nato. Ancora nel 1952, il Pci “prepara un’organizzazione segreta” e non dispone, quindi, di alcuna struttura di questo genere; inoltre, stando alla fonte statunitense, la struttura servirebbe ai comunisti nell’eventualità di essere messi fuori legge, e non ha, pertanto, alcuna caratteristica offensiva, neppure in relazione ai canoni della guerra fredda. Piuttosto, rivelandosi sempre più evidente l’ingerenza americana negli affari interni del nostro paese, il Pci inizia a organizzarsi nella sciagurata ipotesi che possano prevalere i settori più duri dell’amministrazione americana, decisi a tutto pur di impedire alla sinistra qualunque avvicinamento alla stanza dei bottoni.
Ma è proprio questa la strategia della Casa Bianca. Inventare il nemico, aumentarne sproporzionatamente il
pericolo e le capacità, intervenire per spezzarne le velleità. Che questo pericolo non esista realmente, non è
preoccupazione americana, e sembra quasi che questo ruolo “creativo” sia affidato al governo italiano, sempre secondo
procedure sperimentate e uomini di sicura affidabilità. E’, in buona sostanza, il semplice meccanismo della strategia della tensione: creare i presupposti, falsificandoli, per legittimare la reazione.
Negli anni ’50, in attesa di “tempi migliori”, l’oltranzismo atlantico si esercita e arma le proprie strutture e i
propri uomini. Torneranno utili quando, dalla fase teorica e preparativa, si passerà a quella operativa, inizieranno gli scontri preorganizzati tra lavoratori e forze dell’ordine con l’ausilio dei provocatori, si infiltreranno uomini dello Stato nelle organizzazioni eversive con il compito di accelerarne la deriva in funzione reazionaria, e scoppieranno infine le prime bombe. 

L’Ufficio REI del Sifar, “Pace e Libertà” e l’attività di Edgrado Sogno
Per adesso, agli anticomunisti sarà sufficiente mantenere alta l’attenzione e cercare di sfruttare la disponibilità
americana verso tutto ciò che possa costituire un argine, purchessia, all’ipotesi di un governo comunista. Ed è utile, a tal
fine, anche la strana associazione creata da Edgardo Sogno, in funzione anticomunista. A coltivare il contatto con “Pace
e Libertà” è una struttura, creata all’interno del Sifar all’inizio degli anni ’50, l’Ufficio Relazioni Economiche e
Industriali (Ufficio REI), gestito per anni dal maggiore Rocca. A costui, nonostante il suo rifiuto di prestare giuramento
alla Repubblica, non solo fu affidato l’importante settore del controspionaggio industriale e del controllo 
dell’esportazione di armamenti e materiale strategico, ma fu consentito, altresì, di impiantare all’interno dell’Ufficio una particolare Sezione “Viaggiatori legali”, con il compito di raccogliere notizie e dati in funzione anticomunista. Tra le fonti che dovette ritenere di valore, Rocca perviene all’inizio del 1954 al contatto con gli uomini di “Pace e Libertà”, che un appunto del Capo del Sifar segnala come organizzazione “secondo alcune voci” “finanziata con fondi della Nato, secondo altri da una potenza straniera che potrebbe essere l’Inghilterra”31.
In ogni caso, nel medesimo appunto si fa riferimento alla circostanza che l’organizzazione “sarebbe in possesso di schedari contemplanti i nominativi di tutti gli aderenti al PCI”, ed è, molto probabilmente, per questo che il Capo del Servizio, gen. Ettore Musco, in un appunto del giugno 1954 annota di averne “parlato con il Sig. Ministro. Egli è favorevole ad uno ‘oculatissimo’ appoggio. Per i materiali degli archivi darò direttive verbali”. Dunque l’attività anticomunista di Sogno è ben conosciuta dai vertici dei servizi, e – stando agli stessi – anche dalle più alte cariche istituzionali del paese. In un appunto di poco precedente, infatti, viene riportato il contenuto di un colloquio con Edgardo Sogno, “le cui iniziative avrebbero riscosso l’adesione e l’appoggio del Presidente del consiglio Scelba, […] del Ministro Taviani, del Ministro degli Esteri.” Ma a dimostrazione che le iniziative di “Pace e Libertà”
non sono svincolate da precise indicazioni di carattere Nato, l’autore dell’appunto riferisce che “Sogno avrebbe fatto istituire agli Esteri (egli è diplomatico di carriera) un Ufficio per il coordinamento della guerra psicologica da lui diretto”.
La conferma di quest’ultimo importante dato, emergerà molti anni dopo da una lettera che lo stesso Sogno
rivolge all’allora Ministro degli affari esteri Aldo Moro, nella quale l’ex partigiano lamenta il suo mancato avanzamento
di carriera. Egli sa bene, infatti, che la mancata progressione nei ruoli della Farnesina, è dovuta al suo temporaneo distacco presso il Ministero dell’interno, quando, “nel luglio del 1953, per iniziativa della Presidenza del Consiglio (Governo Scelba) mi veniva nuovamente proposto un incarico di carattere eccezionale e riservato (organizzazione della difesa psicologica delle istituzioni democratiche), in ripresa di un’operazione avviata nel 1948 per iniziativa del Ministro Sforza nel quadro delle attività svolte in base al Piano Marshall”.
Merita riportare il successivo brano della lettera a Moro, esplicativo del progetto gestito da Sogno, per poi trarne
alcune considerazioni. “L’azione svolta per il tramite del Comitato da me organizzato ebbe tre fasi principali: in un periodo (fino all’Ottobre 1954) essa si concretò nella realizzazione del progetto che gli onorevoli De Gasperi e Pella avevano ripetutamente sostenuto in Consiglio Atlantico e consistente nel contrapporre degli organi promotori e coordinatori della propaganda occidentale alla costante iniziativa campo sovietica nel campo dell’informazione. Nel secondo periodo (Ottobre 1954 – Giugno 1955) il comitato assolse funzioni specifiche nel quadro dei provvedimenti adottati dal Governo Scelba per la difesa delle istituzioni, assumendo compiti di punta che non potevano essere affidati ad organi governativi. Nel terzo periodo (dopo il giugno 1955) il Comitato ridusse progressivamente l’azione esterna per concentrarsi su compiti di carattere riservato sempre nel campo della difesa psicologica”. 

Edgardo Sogno, già a capo di una formazione partigiana autonoma e medaglia d’oro della Resistenza, è dunque l’uomo di punta del Governo per la predisposizione e il coordinamento degli strumenti di guerra psicologica contro le sinistre. In altra parte della citata lettera, Sogno ricorda come già nel 1949 il Ministro dell’interno Scelba gli avesse chiesto di partecipare in prima persona al progetto del Servizio di Difesa Civile (di cui si dirà poco oltre), in tal modo evidenziandone la forte valenza anticomunista. Tramontato quel progetto, il capo di “Pace e Libertà” rimane, però, una preziosa riserva per l’attività dell’oltranzismo atlantico, e proprio in questo ruolo viene utilizzato per la costituzione del Comitato di coordinamento della guerra psicologica. Ciò che assume particolare rilevanza, tuttavia, è che a far data dall’ottobre del 1954, il comitato di Sogno “assolse funzioni specifiche nel quadro dei provvedimenti adottati dal Governo Scelba per la difesa delle istituzioni, assumendo compiti di punta che non potevano essere affidati ad organi governativi”. E seppure dal documento non emerge quale specifico ruolo abbia assunto Sogno, è di per sé indicativo che al Viminale facessero capo attività “coperte” non delegabili a strutture governative.
E’ altresì significativo che Scelba, rispondendo alle accuse di aver creato nel 1949 una polizia segreta
anticomunista, replichi affermando di non aver inventato nulla, e ricordi come “i servizi della polizia che si occupavano
della prevenzione dei reati contro la sicurezza interna […] esistevano quando io assunsi la carica di Ministro
dell’interno ed erano stati riorganizzati dal capo della polizia35”. Che Sogno millanti credito con il Ministro degli esteri
Moro non appare credibile, ed è, viceversa, plausibile, che le strutture di cui Scelba si servì per contrastare il
comunismo non corrispondessero appunto alla polizia di prevenzione, ma fossero Uffici o Servizi posti fuori dal
controllo istituzionale. In questa linea si inserisce il progetto per la costituzione di una struttura di difesa/protezione civile voluta dal Ministro dell’interno Scelba nell’ottobre 195036. A dimostrazione che il progetto non si limitava a una ridefinizione delle strutture di protezione civile, Scelba ricordò alla Camera come dopo i fatti di Corea nel mondo fosse intervenuto qualcosa di nuovo “che ha obbligato tutti i paesi pensosi della sicurezza all’interno e della difesa delle proprie frontiere ad organizzare anche la difesa civile […] considerato anche il modo in cui le guerre vengono oggi combattute”37. Vi è da considerare, peraltro, che una struttura con analoghi compiti era già stata attivata presso il Ministero dell’interno, con disposizione del Consiglio dei ministri, e il disegno di legge potrebbe essere stato, in realtà, il meccanismo per sancire ufficialmente l’esistente. Prassi, questa, come ricordato, ricorrente in molte delle vicende trattate in questa relazione. 

In questo senso sembra deponga anche Edgardo Sogno che, in una lettera al Ministro degli Esteri Sforza del 22 ottobre 1949 - un anno prima della presentazione del disegno di legge - , riferisce di aver ricevuto dal Ministro Scelba la proposta di assumere la carica di “capo del costituendo Servizio per la Difesa civile”. La peculiarità di questa iniziativa legislativa, in ogni caso, è rappresentata dall’essere l’unica tra quelle intraprese in chiave anticomunista a divenire pubblica e a passare attraverso l’esame del Parlamento. E non è certo per caso che il progetto scelbiano dal Parlamento non uscirà mai sotto forma di legge, opponendosi strenuamente le forze di sinistra. E’, questa, la dimostrazione dell’impossibilità di eliminare dal gioco democratico i partiti di sinistra se non con strumenti impropri per una democrazia; ma sarà anche, per i più oltranzisti, la dimostrazione della necessità di operare solo tramite cover operations, sempre esautorando il Parlamento e, talvolta, qualche membro dell’Esecutivo ritenuto non affidabile.
Le origini di Gladio e la politica esautorata
Vedremo più avanti, ma è bene accennarlo fin da subito, la genesi della struttura Gladio/Stay Behind, della quale
viene tenuto all’oscuro il Parlamento e che, pur portata a conoscenza di tutti i Presidenti del Consiglio, non verrà comunicata ai Presidenti Fanfani e Spadolini (quest’ultimo verrà “indottrinato” solo successivamente, quando assumerà la carica di Ministro della difesa nel 1° governo Craxi). La Commissione Stragi, nella prerelazione su Gladio, approvata il 20 giugno 1991, sintetizzerà il problema nei seguenti termini: “Non ci può essere in queste cose una catena informativa che parta dal basso per raggiungere chi sta in alto. Il rapporto ‘controllore-controllato’ verrebbe sconvolto. […] In sostanza, occorre che vi sia una doppia catena informativa ‘discendente’, dal responsabile del Governo al Ministro delegato; ‘ascendente’ dal responsabile del Servizio al Ministro delegato o direttamente al Presidente del Consiglio. Comunque non debbono mai essere i Servizi a decidere che cosa dire a chi”.
Furono, viceversa, settori delle Forze Armate e i vertici dei Servizi di sicurezza a decidere che cosa dire a chi, e
a valutare, in totale indipendenza rispetto al potere legislativo ed esecutivo, la corrispondenza o meno dei programmi di
Governo con le linee di “politica militare” in corso. Senza in alcun modo voler attribuire a Gladio un ruolo finora 35 “Replica di Scelba a ‘Stampa Sera’, Il Popolo, 2 dicembre 1975. “Stampa Sera” del 1 dicembre 1975 aveva rivelato che tra le carte scoperte da R. Faenza e M. Fini negli archivi del Dipartimento di Stato USA, era emersa l’esistenza di una “polizia segreta anticomunista” creata da Scelba nel 1949. Disposizioni per la protezione della popolazione civile in caso di guerra o di calamità (difesa civile), Camera dei Deputati, seduta pomeridiana del 8 maggio 1951.
Prerelazione sull’inchiesta condotta dalla Commissione in ordine alle vicende connesse all’operazione Gladio, Atti Cps, X Legislatura, Doc. XXIII, n. 36, pp. 51-52. Il corsivo è nel testo. 
indimostrato, quanto riportato più sopra non può, tuttavia, non configurarsi come un grave attentato al corretto
svilupparsi della dialettica istituzionale e politica.
Per pura coincidenza, è lo stesso Amintore Fanfani che verrà tenuto all’oscuro dell’esistenza di Gladio, l’uomo incaricato di scrivere una pagina emblematica, buia e segreta, dei rapporti tra l’Italia e gli stati Uniti. Rispondendo il 1°
giugno 1954 alle sollecitazioni dell’ambasciatrice Clare Boothe Luce, sulla posizione italiana in merito al ruolo del Pci,
il neo segretario della Democrazia Cristiana riassume il programma del Governo Pella, un “programma anticomunista
concreto”, nei seguenti termini: 
“1) attaccare l’apparato finanziario esterno del PCI con la costituzione di un’organizzazione statale che abbia il monopolio del commercio con i paesi orientali e quindi impedisca a gruppi paracomunisti di commerciare con i paesi d’oltrecortina; 2) ridurre la capacità finanziaria interna del PCI dando istruzioni alla Banca d’Italia di esercitare il proprio
controllo sul sistema finanziario italiano in modo da strangolare le cooperative comuniste. (Fanfani ha detto che Pella ha già approvato questo piano e che il sottosegretario al budget Ferrari-Aggradi sta lavorando sui dettagli); 3) chiudere le sezioni del PCI negli edifici dell’ex partito fascista;
4) limitare le attività sindacali che compromettono lo Stato”39. [il corsivo è nostro] Qualcuno, all’interno della Dc, propone addirittura di mettere fuori legge il partito comunista, ma la proposta, avanzata nel corso di una riunione del gruppo parlamentare non trova, fortunatamente, il consenso necessario. Forse perché il bando nei confronti del Pci sta per essere elaborato in forme meno rozze, anche se certamente più efficaci, con la ufficializzazione della struttura Gladio. 
Come emerge anche dalla corrispondenza del giornalista Indro Montanelli con l’ambasciatrice americana Booth
Luce, in realtà il vero obiettivo della politica americana, ancora prima della predisposizione di Gladio era la politica interna del Pci e delle sinistre, e non già il pericolo di invasione, improbabile considerando lo scrupolo di Mosca nell’applicazione degli accordi di Yalta. In una lettera del 6 maggio 1954 all’ambasciatrice, Montanelli, dopo aver analizzato il momento politico successivo alle elezioni del 1953, evidenzia la debolezza dell’attuale assetto di potere democristiano, stigmatizzando l’atteggiamento di Scelba che “se alle prossime elezioni un Fronte Popolare comunque costituito raggiungesse la maggioranza […] consegnerebbe il potere, e sarebbe la fine […] si arrenderebbe per totale impossibilità di compiere un colpo di Stato”. La minoranza sana del paese, prosegue Montanelli - che riferisce all’ambasciatrice i suoi colloqui con un gruppo di industriali anticomunisti - , è disarmata, non ha una guida, ma “questa minoranza esiste ancora e non è comunista. E’ l’unica nostra fortuna. Bisogna ricercarla individuo per individuo, darle una bandiera, una organizzazione terroristica e segreta”40.
Una organizzazione terroristica e segreta, questa era la ricetta del mondo industriale italiano41, probabilmente
condivisa dagli USA, per contrastare il comunismo.
Più recentemente, Montanelli ha specificato il senso dell’attività svolta in quel torno di tempo in raccordo con
l’ambasciatrice USA: “Se al potere fossero saliti, per libere elezioni, i comunisti, gli anglo-americani si sarebbero ritirati
dalle nostre basi. Il pericolo che l’Italia correva era questo: interno, non esterno”42. E’ la conferma, da parte di chi visse
quegli anni in stretto contatto con la rappresentanza statunitense in Italia, che il timore atlantico non era rivolto a una
possibile – ma abbiamo visto del tutto improbabile – invasione sovietica, bensì direttamente alla possibilità che Pci e Psi
potessero vincere le elezioni e assumere la guida del paese.
Con queste finalità, ma ovviamente con una prospettiva più ampia, a partire dal 1951 gli ambienti più ortodossi
della Nato iniziano a coltivare il progetto più ambizioso: una rete europea finalizzata alla guerra psicologica contro i comunisti, che costituirà poi l’ossatura della rete Stay Behind. Così, proprio mentre il Dipartimento dell’Esercito USA evidenzia come il Pci si organizzi in chiave difensiva (nel caso fosse messo fuori legge), e non abbia in animo, in realtà, alcun intento insurrezionale, il North Atlantic Military Committee Standing Group, organismo creato all’interno della Nato dalle tre potenze alleate, suggerisce la creazione di una struttura cui affidare la responsabilità esclusiva delle attività della guerra non convenzionale43. Si scorge, in questo periodo, un meccanismo che sarà una costante di tutta la storia dei rapporti tra gli USA e l’Italia: la dilazione dei tempi e la formalizzazione ex post dei fatti. Originando, com’è naturale, oltreoceano tutte le iniziative tese al contrasto del comunismo, in Italia le direttive americane vengono recepite sempre con uno scarto temporale notevole (di diversi anni), e la loro ufficializzazione viene costantemente posticipata, a guisa di sanatoria. In tal modo, risulta difficile seguire coerentemente lo svolgersi dei passaggi che portano alla creazione di Gladio e alla sua formalizzazione, all’applicazione del piano Demagnetize, e all’attività dello Standing Group per la guerra psicologica e non ortodossa. 
Certo è che, nell’ottobre 1951 il comando Nato organizza un convegno a Parigi – Sicurezza civile e controspionaggio in tempo di pace - nel corso del quale viene avanzata la proposta di creare un comitato per la pianificazione clandestina con lo scopo di coordinare le attività di Stay Behind in Europa. Quella che in Italia assumerà
la denominazione di Gladio, infatti, è una struttura già presente in molti paesi europei, ed è molto probabilmente attiva anche in Italia, anche se – per il meccanismo esposto sopra – verrà formalmente costituito solo molti anni dopo. E’ necessario, quindi, per i vertici americani e per la Cia coordinare tutte le strutture europee finalizzate al medesimo obiettivo, e, in quest’ottica, sviluppare tutte le forme possibili di guerra non ortodossa nei confronti del comunismo. Che anche in Italia ci si muovesse secondo le medesime indicazioni emerge dal promemoria che il capo del Sifar, generale Umberto Broccoli, invia l’8 ottobre 1951 al Capo di Stato maggiore della Difesa, generale Efisio Marras. Scrive Broccoli che “nell’attuale relatività di forze Nato – COMINFORM, primo dovere del Sifar è quello di prevedere, in caso di conflitto, l’occupazione nemica di almeno parte del territorio nazionale e di preorganizzare il servizio informazioni, il sabotaggio, la propaganda e la resistenza”. Più oltre, il generale mette in luce come in altri paesi europei già esista una simile organizzazione: “in Olanda e Belgio (e presumibilmente anche in Danimarca e in Norvegia) l’organizzazione può dirsi a punto”. Da queste premesse nascerà il nucleo dell’organizzazione S/B in Italia, le cui finalità, benché ampiamente analizzate, mantengono un profilo di non sicura legittimità costituzionale. Due ordini di fattori inducono a questa considerazione. Il primo è che, pur a fronte di un pronunciamento della magistratura, rimane dubbia la legittimità di un organismo sorto sulla base di un accordo stipulato tra due Servizi non ufficialmente autonomi nei confronti del potere esecutivo e legislativo dei rispettivi paesi; e, per quanto non si conosca la genesi formale dell’istituzione di Stay Behind negli USA, certo è che in Italia tale struttura non passa mai al vaglio, né preventivo né ratificativo del Governo e del Parlamento. Come già accennato, i Presidenti del Consiglio e i Ministri della difesa venivano informati, al momento dell’assunzione delle funzioni, dell’esistenza di una rete di contrasto nei confronti di una possibile invasione del territorio nazionale, ma tale prassi – perché solo di prassi può parlarsi, non evidenziandosi nessuna disposizione in tal senso – non venne sempre rispettata, tanto che dell’esistenza di Gladio non fu informato il Presidente del Consiglio Amintore Fanfani. Non sembra, quindi, eccessivo sostenere che tale apparato sia sorto totalmente al di fuori della Costituzione, e inquietanti ombre non possono non vedersi anche per l’attività di Gladio nel corso degli anni. E’ il secondo ordine di fattori, infatti, che induce a ritenere la non corrispondenza al dettato costituzionale di tutta la rete Stay Behind, nella consapevolezza, peraltro, che minacce di invasione da parte di potenziali aggressori dell’Est – vale a dire da parte dei comunisti – era terminata, se mai vi fu, venticinque anni prima la scoperta dell’esistenza di Gladio, che venne resa nota all’opinione pubblica solo grazie alle indagini di un magistrato. E’ ormai evidente che i gladiatori non potevano essere, come ufficialmente sostenuto, solamente 622 (numero casualmente coincidente con quello degli
informatori dell’OVRA), e si esporranno più avanti le fondate critiche a questa risibile asserzione. Il vero nocciolo del problema risiede nella possibilità – in parte accertata, e in parte da accertare – che numerosi degli appartenenti a Gladio abbiano, in realtà, assunto compiti e compiuto azioni che nulla hanno a che fare con le finalità “istituzionali” che la struttura prevedeva. Vi è stato nel corso degli anni, e con punte allarmanti nel periodo a cavallo tra i ’60 e i ’70, un’intensificarsi della attività dei gruppi di estrema destra che hanno trovato ampia copertura, laddove non collusione, di apparati dello Stato, e segnatamente proprio di quelle strutture preposte al controllo e alla prevenzione dei fenomeni eversivi, come verrà evidenziato nei successivi capitoli dedicati ai singoli episodi della fase culminante della strategia della tensione.
Il piano Demagnetize/Clydesdale
Tra il citato Convegno di Parigi del 1951 e la firma dell’accordo tra Italia e USA per la formalizzazione di
Gladio, si inserisce un altro capitolo della strategia statunitense nei confronti delle sinistre europee, in particolare dei
partiti comunisti di Italia e Francia. E’ il famoso Piano Demagnetize (che per la Francia assumerà il nome di Cloven),
con il quale il governo americano, d’intesa con quello italiano, intende porre un definitivo argine ad ogni attività
comunista nel paese. 

Il piano viene approvato il 21 febbraio 1952 dal Psychological Strategy Board (Pbs), la struttura deputata da Washington alla guerra psicologica, contestualmente alla creazione di un comitato - Lenap - composto da membri del dipartimento di Stato, della Difesa, della Cia e della Mutual Security Agecy. Un ruolo di responsabilità è affidato all’Ambasciata americana di Roma, all’epoca retta da James Dunn, con funzioni di informazione, di coordinamento e di collegamento con il governo italiano.
Come in altri numerosi episodi relativi all’ingerenza americana in Italia, anche in questo vi è una clausola segreta, relativa proprio al ruolo giocato all’interno dal nostro governo. Un rapporto del 16 luglio dello stesso anno, segnalava, infatti, che “l’ambasciatore Bunker ha sottolineato l’estrema importanza di proteggere il suo rapporto confidenziale con De Gasperi su questo problema”45, e sembra di rileggere il medesimo copione del 1947, quando lo stesso De Gasperi chiede agli alleati di non far trapelare le sue richieste di mantenere nel mediterraneo unità navali USA46. La regolare frequentazione – ancorché in parte segreta – del Presidente del Consiglio italiano con gli americani, non doveva, in realtà aver del tutto fugato i dubbi circa il mantenimento di una politica rigidamente anticomunista nel nostro paese, ed è proprio per compensare questo declino di linea politica che gli americani stabilirono di adottare un piano speciale di contrasto ed emarginazione della sinistra in Italia. Situazione emblematica quella italiana, tanto da diventare per gli USA il terreno in cui sperimentare gli effetti e i risultati della guerra psicologica, passata alla fase operativa tra il giugno e il luglio del 1952, con il piano nel frattempo denominato Clydesdale. Le linee guida del piano, elaborate nel corso di una riunione del Comitato Lenap, prevedevano di dedicare particolare attenzione al blocco Pci-Cgil, individuata come l’asse portante del mantenimento di potere della sinistra italiana. Obiettivo conseguente doveva, quindi, essere quello di “rompere il controllo comunista sulle organizzazioni sindacali”47, con corrispondente e favorevole attenzione nei confronti degli altri sindacati. Nel dettaglio, il Piano di guerra psicologica per la riduzione del comunismo in Italia, prevedeva due tipologie di azioni, le prime di carattere repressivo nei confronti del partito comunista e dei suoi affiliati, e le altre più dirette alla crescita economica e sociale del paese. Da parte sua, il governo di De Gasperi avrebbe dovuto “apportare
revisioni alla legge elettorale per diminuire la rappresentanza del Pci a tutti i livelli governativi, […] adottare misure legislative e amministrative più vigorose per prosciugare le fonti di finanziamento del Pci in Italia, specialmente quelle provenienti da accordi commerciali con le industrie sovietiche o con altri paesi satelliti, […] ridurre la vendita e la distribuzione di pubblicazioni sovietiche e del Cominform […], prendere misure legali contro tutti coloro che fossero coinvolti in movimenti illegali o nascondessero armi […], favorire i non comunisti nell’affitto di case realizzate con l’utilizzo di fondi lire”49. Più generalmente, il Piano prevedeva un’azione del governo italiano tendente a eliminare l’influenza comunista nei campi della difesa, della sicurezza interna, dell’informazione e dell’economia, nonché a ridurre la presenza dei comunisti all’interno delle industrie statali. Con un duplice e convergente interesse, agli Stati Uniti veniva lasciata mano libera per la localizzazione delle basi americane e alleate, avendo l’accortezza di estromettere da ogni commessa società vicine al Pci e dalla partecipazione ai lavori società e lavoratori vicini alle formazioni di sinistra. Laddove fosse stata maggiore e più radicata la presenza di lavoratori comunisti, gli USA prevedevano anche l’applicazione di speciali contratti offshore, in base ai quali le aziende che avessero voluto ottenere commesse da parte di società americane – e particolarmente da quelle di Stato – avrebbero dovuto preventivamente licenziare gli appartenenti alle cellule comuniste e socialiste.

Risulta che questo genere di contratto venne certamente applicato alle Officine Galileo, e scatenò la ovvia reazione del
sindacato e dei partiti di sinistra, a testimonianza di un impegno costante in difesa dei lavoratori e dei diritti conquistati
con la nascita della Repubblica. Negli anni successivi (e precisamente il 1° gennaio 1957), presso la Caserma Passalacqua di Verona viene istituito il Battaglione Guerra Psicologica, che assume la denominazione di Reparto Guerra Psicologica e viene posto alla dipendenza del Comando Forze Terrestri Alleate del Sud Europa (FTASE), la struttura della Nato sovrintendente tutte le forze di terra del Patto Atlantico. Benché non esista documentazione sufficiente a dimostrare un coinvolgimento del Reparto G.P. nella guerra non ortodossa, il solo fatto che abbia operato per quasi quaranta anni, e direttamente alle dipendenze del Comando FTASE induce a ritenere che il Reparto possa aver funzionato con un ruolo di coordinamento di molte delle operazioni attivate dall’alleanza atlantica nei confronti dei comunisti, e l’ipotesi può ritenersi confermata anche da quanto scritto dal G.I. Mastelloni, nella sua ordinanza sentenza relativa ad ARGO 16: “Dalla deposizione del citato ufficiale [il gen. dell’esercito in ausiliaria Eugenio Cartechini] è emerso che il Battaglione di supporto psicologico aveva avuto origine all’inizio degli anni Cinquanta [e non già nel 1957] con sede allocata presso l’Ospedale militare di Verona […]”50. La sua dipendenza dai Servizi militari americani, dai quali “dipendevano” anche noti elementi neofascisti come Digilio e Soffiati, induce ulteriormente a ritenere che il Battaglione possa aver svolto funzioni non irrilevanti nell’ottica di quella “guerra senza confini” scatenata dagli Stati Uniti nei confronti dell’Italia. La polizia segreta del Ministero dell’interno e il “Gruppo De Nozza”
Documentalmente accertata è, viceversa, la creazione di una speciale struttura presso il Ministero dell’interno tra
la fine del 1958 e l’inizio del 1959, e di rilievo è anzitutto l’emergenza di un pesante scontro tra il Servizio delle Forze
armate – il Sifar – e l’Ufficio Affari riservati del Viminale, in merito al nuovo apparato “occulto” che il Ministro
E’ evidente, sotto questo profilo, come gli americani siano convinti assertori dell’equazione comunismo = povertà,
tanto da ritenere di poter debellare il primo attenuando la seconda: dovrebbe forse, in altra sede, concentrarsi
l’attenzione sugli enormi sforzi economici sostenuti dagli USA, non già con l’intento di promuovere lo sviluppo e la
ricostruzione dei paesi distrutti dalla guerra, bensì con il precipuo obiettivo di eliminare dalla scena politica un partito
che rappresentava una delle due ideologie/potenze, uscite vincitrici dal secondo conflitto bellico. A puro titolo di
curiosità potrebbe, a tal fine, essere utile indagare anche sul capitolo di bilancio del Ministero dell’interno denominato
“fondi UNRRA”. 49 Piano di guerra psicologica per la riduzione del comunismo in Italia, cit. in M. E. Guasconi, op. cit., p.
50 Cfr. Ordinanza-sentenza G.I. Mastelloni, cit., p. 1337 dell’interno intende costituire sopprimendo i vecchi Uffici Vigilanza Stranieri già presenti presso ogni Questura. Tutto origina da una nota del 7 settembre 1958, con la quale il capo centro CS di Trieste informa il Capo dell’ufficio D del Sifar che il Questore del capoluogo giuliano Domenico De Nozza “viene nominato ispettore generale di p.s. e trasferito a Roma con incarico speciale […], destinato a sostituire nell’incarico l’ispettore generale di p.s. dott. Barletta [capo dell’Ufficio Affari riservati]”51. Obiettivo del Ministro dell’interno Tambroni è la costituzione di un ufficio centrale occulto che, sulla scorta del lavoro di De Nozza, sia in grado di effettuare una vera opera di contrasto nei confronti delle forze comuniste.
In una nota dell’11 settembre, il capo centro CS di Trieste specifica la natura e il ruolo che il costituendo ufficio
dovrà avere: “In una prima fase l’obiettivo principale dei predetti [i dirigenti e i funzionari trasferiti a Roma] dovrà essere la penetrazione nel p.c.i. – sia a Roma che nelle province – e la creazione di un nuovo tipo di schedario generale e provinciale, comprensivo dei dirigenti e degli attivisti più pericolosi. [...] Il funzionario [dal quale il capo centro CS assume le informazioni] ha fatto anche trapelare che all’iniziativa di rafforzare e riorganizzare l’ufficio A.R. non sono
estranei gli elementi del servizio americano. […] Il predetto servizio per tale intento ha messo a disposizione ingenti
somme”. E’ una prima, seppure parziale, dimostrazione di come gli Stati Uniti partecipino attivamente alla costituzione di
un organismo segreto costituito con funzioni espressamente anticomuniste. Di più, questa struttura appare configurata
con funzioni anticostituzionali, avendo come sua applicazione primaria, “la penetrazione nel p.c.i.”, un’attività segreta e
clandestina contro un partito legittimamente rappresentato al Parlamento. La preoccupazione del Sifar, tuttavia, non è certo in questa direzione, condividendo in gran parte il Servizio militare i medesimi obiettivi perseguiti dal Ministero dell’interno. La preoccupazione è, viceversa, quella di una invasione di campo da parte del Servizio civile che va riorganizzandosi su nuove basi e con uomini espressamente addestrati a tale scopo. L’appunto del 6 dicembre 1958 proveniente dal centro CS di Napoli esprime chiaramente questo timore, segnalando che “gli uffici vigilanza stranieri, ora aboliti, si ricostituirebbero in sedi occulte, fuori dell’ambito delle Questure per assumere un ordinamento funzionale ed organico molto simile a quello dei nostri centri c.s.”. L’Ufficio D del Sifar gira tre giorni dopo a tutti i centri CS la medesima informazione, riferendo della costituzione di “uffici al di fuori delle Questure e sotto copertura alla stregua dei Centri C.S. del Sifar”. La scelta del Viminale di conferire a De Nozza e ai suoi uomini – Beneforti, Corti e Mangano – un ruolo di tale rilievo è espresso riconoscimento dell’operato della Questura di Trieste in materia di schedatura politica. Secondo un appunto del 21 ottobre del ’58, il Ministro e il Capo della Polizia “sono rimasti particolarmente impressionati da due schedari loro mostrati dal dott. Beneforti e dott. Corti, rispettivamente per la parte politica e per gli stranieri, schedari che in effetti i due avevano ‘ereditato’ dalla polizia civile del già T.L.T. [Territorio libero di Trieste] che a sua volta li aveva così creati per ordine degli inglesi”54. L’efficienza degli uomini di De Nozza impressionò a tal punto i vertici del Viminale che dopo la visita venne data disposizione che “tutti i questori ed i funzionari degli uffici politici d’Italia seguissero un breve corso inf. [ormativo] presso la questura di Trieste”.
E’ quindi in base a queste considerazioni che venne deciso di modellare il nuovo Ufficio politico centrale presso
il Ministero dell’interno. Schedari efficienti, determinazione degli uomini – ne verranno trasferiti da Trieste a Roma diverse decine – e assenza di scrupoli nell’attività di infiltrazione nei confronti della sinistra, che – dopo la presa di posizione del Psi nel 1956 – si identifica unicamente nel Pci e nei suoi esponenti.
L’organizzazione del nuovo Ufficio politico, che avviene con uno spostamento massiccio di uomini da Trieste,
per i motivi suesposti, non sfugge peraltro agli stessi dirigenti del partito comunista, che avvertono come il Ministero
dell’interno intenda proseguire la sua incredibile guerra contro la sinistra.
Un altro aspetto inquietante è il ripetuto riferimento all’OVRA, citato nelle note inviate dai centri CS all’Ufficio
D del Sifar. Il primo appunto nel quale compare un riferimento all’OVRA, è del centro di Bologna che riferisce come i
nuovi uffici “assumeranno una fisionomia analoga alla disciolta OVRA”55, mentre il centro CS di Bari sostiene che la
costituenda struttura dipenderebbe non più dalla Direzione Affari riservati, bensì dalla Direzione Affari vari generali,
proprio “per non avere il sapore di OVRA”, che doveva, con ogni evidenza, aleggiare in quegli ambienti.
Da Bari giunge poi un’ulteriore conferma dell’indirizzo di attività che il Viminale intende dare a questa “polizia
segreta”, nella quale “dovrebbe avere gran parte l’intercettazione: telefonica e postale”. E come peraltro già evidenziato,
in questa attività un ruolo di primo piano è quello degli americani “che seguono da vicino il lavoro del dr. De Nozze
[sic]” e che proprio per le intercettazioni telefoniche “fornirebbero alcune attrezzature tecniche”56.
Nei diversi rapporti che i centri CS inviano a Roma viene poi sottolineato – a riprova della rilevanza di questa
struttura – che i funzionari chiamati a Roma a farne parte godranno per un intero anno dei benefici del personale in una Nota del capo centro CS di Trieste del 7 settembre 1958, in allegato n. 43 alla relazione del ROS Carabinieri nell’ambito del procedimento penale contro G. Rognoni e altri del G.I. di Milano, dott. Guido Salvini.
missione, e comunque successivamente di due terzi dell’indennità di missione, benché formalmente distaccati a presso
gli Uffici del Viminale. Cercare di limitare la portata di una tale operazione sembra davvero impresa impossibile. E’ fuor di dubbio, infatti, che l’organizzazione del nuovo Ufficio politico, con la soppressione in tutte le Questure degli Uffici di vigilanza stranieri (copertura di fatto degli uffici politici), doveva essere a conoscenza del Governo o quantomeno del Presidente del Consiglio, e non si giustificherebbe altrimenti la promozione a Ispettore generale di p.s. di De Nozza e la sua collocazione a capo della Direzione A.R., né il distacco a Roma di decine di funzionari, né tantomeno il contributo tecnico (e forse economico) degli USA per quanto riguarda le intercettazioni.
Nell’omogeneità dei rapporti che dai centri CS giungono a Roma, stupisce tuttavia che il capo centro di Cagliari
affermi che “l’ufficio di vigilanza stranieri […] non è mai esistito in nessuna delle Questure della Sardegna” e che conseguentemente nulla risulti circa una “eventuale organizzazione nell’Isola del nuovo servizio su basi occulte”57. Sebbene non possa aversi conferma, è da ritenere che, con ogni probabilità, in Sardegna non fossero mai stati attivati particolari Uffici politici in considerazione della presenza nell’isola di una struttura già abbondantemente funzionante, e con funzioni in parte analoghe, vale a dire la base di Capo Marrangiu presso la quale era dislocato il centro di Gladio. Si vedrà oltre, che Gladio, lungi dall’essere una solo uno strumento di carattere difensivo, si configura come vera e propria organizzazione adibita al contrasto di ogni mutamento politico e istituzionale a favore delle sinistre. Se si considera, inoltre, che la Sardegna e la Sicilia erano considerate in ambito Nato come i due avamposti occidentali nel caso di un’invasione sovietica dell’Italia, a maggior ragione avrebbe dovuto esserci un Ufficio adibito al controllo dei soggetti ritenuti potenzialmente pericolosi; in altre parole, non era immaginabile che la Nato pensasse di lanciare la propria controffensiva da luoghi che non fossero sotto stretto controllo dell’Alleanza occidentale. Che un Ufficio politico – con ruolo di spionaggio e controllo degli esponenti comunisti – non fosse stato impiantato quantomeno nel capoluogo, si giustifica allora solamente con la presenza in Sardegna di una struttura ben organizzata e funzionante come Gladio.
inserito da domenico marigliano blogger
articolo letto
totale visite sito web prima pagina
totale click accessi sito web la voce del web