GLADIO E I NUCLEI DI DIFESA DELLO STATO
Più recentemente, a seguito della scoperta nel corso delle ultime inchieste sullo stragismo fascista, di una
struttura segreta organizzata in 36 legioni, i Nuclei per la Difesa dello Stato, che vedeva al suo interno uniti insieme civili e militari, personaggi orbitanti nell’area eversiva e alti ufficiali, incaricati – in caso di sovvertimenti interni e di svolte autoritarie – di neutralizzare i comunisti, si è strumentalmente tentato di operare una netta distinzione tra un settore “buono” degli apparati clandestini paramilitari (Gladio) e uno “cattivo” (i Nsd) nel tentativo di legittimare una struttura ideata per finalità antinvasione la quale, al di là delle motivazioni formali, aveva tra i suoi principali scopi l’uso “interno” del tutto illegittimo. In realtà, si possono nutrire seri dubbi sul fatto che i Nds siano stati un’organizzazione alternativa a Gladio. Più verosimilmente si può parlare di “operazione”, come giustamente ha ipotizzato il professor Aldo Sabino Giannuli, nella sua relazione peritale al giudice istruttore di Milano, Guido Salvini58.
Le considerazioni di Giannuli trovano un riscontro nelle parole di Vincenzo Vinciguerra, il quale negli ultimi
anni ha ricostruito con lucidità e onestà intellettuale il funzionamento delle strutture eversive in Italia e la colpevole connivenza tra apparati dello Stato, strutture Nato e organizzazioni della destra eversiva e/o radicale.
Ha detto Vinciguerra a proposito dei Nds: “Non si può trovare traccia di una organizzazione che non esiste. I
Nds sono, a mio avviso, una operazione e non una organizzazione. Quando il colonnello Spiazzi fece presente
l’esistenza delle cosiddette Legioni, diede l’opportunità di realizzare un depistaggio che andava a coprire la struttura Stay Behind o, comunque, la vera organizzazione atlantica […]
Il problema insormontabile è riconoscere processualmente che agli Stati Uniti, dal 1945 ad oggi, è stato
consentito di avvalersi di cittadini italiani come agenti clandestini. Vi invito ulteriormente a riflettere su quale enorme
errore politico sia stato accreditare i Nuclei di difesa dello Stato come organizzazione alternativa alla Stay Behind, in
mancanza di conferme documentali, realizzando un parafulmine per le attività illegali dell’organizzazione Nato, tant’è
che, come risulta giornalisticamente, gli stessi gladiatori si fanno scudo dei Nuclei di Difesa dello Stato”.
Ma, al di là delle altre operazioni che verosimilmente hanno avuto momenti di contatto con la Gladio, i
documenti e le testimonianze smentiscono in maniera categorica che la sola ed esclusiva finalità della Stay Behind fosse
l’organizzazione delle resistenza dietro le linee sovietiche in caso di invasione dell’Italia e, in particolar modo, delle regioni del nord-est. Significativa è la testimonianza di Luigi Tagliamonte, strettissimo collaboratore del generale De Lorenzo, già capo dell’ufficio amministrazione del Sifar e, in seguito, capo dell’ufficio programmazione e bilancio del Comando generale dell’Arma dei carabinieri: “Sapevo che presso il Cag (il Centro addestramento guastatori di Capo Marrargiu, base di Gladio, nda) si effettuavano dei corsi di addestramento alla guerriglia, al sabotaggio, all’uso degli esplosivi al fine di impiegare le persone addestrate in caso di sovvertimenti di piazza, in caso che il Pci avesse preso il potere. Tanto sapevo io trattando pratiche di ufficio al Sifar e relative al Cag. Oggi penso, riportandomi ai miei ricordi, che la citazione della eventuale invasione del nostro Paese, a proposito della necessità della struttura ove era incardinato il Cag, era un pretesto (…) Il mio pensiero, testè formulato, deriva dal contenuto dei contatti che avevo con il Maggiore Accasto e con il Capo Sezione CS Aurelio Rossi i quali, senza scendere nei dettagli, mi rappresentavano che il Cag esisteva per contrastare eventuali sovvertimenti interni e moti di piazza fatti dal Pci ”. La testimonianza di Tagliamonte ha trovato puntuale conferma in numerosissime altre deposizioni di ufficiali del servizio segreto militare, ovvero di civili che avevano fatto parte dell’organizzazione paramilitare clandestina. La più autorevole è del generale dell’Aeronautica, Antonio Podda, vice-capo del Sifar durante la gestione Henke. Ha riferito Podda che Gladio in realtà era “una struttura anti-Pci per l’interno e anti-sovietica per l’esterno [...] Il capo servizio mi disse che la struttura avrebbe dovuto funzionare anche rispetto a moti di piazza rilevanti”.
Le testimonianze di Tagliamonte e Podda, si potrebbe obiettare, per quanto autorevoli, provengono pur sempre
da elementi che non avevano fatto parte della struttura e che hanno raccontato quanto a loro volta riferito, ma non conosciuto per esperienza diretta. Premesso che difficilmente il vice-capo del Sid o il responsabile dello “strategico” ufficio amministrativo del Sifar avrebbero potuto aver ricevuto informazioni anche parzialmente distorte, mentre è più verosimile che le notizie da loro raccolte corrispondessero alla realtà dei fatti, magari occultata nei documenti ufficiali, c’è da aggiungere che, a conforto delle affermazioni di Tagliamonte e Podda, esistono altre inequivocabili testimonianze provenienti da persone che hanno fatto parte della struttura e che non sono minimamente sospettabili di avere motivi di osilità verso la struttura segreta nella quale hanno militato.
Vi sono, infatti, dichiarazioni provenienti dai gladiatori che riferiscono quale fosse "l'indottrinamento ricevuto"
circa le ragioni della presenza di Gladio. Secondo Vittorio Andreuzzi, simpatizzante del Movimento sociale, arruolato
Speciale (Ros) dei carabinieri, Trasmissione di schede relative ai personaggi emersi nel corso delle indagini e ritenuti
inseriti in strutture di intelligence statunitensi e atlantiche, Roma, 26 giugno 1997.
Sentenza-Ordinanza del GI Carlo Mastelloni, p. 1362-3. Cfr. dep. Tagliamonte 8.12.90.
Cps. Interrogatorio di Antonio Podda al GI di Venezia, Carlo Mastelloni. nel 1959 dal suo amico Mattia Passudetti, da lui indicato come "fascista sfegatato" e risultato iscritto al partito nazionale fascista, ai gladiatori "fu spiegato dagli istruttori che la nostra organizzazione, che doveva rimanere segreta, sarebbe dovuta entrare in funzione per contrastare moti di piazza comunisti. Non fu detto, se non con brevi cenni, che la struttura doveva servire anche per contrastare una invasione straniera. Ricordo con certezza che più che altro si parlò, da parte degli addestratori, della necessità di prepararci a fronteggiare i comunisti italiani e le loro iniziative sovversive". I corsi di addestramento riguardarono "il tiro con armi leggere, lo studio circa il confezionamento di ordigni esplosivi. Simulavamo anche attacchi notturni su obiettivi prestabiliti. Non ricordo di preciso i nomi degli istruttori, ma mi pare che ce ne fosse uno che si chiamava Giorgio. Quest'ultimo ci spiegava che i comunisti italiani avevano delle squadre di persone pronte ad agire contro il Governo e ci diceva che noi dovevamo addestrarci a far fronte ad un tale tipo di attività sovversiva dei comunisti". Va segnalato, per inciso, che il nome di Andreuzzi non compare nella lista dei 622 pur essendo stato arruolato e pur avendo partecipato a più esercitazioni, a conferma della falsità di quell'elenco e della manipolazione dell’archivio, di cui parleremo meglio in seguito. A sua volta Giorgio Castagnola62ha ricordato di aver partecipato ad una "operazione S/B" intorno al 1958. Questa consisteva nel predisporre nuclei di resistenza composti da personale civile che dovevano attivarsi: - nel caso d'invasione di un esercito straniero nel territorio nazionale; - nel caso di un sovvertimento delle istituzioni o presa di potere da parte di settori non democratici. L'attivazione dei nuclei si sarebbe avuta anche nel caso che il Governo legittimo fosse stato rovesciato.
Anche in questo caso sono evidenti le finalità interne dell’organizzazione. Ma le testimonianze provenienti dall’interno della struttura sono tutte concordi. Ad esempio, Franco Marinoni, anch'egli gladiatore, intorno alla primavera del '70 fu avvicinato da Ferdinando Bacchini, suo conoscente di università, che, dopo avergli chiesto quale fosse il suo orientamento politico, gli propose di entrare a far parte di una organizzazione che lui "definì" di ambito Nato, con compiti di creare una opposizione interna in Italia nel caso in cui il Pci fosse arrivato al potere. Nessun riferimento – come si vede – ad una ipotetica invasione. E furono questi i motivi per i quali Marinoni decise di aderire.
E ancora: Duilio Maiola ha così spiegato i compiti dell'organizzazione Gladio di cui era entrato a far parte:
a) nel caso d'invasione da Est
b) nel caso della presa del potere da parte di comunisti italiani. “Ci fu detto che l'organizzazione avrebbe dovuto
opporsi alle ipotesi di presa del potere da parte dei comunisti italiani senza che venisse mai precisato se l'attivazione si
sarebbe avuta nel caso di sola presa violenta del potere da parte dei comunisti. Il quesito ci sarebbe stato anche nell'ipotesi che i comunisti arrivassero al potere mediante elezioni. Ricordo proprio che fu detto che, se i comunisti avessero preso il potere, noi ci saremmo dovuti mettere in contatto con la centrale per avere disposizioni”.
Ecco poi altre forme di indottrinamento del tutto illegittime: il gladiatore Faleschini ha ricordato che “...ad un
corso di Alghero il signor Sandro ed anche, dopo, il signor Decimo (Decimo Garau, nda) ci dissero più volte che dovevamo tenere sotto controllo i comunisti dei rispettivi paesi perché nel caso vi fosse stato un conflitto con i Paesi dell'Est, questi li avrebbero appoggiati. Ci fu detto dai predetti responsabili che in caso di conflitto avremmo dovuto neutralizzare i comunisti del paese ritenuti più accesi e pericolosi arrestandoli e deportandoli. Ogni volta che sono stato in Sardegna il signor Sandro e il signor Decimo, dopo, hanno fatto riferimento a quanto io ho testé riferito circa il comportamento da tenere nei confronti dei comunisti italiani. Ricordo anche che il signor Sandro e il signor Decimo come anche il signor Giorgio ed il signor Pino oltre che Paolo Desabata mi dissero diverse volte che se i comunisti fossero arrivati al potere, anche se per via elettorale, per noi dell'organizzazione sarebbero stati tempi duri e che in tal caso avremmo avuto due sole alternative:
1) o scappare all'estero;
2) darsi da fare in Italia per continuare una resistenza contro il regime comunista eventualmente instaurato anche
di carattere militare. Fu detto che ci saremmo dovuti opporre, con la nostra organizzazione, ad una presa del potere dei
comunisti italiani. Ricordo che a questi discorsi fatti dai superiori ad Alghero ed alla località vicino a Roma erano presenti con me un tale signor Roberto credo di Udine ed un tale signor Luigi, sempre friulano, nonché il signor Bruno Zamparo”. Non basta. C’è anche la testimonianza di Giuseppe Tarullo, gladiatore proveniente dalla Fanteria paracadutisti, entrato al Sifar nel 1961, il quale ha riferito “(…) Fra di noi si parlava anche di finalità interna della struttura Gladio. Si diceva che la struttura e gli esterni sarebbero stati attivati anche antisovversione interna, a mo’ di supporto operativo per le forze speciali. Per sovversione interna intendevamo una mutazione di regime che esulava dalla volontà della Autorità costituita”. Infine il gladiatore Giuseppe Andreotti ha confermato che “La struttura Gladio rispondeva ad una logica Al pm Militare di Padova, 22 marzo 1991. Gli interrogatori della procura militare di Padova sono riportati nella sentenza-ordinanza del GI di Bologna, Leonardo Grassi. Al pm Militare di Padova, 27 marzo 1991.
Al pm Militare di Padova, 12 aprile 1991. 65 Cfr. Sentenza-Ordinanza del GI di Bologna, Leonardo Grassi, p. 159.
interna, nel senso che ho già detto, che doveva reagire all'instaurarsi in Italia di regimi invisi alla popolazione (…)
cioè dittature di destra o di sinistra”. La finalità interna e anticomunista della struttura è evidente. Ma da un’importantissima testimonianza del generale dell’Esercito, Manlio Capriata, capo dell’ufficio R del Sifar tra il febbraio e il giugno del 1962, si può affermare che – al di là delle semplici teorizzazioni – Gladio fu realmente utilizzata, senza bisogno di attendere l’invasione dei paesi dell’Est.
In particolare, i “sabotatori del Cag” furono impiegati per ordine del generale De Lorenzo in missioni contro il
terrorismo altoatesino. La testimonianza di Capriata è illuminante: “Nel Cag di Alghero si svolgevano corsi speciali di addestramento frequentati da civili in funzione di contrasto nei confronti di truppe straniere o di strutture sovversive interne ed anche provenienti dall’estero (…) Era ovvio peraltro che la V sezione di Rossi fosse attivata per emergenze interne e temporanee e che gli addestrati, attraverso contatti riservati, fossero attivati come fonti (…)”.
In un successivo interrogatorio, il generale è stato ancora più chiaro: “Ribadisco che la V sezione, quindi la organizzazione S/B e cioè il Cag, aveva una funzione antisovversiva anche in caso di presa del potere da parte delle forze di sinistra. Durante la mia gestione era in atto il movimento antiitaliano degli altoatesini. Nell’aprile del 1962 fui convocato dal generale De Lorenzo, il quale mi disse che avrebbe attivato anche gli elementi dell’Alto Adige facendo riferimento ai guastatori gestiti dal Cag e residenti in Alto Adige. Mi disse che i provvedimenti in zona – già impiegati dall’ufficio D retto da Viggiani – si erano rivelati insufficienti e che pertanto si doveva ricorrere ad elementi particolari (…) Per quanto mi risulta – e tanto dico in ordine al periodo della mia gestione – fu l’unica volta che furono attivati in Alto Adige i guastatori addestrati ad Alghero (…) L’impiego in Alto Adige della struttura antinvasione, e quindi dei guastatori, costituì una sorta di deviazione perché circa il terrorismo altoatesino la competenza apparteneva all’ufficio D e non all’ufficio R”. Le testimonianze trovano conferma in diversi documenti sequestrati nell’archivio della VII Divisione del Sismi. Per comodità se ne citano solo alcuni: Nel documento Gladio/41 del 3 dicembre 1958, dal titolo: “L’operazione Gladio a due anni di distanza dall’accordo del 26 novembre 1956 tra i due servizi”, era stato chiaramente scritto che tra i compiti della struttura, in particolare l’unità di guerriglia Stella Alpina, c’erano:
In tempo di pace: controllo e neutralizzazione delle attività comuniste […].
L’uso interno della struttura è stato ribadito nel documento: “Le forze speciali del Sifar e l’operazione Gladio”
del 1/6/1959 del Sifar, ufficio R sezione Sad, il quale al punto III, relativo all’importanza delle predisposizioni di
Gladio, afferma: “La prima è di carattere oggettivo e concerne cioè i territori e le popolazioni che dovessero
malauguratamente conoscere l’occupazione o il sovvertimento, territori e popolazioni che dall’operazione Gladio
riceverebbero incitamento e appoggio ala resistenza”. Il sovvertimento era rappresentato dall’eventualità di una presa di potere da parte dei comunisti del Pci i quali, in quel periodo, erano una forza politica rappresentata in parlamento che partecipava alle elezioni.
La natura e le finalità di Gladio
In definitiva, sul punto, si può affermare senza tema di smentita che: la presunta invasione da Est era solamente una – e non l’unica - delle finalità della struttura S/B, utilizzata (vedi deposizione Tagliamonte) quale paravento per mantenere in piedi un altro tipo di organizzazione. Evidenti, al contrario, sono le finalità interne di Gladio, il cui scopo (come gli stessi “indottrinatori” hanno spiegato ripetutamente ai loro “allievi”) era quello di contrastare un partito politico, il Pci, democraticamente chiamato a rappresentare le istanze di milioni di italiani attraverso le libere elezioni.
Il segreto Nato con il quale è stata protetta Gladio è servito a proteggere anche altre operazioni illegali, tra cui i
Nuclei di Difesa dello Stato, con il fine ultimo di combattere le forze di sinistra italiane. Proprio il gen. Serravalle ha
così riferito al giudice Grassi nell’ambito dell’istruttoria sull’Italicus bis: “Mi domando se la struttura abbia avuto
qualche rapporto con il c.d. piano Solo o comunque con attività eversive. Non vorrei che Gladio avesse rappresentato
una specie di coperchio per qualcosa di ben diverso. Che cioè ci fosse una struttura presentabile, appunto la Gladio, ed
un’altra, al di sotto, impresentabile con finalità non lecite”. Tutto ciò fa ritenere che la natura di Gladio era del tutto illegale. Un’ulteriore prova è rappresentata dalla “dichiarazione di impegno” sottoscritta su un documento “segretissimo” a seguito del quale la persona “arruolata” riceveva il mandato di assolvere “compiti militari speciali nell'ambito dell'organizzazione […] militare speciale, dipen-dente dallo Stato Maggiore della Difesa collegata sul piano Nato a quella di altri Paesi e si prefigge lo scopo di assi-curare alle Autorità nazionali il controllo ed il collegamento con quei territori e quelle popolazioni che dovessero […] subire l'occupazione da parte di potenze o eserciti stranieri [...] Nello stesso momento dichiaro di essere consapevole della assoluta necessità di rispettare e far rispettare le norme della più stretta sicurezza, in omaggio al dovere della tutela del segreto militare [...] L'organizzazione militare speciale, da parte sua, porrà in atto il più rigido sistema di sicurezza per la difesa del segreto e per la tutela delle persone organizzate...”.
Sappiamo, al contrario, dalle numerose ed inequivoche testimonianze, che i gladiatori venivano reclutati da una
struttura segreta dei nostri Servizi Segreti ed adibiti solo eventualmente a compiti di difesa in caso di invasione, poiché
venivano addestrati ed indottrinati per impedire che una forza politica nazionale potesse democraticamente accedere a
compiti di governo. Gli stessi civili venivano reclutati tra elementi di destra, affinché intorno alle forze armate crescessero strutture clandestine che tutelassero la conservazione del potere. Per fare questo era necessario disporre di strutture come Gladio di altre formazioni paramilitari, eversive e terroristiche che erano state attivate parallelamente a Gladio. Tutte queste forze si rifacevano ad esponenti dei nostri Servizi Segreti, delle nostre Forze Armate, della Cia o
degli altri apparati informativi statunitensi e della P2. Il fine ultimo era quello di delegittimare una forza politica che aveva piena cittadinanza costituzionale ad opera di altre forze che avevano fatto in modo che l’opposizione di sinistra in Italia venisse ritenuta una forza straniera nel nostro territorio ed anzi ostile ad esso. In pratica considerare – contro ogni verità storica e ogni valutazione politica minimamente corretta – il Pci quale diretta emanazione di Mosca e pronto a guidare una insurrezione popolare. Per inseguire questa visione sono state formate strutture segrete con il contributo decisivo di forze neofasciste che la nostra Costituzione poneva fuorilegge. Corretta e condivisibile sembra l’affermazione del giudice istruttore di Bologna, dott. Leonardo Grassi: “La Gladio, con quell'impegno di fedeltà rivolto esclusivamente allo Stato Maggiore della Difesa, con quel patto omertoso che si sottoscriveva, confliggeva apertamente con l'art. 52 e 87 della Carta costituzionale”. Non va dimenticato, inoltre, che le conoscenze sulle reali attività di S/B e sul numero dei suoi aderenti, hanno incontrato un arduo ostacolo nei continui tentativi di depistaggio e di sottrazione di documenti realizzati da coloro i quali volevano nascondere gli aspetti più inconfessabili della struttura. Come si è visto, documenti e testimonianze smentiscono in maniera inconfutabile la teoria dell’unica finalità anti-invasione. E’ inoltre documentalmente (e giudiziariamente) provato che i vertici del Sismi hanno mentito sul numero effettivo dei gladiatori (622 in totale dalla fondazione allo scioglimento dell’organizzazione) e hanno tentato di sottrarre documenti o manipolato i fascicoli esistenti.
In particolare, l’A.G. di Roma ha riscontrato la distruzione di documentazione che, per la sua natura, non poteva
essere eliminata, né sottratta ad eventuali successivi controlli: tra tutti è sufficiente qui ricordare la soppressione dei registri ove veniva annotata la distruzione di altri documenti. Di grande interesse sono inoltre una serie di rilievi, messi in luce dall’AG di Bologna, la quale ha indagato con particolare cura su tutte le apparenti incongruenze di S/B.
E’ stato evidenziato che:
1) Il registro degli aderenti alla S/B è rubricato secondo criteri alfabetici accompagnati, solo accessoriamente, da
quello numerico delle sigle, in parte incompleto. Ne consegue la necessità logica che esista altro registro ordinato con il
criterio numerico al fine di consentire la assegnazione della sigla che consegue a quella attribuita da ultimo;
2) Circa novanta nominativi risultano reclutati prima ancora che venissero richieste informazioni sul loro conto,
alcuni anche di vari anni;
3) Un nominativo, quello di Maria Elena Fassi, pur inserito nell'elenco dei 240 esclusi dalla struttura Gladio,
risulta invece anche nell'elenco “segnalati da Stelvio, Sergio M.” come persona “aderita da addestrare”. Inoltre
nell'elenco dei “segnalati”, composto da 42 nominativi, 31 fanno parte dei 240 “esclusi”, 5 dei 622 ammessi, mentre i
restanti 6 dei 1029 “non inclusi”;
4) Nell'elenco dei 622 “ufficiali” figurano 94 nominativi con esito informazioni “N” (negativo) e “PN”
(parzialmente negativo). Per due di essi risulta “cessato rapporto”; 14 nominativi hanno l'annotazione “non aderito”, “non avvicinato”, “eliminato”, “dimissioni”; 216 nominativi sono poi privi di data di reclutamento.
Al contrario, dei 236 nominativi esclusi, ben 204 risultano con esito informazioni “P” (positivo). Infine
nell'elenco dei 1029 “non inclusi” figurano invece 18 nominativi con data di reclutamento (anche se 10 di essi sono annotati con “non aderito”);
5) Sono allo stato incomprensibili i tre codici particolari alfanumerici (uno dei 622 e uno dei 1029) rilevati nella
casella “data di reclutamento” di altrettanti nominativi, così come il codice “acqua” attribuito a 25 nominativi (7 dei 24
e 18 dei 1029), secondo un ordine progressivo di sigla;
6) In un documento senza data classificato “segretissimo” ad oggetto “operazione Gladio”, nel quale si tracciano
le date fondamentali della nascita e dello sviluppo di tale operazione, il Servizio fornisce alcuni dati relativi alle
consistenze organiche previste e già reclutate che dovrebbero riferirsi ad epoca non anteriore al 1989, ultima data menzionata nel documento, nel quale si legge: “per la condotta delle operazioni clandestine si prevede di impiegare circa 1000 elementi esterni di cui 300 già reclutati ed addestrati, avendo limitato l'addestramento al sabo-taggio/controsabotaggio ed alla guerriglia ad appartenenti al Servizio particolarmente selezionati”.
Tali cifre sono però contraddette da altro documento ufficiale del Sifar Ufficio "R" Sezione Sad-Smd datato 1
giugno 1959 e denominato "Le forze speciali del Sifar e l'operazione Gladio", nel quale vengono indicati, come forze
previste, "1672 elementi più 1500 mobilitabili", suddivisi in 40 nuclei ("I" informazione, "S" sabotaggio, "P"
propaganda, "E" evasione e fuga, "G" guerriglia) e di 5 unità di guerriglia di pronto impiego - acronimo U.P.I. ("SA"
Stella Alpina, "S.M." Stella Marina, "RO" rododendro, "AZ" Azalea, "GN" Ginestra);
7) Agli atti sono stati poi rilevati riferimenti a due ulteriori U.P.I., evidentemente create successivamente e in un
contesto di ampliamento della struttura, quali la "GA"- Garofano (tra l'altro dislocata a Bologna) e la "PR"
presumibilmente Primula, a cui non può che essere derivato un accrescimento del personale.
La stessa cifra degli elementi base, cioè provenienti dalla struttura Osoppo inglobati nella Gladio, contraddice i
numeri ufficiali: infatti l'unità di guerriglia di pronto impiego operante nel Friuli e denominata Stella Alpina si
riallaccia, come da documenti ufficiali "alla preesistente organizzazione Osoppo, della consistenza attuale di circa 600
uomini e tendente a mille unità di pronto impiego più altre mille mobilitabili (…)";
8) Circa "l'assorbimento" da parte della 1^ Sezione dell'Ufficio "R" della organizzazione Stella Alpina, ex
Osoppo, vedi nota Sifar del 28.11.1957 (direttive per l'attività della Sezione e del Cag). Anche dalla documentazione
inoltrata dalla Procura Militare di Padova si ha conferma di tale contraddizione. Il documento del Sifar Ufficio "R" Sezione S.A.D. del 27.2.1961 afferma che " (…) Le forze di emergenza organizzate dal Sifar (parte in atto e parte mobilitabili) assommano a 3275 unità, con le relative dotazioni speciali, armi, munizioni [...]";
9) La cifra dei 300 elementi già reclutati almeno al 1989, viene altresì contraddetta da un altro documento
ufficiale, il registro aderenti Gladio, tramite il quale si sono potute rilevare le date di reclutamento che, al 1989,
indicano come reclutati non meno di 405 elementi, cui vanno aggiunte altre 216 unità che in tale elenco non hanno la
data di reclutamento.
Gladio e la Commissione Stragi
In definitiva la Stay Behind, pur essendo stata messa in piedi per scopi in parte comprensibili, nell’ottica della
contrapposizione politica e militare Est-Ovest negli anni della “guerra fredda”, si è ben presto – o contestualmente – trasformata in una struttura anticomunista con fini interni, utilizzata come copertura di altre iniziative inconfessabili del servizio segreto (piano Solo, squadre di provocatori di Rocca, vedi i diari del generale dei carabinieri, Giorgio Manes) e mantenuta attiva anche in un periodo storico nel corso del quale anche il più acceso degli anticomunisti italiani avrebbe potuto comprendere che nel nostro paese non esisteva alcun pericolo di insurrezione armata comunista. La struttura Gladio era perciò del tutto illegittima e il suo mantenimento per tanti anni è risultato in netto contrasto con il dettato Costituzionale. Gli stessi ideali patriottici sbandierati come giustificazione morale, vanno fortemente ridimensionati, apparendo chiaro che il sistematico saccheggio dell’archivio impedisce di prendere per buone le affermazioni date dai dirigenti del Sismi del tempo.
Oltre a questa valutazione, va ribadito il giudizio fortemente critico a suo tempo espresso dalla Commissione
presieduta dal compianto senatore Libero Gualtieri. Così si esprimeva la relazione conclusiva sugli avvenimenti di Gladio, redatta dalla Commissione: “Lasciando per un momento impregiudicata la questione della ‘legittimità iniziale’
di Gladio, è certo che, con il trascorrere degli anni e il mutare delle situazioni, Gladio si è caricata di una ‘illegittimità
progressiva’. Tre sono i momenti nei quali tale illegittimità emerge. Il primo è quello della ‘capacità’ del Sifar di farsi oggetto di accordi internazionali al posto del Governo e del Parlamento. E’ indubbio che il Sifar non aveva alcun titolo per questo, da chiunque e in qualsiasi modo autorizzato. […] Un servizio segreto non può impegnare il Governo né può impegnarsi per il Governo. […] Il secondo problema riguarda invece la presunta appartenenza di Gladio alla Nato. […] Se si accetta questo, e cioè che la partecipazione a pieno titolo agli organismi Nato costituisce la legittimazione ‘istituzionale’ di Gladio, allora la data di inizio non dovrebbe essere più quella del 28 novembre 1956 (accordo Sifar-Cia), ma quella del 19 maggio 1959 quando l’Italia (Sifar) fu ammessa nel Coordination and Planning Committee (CPC) istituito dal comandante in capo delle forze Alleate in Europa (SACEUR), generale Dwight Eisenhower. In questo caso, che ‘legittimazione’ aveva Gladio negli anni precedenti il 1959?
[…] Il terzo momento in cui appare con evidenza, e si viene aggravando, l’illegittimità di Gladio è quando nel
1977, per la prima volta con una legge dello Stato, furono riformati i nostri servizi segreti. […] il Sisde impegnato nella
tutela della sicurezza democratica all’interno, il Sismi in quello della sicurezza esterna. A quale servizio andava
‘appoggiata’ Gladio?
Il problema – prosegue la Commissione – non sfiorò in alcun modo i responsabili politici.
[…] Ancora più grave la violazione commessa nei confronti del Comitato parlamentare [di controllo sui servizi].
[…] Gladio doveva rimanere nella sua ‘invisibilità’. E al Comitato non ne fu data alcuna notizia, sia pure
approssimativa e generale.
C’è di più. Quando nel comitato parlamentare furono rivolte precise domande sulla esistenza nel Sismi di
strutture riservate, si disse che non ne esistevano nel modo più assoluto.
[…] La decisione assunta dall’ammiraglio Martini nel 1984 di far sottoscrivere il documento di ‘presa
conoscenza’ ai Presidenti del Consiglio e ai Ministri della difesa, non solo non sanò l’illegittimità in atto, ma la aggravò
ancora di più, perché il consenso così ottenuto aveva il solo scopo di alleggerire la responsabilità di chi chiedeva la firma e di lasciare nei guai chi la concedeva”.
Con efficacia, la Commissione presieduta dal sen. Gualtieri assume questa definizione, mutuata da una sentenza
della Corte Costituzionale, pur relativa ad altre vicende: “atti gravati da ipoteche di illegittimità costituzionali vengono
‘tollerati’ al loro primo apparire, ma nella loro ripetizione, confermando e ribadendo la violazione delle norme
costituzionale, vengono a non poter più essere tollerati e ad essere colpiti da innegabile illegittimità costituzionale”74.
I Nuclei di Difesa dello Stato
Nel corso delle indagini sugli attentati fascisti degli anni Sessanta e Settanta, nonché delle istruttorie per la strage
di Brescia e quella cd. Italicus bis, da alcune testimonianze – prima di tutte quella del colonnello Amos Spiazzi,
recentemente condannato in primo grado all’ergastolo per la strage di via Fatebenefratelli – è emersa, come già
accennato, l’esistenza di un’altra organizzazione paramilitare clandestina.
L’esistenza di questa struttura, chiamata Nuclei di Difesa dello Stato o Legioni, è evidenziata solo attraverso
diverse testimonianze, mentre non risulta una chiara documentazione che ne dimostri l’esistenza.
Ciò vuol dire che non si è trattato di un’organizzazione, ma di un’operazione militare, ideata per potenziare il
dispositivo anticomunista nella fase più acuta dello scontro che va dal 1964 (piano Solo) al 1974 (stragi fasciste
propedeutiche ad un colpo di Stato o ad una svolta autoritaria).
Con i Nds, come detto, si è in una prima fase cercato un “alibi” per Gladio, inserendo strumentalmente una
differenziazione tra struttura “buona” e struttura “cattiva”. In realtà Gladio e Nds, su piani diversi, rientravano negli schemi della Guerra rivoluzionaria e seguivano i precetti della “Guerra non ortodossa”. Si trattava di iniziative illegittime e illegali, possibili solo attraverso la protezione di apparati militari dello Stato e strutture della Nato.
Ma veniamo alla testimonianza di Amos Spiazzi (già arrestato nel corso dell’istruttoria sulla Rosa dei Venti) il
quale, in più occasioni, ha però tentato di minimizzare il ruolo dell’organizzazione e/o operazione:
Secondo Spiazzi a partire dal 1966/1967 e sino al 1973, contestualmente all'acuirsi dei conflitti a livello europeo,
si affiancò a GLADIO una seconda struttura denominata Nuclei di Difesa dello Stato, anch'essa addestrata al Piano di
Sopravvivenza e i cui componenti erano suddivisi secondo funzioni specifiche analoghe a quelle di Gladio. Anche questa struttura contava ragionevolmente un considerevole numero di aderenti, forse intorno ai 1500, dal momento che l’ordinovista veronese Giampaolo Stimamiglio, il quale era membro di uno dei gruppi, ha fatto riferimento a 36 "Legioni" territoriali e la sola Legione di Verona era formata da 50 elementi;
- Gladio e Nds erano integrati nel dispositivo di sicurezza della Nato, tanto che alcuni dei suoi componenti erano
stati inviati in Germania Federale per un seminario di aggiornamento;
L'Organizzazione di Sicurezza o Nuclei di Difesa dello Stato non era, tuttavia, l'unico livello di intervento, ma
esisteva un livello "inferiore" destinato alla promozione e alla propaganda delle idee-base di tale realtà, denominata Organizzazione di Supporto e di Propaganda. Ha raccontato Spiazzi in un memoriale consegnato all’autorità giudiziaria: “Con l'aumentare della propaganda marxista extraparlamentare e dopo la dura contestazione al sistema avvenuta nel 1968 (…) l'attacco contro le Forze Armate divenne capillare e insieme plateale (…).
In seguito a tali attacchi, l'intera struttura militare venne messa in discussione.
I soldati furono disarmati, le sentinelle tolte dalle garritte, l'uniforme, da abito sacro, ridotta a tuta da lavoro (…)
Nelle riunioni Sios degli ufficiali "I" fu sollecitata una collaborazione sempre più stretta con le associazioni
d'Arma, con associazioni politiche esistenti quali gli Amici delle Forze Armate, l'Istituto Pollio, il Combattentismo
attivo ecc., per unificare le forze in una attiva opera di difesa, di sostegno e di propaganda in favore delle Forze Armate
e dei valori da esse rappresentate.
Forse uno degli elementi aggreganti più valido per attuare tale organizzazione fu, proprio a Verona, il
Movimento Nazionale di Opinione Pubblica, retto dal generale Nardella, con disponibile un giornale a discreta tiratura e
una notevole capacità aggregante. Divenuto il braccio destro del generale Nardella, collaborai con i miei scritti al giornale "L'Opinione Pubblica", organizzai o partecipai a conferenze e dibattiti, tentai aggregazioni, unitamente al generale, contattando Adamo Degli Occhi della Maggioranza Silenziosa di Milano, il giornalista Sangiorgi, direttore di "Primalinea" [confidente dell’ufficio Affari riservati del Viminale con il nome in codice Drago], associazioni combattentistiche e d'Arma, il Fronte Nazionale del principe Borghese, mentre il generale Nardella non volle la collaborazione del Centro Studi Ordine Nuovo, benché io conoscessi personalmente molto bene Besutti e Massagrande.
Lo scopo della Organizzazione di Supporto e di Propaganda era quello di creare nel Paese una capillare rete di
appoggio e di sostegno morale alle Forze Armate e di riaffermazione di quei valori patriottici di cui ogni Esercito, in
ogni Regime, è il depositario (…).
Ogni mia attività esercitata fuori servizio in seno a tale organizzazione era nota ai superiori Uffici "I" e al Centro
C.S. di Verona al quale inviavo il giornale L'Opinione Pubblica”75.
Di tale Organizzazione di Supporto e di Propaganda facevano parte, oltre allo stesso Spiazzi, l’ordinovista
Giampaolo Stimamiglio, nella sua veste di "teorico" organizzatore di conferenze e seminari, e Roberto Cavallaro, il finto magistrato militare che aveva la funzione di raccordo fra gruppi di varie regioni d'Italia e di procacciatore di finanziamenti, diventato poi il principale teste d’accusa nel processo sulla Rosa dei Venti.
Infatti, non a caso, l'area investita da tali iniziative coincide in buona parte con quella coinvolta nelle indagini
sulla Rosa dei Venti (dal generale Nardella fuggiasco dopo il mandato di cattura emesso dal G.I. Tamburino e nascosto
in un appartamento del capo del Mar, Carlo Fumagalli al Fronte Nazionale del principe Borghese) o comunque con l'area contigua ai gruppi oggetto di tale indagine (la "Maggioranza silenziosa" dell'avvocato Adamo Degli Occhi, alle
cui manifestazioni partecipavano iscritti al Msi, quali Ignazio La Russa e persone che erano parte integrante di
organizzazioni eversive, quali Giancarlo Rognoni e Nico Azzi).
Francesco Baia, già alle dipendenze del colonnello Spiazzi durante il servizio militare, ha ammesso76 di aver
fatto parte dal 1971, anche dopo la fine del servizio militare, di una cellula della Legione di Verona - di cui era capo
cellula Ezio Zampini - e di essere stato messo al corrente del Piano di Sopravvivenza. Ha ricordato di aver partecipato,
nella cantina dell'abitazione del colonnello Spiazzi con i cinque componenti della sua cellula, ad una lezione tenuta da
un sergente dei paracadutisti sull'uso di trappole esplosive e sul loro disinnesco, lezione comunque finalizzata, secondo
la sua versione, solo ad apprendere tecniche difensive. Ha poi aggiunto che la struttura delle Legioni era seria ed estremamente compartimentata, tanto da avergli consentito di conoscere solo l'identità dei componenti della sua cellula, e che l'organizzazione era probabilmente inquadrata in un ambito Nato, elementi che confermano quindi il quadro complessivo dei Nuclei delineato con maggiore ampiezza dagli altri testimoni.
Dei Nuclei ha parlato anche Enzo Ferro: l'organizzazione doveva istruire civili e militari ad un "piano di
sopravvivenza" dai contorni e dalle finalità assai equivoche vista anche la presenza di elementi ordinovisti. Le
dichiarazioni di Ferro sono state giudicate dalla magistratura molto attendibili in quanto corroborate, nelle loro linee essenziali, prima dal veronese Roberto Cavallaro e poi, con qualche reticenza, dall'ordinovista veronese Giampaolo Stimamiglio.
Ha raccontato Ferro di una riunione di poco precedente all’8 dicembre 1970, quando il gruppo di Spiazzi (o,
meglio, il Nds di Verona) era pronto ad intervenire se il golpe Borghese fosse entrato nella fase operativa:
“[…] Posso aggiungere che c'erano tre civili che si occupavano di trasmissioni, che era considerato un settore
importante, e ci si lamentava della carenza di militari in quel settore.
Si diceva che bisognava guardarsi dalla Polizia, ma soprattutto dalla Guardia di Finanza perché era fedele alle
Istituzioni, mentre tutti i Carabinieri erano stati contattati in modo capillare. Questi discorsi venivano fatti mentre a noi
presenti si spiegava anche se in modo teorico l'uso dei vari esplosivi. Ricordo, ad esempio, che ci venne spiegato che il
fulmicotone doveva stare sempre in soluzione per non esplodere. A questa riunione c'era anche Baia Francesco, che aveva una villa fuori Verona; ricordo che una volta recuperò un Mab, penso un residuato di guerra, al quale mancava l'otturatore e glielo fece mettere dall'officina di Spiazzi. Giravano nel gruppo casse di cartucce non residuati di esercitazioni militari, ma proprio casse di cartucce calibro 9 parabellum nuove, di dotazione Nato.
Venivano da Vicenza dove c'era la base dalla Nato. Posso meglio spiegare la mobilitazione che ci doveva essere quella notte di sabato, poche settimane prima del mio congedo, nel Natale del 1970. Il Maggiore ci disse di tenerci pronti in camerata, con gli abiti borghesi, e che poi avremmo dovuto essere portati nella zona di Porta Bra a Verona, nella sede dell'Associazione Mutilati e Invalidi di guerra, dove si stampava il giornaletto del Movimento di opinione pubblica. Io ero molto agitato e preoccupato; Baia era con me ed era eccitato per quanto stava per acccadere. Ci fu detto chiaramente che dovevamo intervenire e che non potevamo tirarci indietro e che, giunti al punto di raccolta, saremmo stati armati e portati nella zona dove dovevamo operare come supporto al colpo di stato.
Tutte le cellule di civili e militari avrebbero dovuto intervenire. Tuttavia nella notte vi fu il contrordine, era verso
l'una e trenta e ce lo comunicò direttamente il maggiore Spiazzi, dicendoci che il contrordine veniva direttamente da Milano. Non ne ho mai saputo il motivo, anche se all'epoca, se glielo avessi chiesto, forse lo avrei saputo. A Trento c'era una cellula parallela a quella di Verona di civili e militari che preferisco non indicare e la cui
attività è proseguita dopo il 1970. Continuavano a cercare di coinvolgermi anche se io avevo già rifiutato la proposta di
Spiazzi di essere reclutato con una paga governativa di 300.000 al mese per continuare a far parte di una organizzazione
che era un settore del Sid che operava al di fuori delle regole. Io avevo rifiutato, ma almeno fino alla fine del 1973 fu
assai difficile sganciarmi del tutto e vivevo in una grande preoccupazione perché in una città piccola come Trento si è
sempre sotto controllo. Io venivo contattato da persone che non intendo nominare, alcune delle quali, ma non tutte, sono quelle nominate nei vari processi svoltisi per le bombe di Trento.
Però c'erano anche dei personaggi più grossi dei quali non mi è proprio possibile fare i nomi, comunque sempre
personaggi di Trento”.
I legami tra NDS e la destra eversiva. Il gruppo Sigfried
Sui Nuclei di Difesa dello Stato ha ampiamente riferito anche Carlo Digilio, principale testimone nel nuovo
processo sulla strage di piazza Fontana e in quello sui complici di Gianfranco Bertoli in occasione dell’attentato alla
questura di Milano.
Dalle dichiarazioni di Digilio risultano gli stretti legami tra Nds e i settori ordinovisti, a cominciare dall’ispettore
per il Triveneto, Carlo Maria Maggi. Ha raccontato Carlo Digilio: “In relazione ai Nuclei di difesa dello Stato, in merito ai quali ho già ampiamente riferito, mi è venuto in mente un altro episodio che riguarda il dr. Maggi.
Un giorno, verso la metà degli anni '70, io e Montavoci [elemento di Ordine Nuovo, nda] ci trovavamo a casa di
Maggi e ad un certo punto rimanemmo soli nel suo studio in quanto Maggi era andato in un'altra stanza da sua moglie.
Ci mettemmo a guardare alcuni volumi di Julius Evola che Maggi teneva nella libreria e che eravamo soliti
scambiarci quando c'era qualche nuovo volume o nuova edizione. Mentre guardavamo questi libri, da uno di essi uscirono alcuni fogli su uno dei quali era raffigurata, in modo molto semplice, una carta d'Italia con l'indicazione dei capoluoghi di Regione. Vicino a molti di questi vi era una crocetta blu e in calce al foglio c'era l'indicazione "Nuclei di Difesa dello Stato".
Le crocette erano soprattutto segnate accanto ai capoluoghi del Nord-Est ed indicavano la sede di una Legione
come spiegato in calce al foglio. Ad esempio, vicino alla crocetta apposta a fianco di Verona c'era anche l'indicazione a
numero romano "V" che stava certamente ad indicare la "quinta" Legione. Rimettemmo a posto il libro prima che Maggi tornasse facendo attenzione che egli non notasse nulla. Montavoci non aveva capito molto di tale organigramma, ma io avevo invece compreso subito che esso riguardava la struttura di cui ho parlato e in cui anche Maggi era inserito”. Digilio, naturalmente, era molto informato sui Nds, in quanto agente della struttura informativa Usa attivata presso le basi Nato e componente della cellula veneta di Ordine Nuovo. Proprio durante uno dei suoi incontri nel Comando della base Ftase di Verona presenti il capitano Richards, Soffiati, Minetto e Bandoli (questi ultimi agenti della rete spionistica americana) Digilio aveva avuto modo di discutere di Fort Foin, nei pressi di Bardonecchia, dove nell’agosto del 1970 si era svolto un campo di addestramento con la
presenza di 40 capigruppo che dovevano preparare i nuclei piemontesi destinati ad entrare in azione pochi mesi dopo, al momento del golpe Borghese.
Alcuni dei partecipanti provenivano dal gruppo Sigfried (del quale parleremo meglio in seguito) e dai Nuclei di
difesa dello Stato e per contribuire a tale esercitazione, molto importante per lo sviluppo del piano strategico, il
professor Lino Franco (componente del gruppo Sigfried nonché superiore di Digilio nella rete informativa statunitense)
e Soffiati si erano preoccupati di inviare uno o due mitragliatori e relative munizioni provenienti dai depositi di Pian del
Cansiglio.I documenti trovati dal giudice istruttore di Milano, Guido Salvini, nel corso della sua istruttoria hanno
pienamente confermato, anche in questo caso, il racconto del collaboratore. Infatti il campo, denominato Sigfrido, si era tenuto effettivamente a Fort Foin, per diversi giorni nell’estate del 1970, nei pressi di una ex-fortezza militare in alta montagna, con l’addestramento all’uso di armi individuali e di reparto e all’uso di trasmittenti e con una forte presenza numerica, anche di militanti di Ordine Nuovo, che era stata notata e che aveva destato allarme negli abitanti e nei turisti della zona, senza tuttavia, a quanto pare, che le forze dell’ordine
effettuassero alcun serio intervento. Secondo i documenti del Sismi, uno degli organizzatori del campo sarebbe stato Giuseppe Dionigi, l’ordinovista torinese presso il quale si erano rifugiati, all’inizio degli anni ‘70, i triestini Neami, Bressan e Ferraro in quanto temevano di essere ricercati in relazione alla prima indagine che era stata aperta per l’attentato alla Scuola Slovena di Trieste.
In definitiva si può dire che i Nds – operazione parallela e non alternativa a Gladio – ebbero un ruolo nei
tentativi golpisti i quali, almeno in una certa fase, godevano dell’appoggio della struttura americana, propensa a fornire
il suo supporto, lamentando solo la scarsa sincerità degli esponenti golpisti disponibili a sottostimare le loro forze pur di
ricevere ulteriori aiuti. E infatti Carlo Digilio fu mandato a Fort Foin a seguire l’esercitazione propedeutica ad un prossimo golpe e a riferire ai suoi superiori le sue impressioni. Collaterale ai Nds, a cavallo degli anni Sessanta e Settanta, c’è stato il gruppo Sigfried, composto da ex combattenti della Repubblica sociale, alcuni dei quali contatti informativi della rete spionistica di cui faceva parte Carlo Digilio. E’ stato proprio l’ex ordinovista, nel corso di alcune sue deposizioni, a parlare dell’organizzazione paramilitare: “[…] Il gruppo Siegried, di cui faceva parte il professor Franco Lino, ed anzi ne era il capo con il soprannome di Otto, era sostanzialmente una piccola realtà, diciamo, interna a quell’area dei Nuclei in Difesa dello Stato di cui a suo tempo si è parlato.
Era cioè una specie di associazione culturale che riuniva qualche decina di ex combattenti ed ex militari, quasi
tutti provenienti dalla Rsi ed il nome fa riferimento, credo, ad una linea di difesa tedesca utilizzata durante la seconda
guerra mondiale. […] Secondo quanto in quegli anni mi fu concesso di vedere e sentire, è opinione che questo di Vittorio Veneto [il Sigfried, nda] altro non poteva essere che uno dei vari e similari gruppi espressamente organizzati per un valido supporto alle forze regolari in caso di emergenza. Quale fosse la loro composizione, è facile comprendere: certamente ex combattenti non comunisti, ex militari, ex Carabinieri, gente di provata fede patriottica.
E, a questo punto, ricordo che il professor Franco mi accennò alla possibilità del suo gruppo, in caso di necessità,
di appoggiarsi alle armerie dei carabinieri o, con costoro, a quelle dell’Esercito italiano”.
Il professor Lino Franco, come abbiamo già visto, era componente del gruppo Sigfried nonché superiore di
Digilio nella rete informativa statunitense. Fu proprio Franco che chiese, per conto degli americani, a Digilio di
esaminare l’arsenale che il gruppo ordinovista veneto custodiva – prima di dar vita alla strategia stragista – in un casolare nelle campagne di Paese, in provincia di Treviso. A testimonianza del fatto che le strutture dell’intelligence militare Usa non solo conoscevano – e non ostacolavano – i piani golpisti, ma erano informati in tempo reale sulle mosse del gruppo ordinovista il quale – forte delle protezioni istituzionali e di quelle in ambito Nato – in quel periodo progettava una serie di attentati che avrebbero provocato, tra il 1969 ed il 1974, una lunga catena di morte e di terrore.
Le connessioni con il Piano Solo
Gladio, Nds e gruppo Sigfried, risulta documentalmente, avrebbero dovuto avere un ruolo ben preciso nel caso il
piano Solo fosse diventato operativo. Naturalmente, le carte processuali e i documenti dei servizi di informazione fanno ritenere verosimile – anche se non del tutto provato – uno scenario diverso e ben più articolato: il 1964, in funzione del piano Solo e delle altre pianificazioni militari di tal fatta, fu il periodo nel corso del quale venne dato un forte impulso alle organizzazioni paramilitari anticomuniste, armate dall’Esercito o dai carabinieri in caso di svolta autoritaria. Basti ricordare il Mar (Movimento d’azione rivoluzionaria) di Carlo Fumagalli e Gaetano Orlando, fondato nel 1964. In questo caso ci limiteremo alle connessioni con Gladio, Nds e Gruppo Sigfried.
Nel primo caso, a proposito del ruolo della S/B, è provato che una parte dei 731 “enucleandi” del piano Solo
(verosimilmente i parlamentari) dopo l’azione militare sarebbero stati deportati nella base di Capo Marrargiu, in quel
periodo adibita solo ed esclusivamente per le finalità della struttura antinvasione.
A parlare di questa eventualità era stato direttamente il generale De Lorenzo, nel corso della sua testimonianza di
fronte alla commissione Lombardi: “Pensavo se li pigliamo li portiamo ad Alghero, vanno pure a stare bene82”.
L’affermazione, che si sarebbe rivelata fondamentale per mettere in luce molti aspetti del piano Solo, fu prontamente
occultata con un omissis, tolto solamente nel dicembre del 1990. La frase di De Lorenzo, di per sé, è così eloquente che sul punto – e cioè la connessione Gladio-piano Solo – non sarebbero necessari altri elementi.
Tuttavia la documentazione in materia è imponente e vale la pena citarla per intero. Anzitutto c’è la testimonianza di Luigi Tagliamonte, il quale ha riferito che De Lorenzo gli disse che “il ‘Piano’ aveva previsto la deportazione degli elementi catturandi in Sardegna, a Capo Marrangiu, presso il CAG”83. Parole che trovano un riscontro nelle affermazioni del generale dei paracadutisti, Vito Formica, il quale ha detto che nella primavera del 1964 il colonnello Mario Monaco, capo centro di Gladio per la Sardegna, gli chiese di verificare quante persone al massimo avrebbe potuto ospitare la base di Capo Marrargiu. L’esame incrociato dei documenti e delle testimonianze consente anche di accertare la connessione tra Gladio – piano Solo e squadre di civili armate dal capo dell’ufficio Rei del Sifar, Renzo Rocca, delle quali si era già parlato nel corso dei lavori della commissione Alessi, senza che fosse trovata una prova certa.
In questo caso la risposta è in una nota rinvenuta nel carteggio privato del vice-comandante generale dell’Arma
dei carabinieri, Giorgio Manes: “Sardegna – tenente colonnello Giuseppe Pisano sa tutto (è cosa di due anni) società
fittizia con sede a Palazzo Baracchini (De Lorenzo e altri ufficiali, pure Tagliamonte) motivo: caccia – civili trattenuti
in servizio, vedi Rocca”. Gli appunti di Manes non sono affatto oscuri e consentono di poter affermare che i “civili” di Rocca avrebbero dovuto supportare l’eventuale azione dell’Arma dei carabinieri. Tanto più l’appunto ha trovato due inequivoci riscontri. Anzitutto la testimonianza dell’ex tenente colonnello Pisano (andato in congedo con il grado di generale) responsabile del Sifar per la Sardegna, il quale in una intervista al quotidiano “la Repubblica” ha confermato che alcuni suoi colleghi del Sifar parlavano della “deportazione nella base di Alghero degli elementi pericolosi, […] Mi sembrò strano: io sapevo che il Centro addestramento guastatori avrebbe dovuto ospitare i governanti legittimi se ci fosse stata una sovversione o una invasione”. Poi la testimonianza del colonnello dei carabinieri, Guglielmo Cerica alla commissione Lombardi (che venne quasi integralmente coperta da omissis) nella quale l’ufficiale parlò del reclutamento di ex repubblichini in vista di un “atto di forza”. I civili avrebbero dovuto entrare in azione congiuntamente con i carabinieri, con il compito specifico di neutralizzare l’apparato del Pci. Come si vede, gli “oscuri” riferimenti di Manes diventano piuttosto chiari. Tanto più che, successivamente, nuovi e inattesi particolari sul piano Solo sono stati aggiunti da Carlo Digilio prima in una memoria scritta, poi in un interrogatorio reso alla A.G. di Milano. “Tornando al gruppo Sigfried, sempre nel medesimo ambiente mi fu accennato al fatto che tale gruppo era nato
in concomitanza con il piano Solo del generale de Lorenzo nel 1964. In sostanza accanto al piano Solo e cioè alla mobilitazione dei Carabinieri per il colpo di Stato, c’era il piano Sigfried e cioè la costituzione del gruppo di civili che
al momento del golpe doveva incaricarsi dell’arresto e della neutralizzazione degli esponenti dell’opposizione e dei sindacalisti. A quell’epoca infatti i carabinieri non avevano le strutture sufficienti per poter operare capillarmente dovunque. Nacque così il gruppo Sigfried che continuò ad esistere anche dopo il venir meno del tentativo del 1964.
Nel memoriale faccio cenno a Roberto Rotelli, che era un veneziano esperto palombaro e titolare di patente
nautica (…) Rotelli che era dell’ambiente di destra (…) mi confidò che era stato previsto il suo intervento nel momento
in cui sarebbe scattato il piano Solo e che il suo compito specifico sarebbe stato, secondo i progetti, quello di caricare i
prigionieri su una grossa imbarcazione e portarli sino ad una nave militare che li avrebbe condotti in Sardegna dove erano predisposti campi di internamento. E’ quindi molto probabile che Rotelli fosse appartenente al gruppo Sigfried. Questa sua confidenza risale alla metà degli anni ’70 a cose ormai concluse e quindi in una situazione che gli consentiva di parlare del passato”. Il racconto di Digilio coincide in maniera sorprendente con quello del colonnello Cerica non solo sulla presenza di ex repubblichini, ma soprattutto sul loro impiego, che avrebbe dovuto essere di “neutralizzazione” immediata dei militanti comunisti prima che questi avessero potuto organizzare un qualsiasi tentativo di reazione, anche solamente politica.
Avanguardia nazionale giovanile
Un ulteriore indizio circa la stretta connessione tra settori dell’Arma dei Carabinieri e gruppi neofascisti da
utilizzare in casi di emergenza si può inoltre ricavare da un pro-memoria dell’ufficio Affari Riservati del Viminale
inserito nel carteggio “L 5/6 Fascicolo Generale – Avanguardia Nazionale – Varie”. Nell’appunto si dà, tra le altre cose,
conto della nascita, nel 1960, di Avanguardia nazionale giovanile, l’organizzazione progenitrice di An, in quel periodo
diretta da Stefano Delle Chiaie e in diretto contatto – come vederemo nell’ultima parte della relazione – con Gioventù
Mediterranea, organizzazione dalle vocazioni neonaziste e antisemite presieduta da Giulio Maceratini. Si dice nella nota
riservata: “Nel 1960, intanto, sorgeva l’avanguardia nazionale giovanile, i cui esponenti sarebbero stati in contatto con
Ufficiali dell’Arma dei Carabinieri ed avrebbero preso accordi ché in caso di necessità l’A.N.G. (avanguardia nzionale
giovanile, nda) avrebbe dovuto costituire la cosiddetta protezione civile. In questo periodo negli ambienti interessati si
parlava con insistenza del generale Di (rectius, De) Lorenzo. Verso la fine del 1964 l’A.N.G. fu sciolta, per riformarsi dopo brevissimo tempo in maniera totalmente diversa: alcuni elementi di sicura fede, appartenenti alla vecchia A.N.G. furono avvicinati cautamente e singolarmente e fu loro proposto, nelle forme che il caso richiedeva, se volevano entrare a far parte di una organizzazione segreta, composta da persone disposte a qualsiasi sacrificio per il trionfo del loro ideale e decise a tutto pur di contrastare il passo alla politica in atto (…). Quindi, al pari del Sigfried, anche Avanguardia Giovanile di Stefano Delle Chiaie sarebbe stata una di quelle organizzazioni pronta ad entrare in azione e – come accadde per il Mar di Fumagalli – sciolta dopo il 1964 (con il fallimento e/o il superamento del piano Solo) per poi riformarsi in vista di un successivo impiego che si sarebbe realizzato negli anni della strategia dela tensione. C’è da aggiungere che Carlo Digilio, sempre a proposito del ruolo di veneziani nel piano Solo (e delle successive
strutture di civili) ha parlato del colonnello Antonio Campolongo, che – come si vedrà più avanti - sarebbe stato indicato come uno dei cospiratori in occasione del golpe Borghese: “Dai discorsi che io intrattenevo con i militanti di Ordine Nuovo emergeva che il Campolongo costituiva il punto di riferimento, se non addirittura il punto chiave, per eventuali “azioni di forza” nell’applicazione del Piano Solo e dei piani anticomunisti degli anni successivi.
Mi riferisco alla tempestiva aggregazione che i civili dovevano costituire per rapportarsi ai militari in caso di
sommossa dei comunisti o in caso di invasione del nostro territorio di Nord-Est da parte dei comunisti, in attesa che
venissero ricompattate le nostre Forze regolari”. Sui legami tra la base di Capo Marrangiu e il piano Solo, appare utile ricordare che nella scheda del gladiatore Giovanni Battista Andreazza – addetto alle pulizie presso la Camera dei Deputati - venne annotato che “dopo l’episodio De Lorenzo, ha manifestato di non voler far più parte dell’organizzazione”. Il prof. Giannuli, nella citata perizia al giudice Salvini, così commenta la nota: “Se, come sembra ragionevole, l’ ‘episodio De Lorenzo’ altro non sia che un riferimento alla crisi del luglio 1964, dobbiamo dedurre che Andreazza ebbe elementi per pensare ad un coinvolgimento in essa di Gladio […] sino al punto di maturare la scelta delle dimissioni”. A conclusione del paragrafo, non si possono non ricordare le parole che l’avvocato generale dello Stato, Giorgio Azzariti, scrisse nel parere che fu allegato dal presidente del Consiglio, Andreotti, nella relazione bis su Gladio inviata alle Camere. “Sembra che i dirigenti catturati avrebbero dovuto essere concentrati e ristretti nella sede del Centro Addestramento Guastatori che, come si è visto, costituiva uno strumento di attuazione dell’operazione Gladio in Sardegna. E’ allora troppo evidente la illegittimità, può parlarsi più precisamente di criminalità di simile disegno (…) Sarebbero perciò dichiaratamente violati non solo e non tanto i ricordati articoli 52 e 97 della Costituzione, quanto l’articolo 283 del codice penale”. Le connessioni tra Gladio, piano Solo e Nds, attraverso il gruppo Sigfried, nel frattempo, sono state ampiamente dimostrate. Le parole dell’avvocato generale dello Stato, quindi, rivestono un carattere ancor più stringente di censura. La stessa che deve essere ribadita nelle considerazioni finali sulla vicenda Gladio.
L’EVERSIONE DI DESTRA E LE COPERTURE ISTITUZIONALI
Fino alla metà degli anni '70 lo scenario delle organizzazioni dell’estrema destra è dominato da Ordine Nuovo e
Avanguardia Nazionale. Sigle minori in ambito studentesco ed universitario sono comunque riconducibili ad esponenti che si muovono nelle file dell’una o dell’altra organizzazione o ad articolazioni delle stesse che tendono ad essere presenti nelle diverse realtà con sigle autonome (come il F.A.S., Fronte di Azione Studentesca, con cui Ordine Nuovo organizza la sua “penetrazione tra i giovani, poiché la rivoluzione la fanno i giovani... salvo ovviamente le poche eccezioni tra noi rappresentate” o come Caravella e Lotta di Popolo, in cui è forte la presenza di appartenenti ad An). Negli anni Sessanta, tra l’altro, numerosissime sono le formazioni di estrema destra che furono fondate, spesso in
correlazione tra di loro e in rapporti di esternita/internità rispetto allo stesso Msi, partito che ha sempre mantenuto un
atteggiamento ambiguo fatto di prese di distanza e repentini riavvicinamento con i gruppi della destra radicale, compresi quelli più dichiaratamente eversivi. Una politica attraverso la quale poter esercitare un controllo ed un’influenza rispetto ad un’area di “inconfessabilità missina”, che solo formalmente non poteva essere considerata parte integrante del Msi, mentre lo era con tutti i limti e i distinguo appena accennati.
Tra i gruppi attivi in quegli anni è opportuno segnalare:
1) Movimento tradizionale romano, fondato nel 1963 da dissidenti del Msi;
2) Fronte Nazionale, costituito nel settembre 1968 a Roma dal principe Junio Valerio Borghese che poco dopo
avrebbe organizzato il tentativo di colpo di Stato. Il segretario nazionale era Benito Guadagni, un costruttore nato a Carrara e residente a Roma.
3) Fronte Nazionale Europeo – Lega Giovanile, fondato a Milano nel 1967 da oppositori interni del Msi;
4) Costituente Nazionale Rivoluzionaria, fondato nel 1964, nel quale sarebbe confluito in seguito il gruppo
Avanguardia Europea;
5) Falange Tricolore, il cui presidente, Giorgio Arcangeli fu arrestato per aver organizzato un attentato contro
l’ambasciata dell’Urss a Roma;
6) Nuova Caravella, diretto da Cesare Ferri, nato dopo una scissione da Fuan-Caravella;
7) Circolo dei Selvatici, presieduto dall’ingegner Renato Fioravanti di Roma, composto da dissidenti missini;
8) Giovane Europa, fondato nel 1963 a Ferrara e presieduto da Claudio Orsi. Orsi divenne collaboratore di
Franco Freda nelle Edizioni AR e fondatore di un’associazione Italia-Cina, che rientrava nei tentativi di An e On di infiltrare i gruppi di estrema sinistra;
9) Gruppi attivisti di movimento dell’opinione pubblica, fondati da Mario Tedeschi e Giuseppe Bonanni del
“Borghese”. Il gruppo aveva costituito un fondo denominato “Soccorso tricolore” in difesa degli attivisti di destra che
fossero stati arrestati durante scontri di piazza;
10) Partito della ricostruzione nazionale, fondato a Varese nel 1967, che aveva come suo periodico l’Osservatore
italiano;
11) Partito Nazionale del Lavoro che editava il periodico “Conquista dello Stato”;
12) Unione Nazionale d’Italia, nata da una scissione della Lega Italica;
13) Ordine del Combattentismo Attivo, legato al giornale “Nuovo pensiero militare”
14) Comitato di Difesa Pubblica fondato nel settembre del 1968 a Milano per iniziativa dell’ex deputato missino,
Domenico Leccisi.
Tuttavia, come detto, An e On rappresentarono le organizzazioni capaci di coagulare intorno a sé la vocazione
eversiva della destra italiana. Tra le due formazioni, come è stato ampiamente documentato, non vi sono discriminanti ideologiche nette, ma solo una diversità di atteggiamento. I due movimenti occupano spazi politici ben determinati e sono complementari, l’uno (On) privilegiando il momento strategico, costruendo così il discorso teorico della rivoluzione per i tempi lunghi, per le generazioni avvenire, l’altro (An) esaltando nella sua azione il momento tattico e quindi immediato. L'importanza delle due formazioni, per la verità, va ben oltre il periodo considerato. Nella galassia della destra radicale, infatti, esse svolsero un ruolo di indiscussa egemonia, sia per la durata della loro presenza legale (e comunque ufficiale) sulla scena, che è di circa vent'anni nel caso di Ordine Nuovo, di una quindicina in quello di Avanguardia Nazionale, per la forza della loro leadership, per le attività di cui furono protagonisti. Ancora più importante è il fatto che, grazie alla continuità ideologica e personale, anche dopo lo scioglimento essi costituirono un cruciale trait d'union fra periodi e generazioni di militanti, collegando i reduci degli anni '40 con i protagonisti della fase golpista e poi con i terroristi dello spontaneismo armato degli anni '70 e '80.
93 Il concetto risulta espresso in un documento sequestrato a Londra nel 1977 a Clemente Graziani, leader di Ordine Nuovo, ove si sottolinea, in chiave critica, che nell'esaltazione del momento tattico, A.N. sarebbe portata ad "impegnarsi più attivamente e spregiudicatamente, sia a livello nazionale che a livello europeo ed extra-europeo all'acquisizione di piattaforme di ovvia utilità contingente, ma in qualche modo pericolose e pregiudizievoli"; viene ribadita comunque sia la contiguità tra i due movimenti sia la impregiudicata possibilità di azioni in comune nel momento in cui fossero comuni radici ideologiche, che risalgono alla tradizione storica del fascismo rivoluzionario e della Repubblica Sociale Italiana, si alimentano dell’analisi e della critica che di quelle esperienze viene fatta da Julius Evola. La concezione dello Stato e quella della missione delle avanguardie politiche da lui elaborate costituiscono l’humus di cui si nutrono le posizioni di entrambe le formazioni e che, al di là del processo più volte tentato di vera e propria fusione, hanno determinato nel tempo fenomeni di osmosi tra i militanti dell’una e dell’altra; e che quindi rendono la distinzione innanzi delineata sostanzialmente tendenziale.
Ordine Nuovo
Ordine Nuovo nasce nel 1956, come Centro Studi Ordine Nuovo, dopo il congresso di Milano del Msi, dal quale
si scinde nel nome della continuità con gli ideali della RSI, sotto la guida di Pino Rauti che, all’interno del partito, aveva già dato vita ad una aggregazione denominata Ordine Nuovo. Promotori della scissione, insieme a Rauti, sono Graziani, Massagrande, Delle Chiaie. Dopo la morte del segretario Michelini, il nuovo segretario del Msi, Giorgio Almirante, che aveva guidato all’interno del partito l’opposizione interna più vicina alle posizioni degli ordinovisti scissionisti, avviò il tentativo di recupero di tutti i gruppi dissidenti. Il processo di riassorbimento arrivò a compimento nel dicembre del 1969 con il ritorno di Rauti nel Msi, che motivò tale rientro con la necessità, a fronte dei mutamenti in atto nella situazione politica nazionale, di procedere a “una revisione globale della sua posizione nel quadro delle contingenze globali che indicano, senza alcun dubbio, una possibilità di rottura degli equilibri, di estrema pericolosità [...] Ne consegue che è necessità vitale per la vita futura (prossimo futuro) di Ordine Nuovo inserirsi dalla finestra nel sistema dal quale eravamo usciti dalla porta, per poter usufruire delle difese che il sistema offre attraverso il parlamento, con tutte le possibili voci propagandistiche che ne derivano [...] Necessità contingente dunque, assoluta e drammatica [...]” . Alla posizione di Rauti si contrappone quella di Graziani, Massagrande, Saccucci, Tedeschi, Besutti ed altri, che rifiutano di rientrare nei ranghi del Msi per la costituzione di un “movimento rivoluzionario al di fuori degli schemi triti e vincolanti dei partiti, una formazione agile, adeguata alle esigenze della situazione politica attuale e strutturata secondo criteri propri delle minoranze rivoluzionarie”, che assume il nome di Movimento Politico Ordine Nuovo. Il movimento, che si autodefinisce come l’unico movimento politico fautore di una strategia globale nazional-rivoluzionaria, si dà una prima organizzazione provvisoria nel corso di una riunione del 21 dicembre 1969 e una organizzazione più complessa dopo il I congresso tenutosi a Lucca nell’ottobre del 1970, comunicata agli aderenti con il Notiziario Riservato del 5 novembre 1970.
L’attività ed il progetto politico del movimento vennero all’attenzione dell’autorità giudiziaria, dopo che gli
aderenti si erano resi protagonisti di più di quaranta episodi di aggressione e avevano giocato un ruolo significativo nei
disordini di Reggio Calabria del 1970, nel giugno 1973, quando Ordine Nuovo formò oggetto di un dettagliato rapporto
della Questura di Roma. Quel rapporto e gli atti che ne scaturirono portarono i quadri dirigenti del movimento prima a
giudizio avanti al Tribunale di Roma per il reato di ricostituzione del partito fascista e, dopo la condanna del 21 novembre 197395, al decreto di scioglimento dell’organizzazione, del 23 novembre successivo. L' ipotesi accusatoria ha vincolato l’accertamento del Tribunale alla verifica della corrispondenza tra il progetto, i fini e l’organizzazione del movimento e quelli propri del fascismo. Gli elementi che col tempo sono emersi consentono oggi di dire che già all’epoca erano stati consumati fatti delittuosi di maggiore gravità e relativi a ipotesi associative di diverso rilievo, che solo molto tempo dopo sarebbe stato possibile ricondurre nell’ambito dell'organizzazione. Pur con tali limiti, gli atti di quel processo e la sentenza che lo concluse costituiscono un punto di partenza ineliminabile per comprendere sia gli ulteriori sviluppi del movimento che i meccanismi delle dinamiche interne alla destra radicale.
Ordine Nuovo risultava già caratterizzato come un movimento semiclandestino, fortemente gerarchizzato, con
una direzione politica centralizzata, orientato a muoversi in gruppi di pochissime persone che dovevano essere in grado
di volta in volta di mobilitare un’area di simpatizzanti, ispirato ad un concezione elitaria e mitica dello Stato,
antidemocratica e antiborghese, in assoluta contrapposizione con la democrazia parlamentare e l’organizzazione del consenso attraverso i partiti, ma almeno in parte non antistituzionale.
“entrate in giuoco decisioni ed azioni importanti” suscettibili di “riverberarsi non soltanto sul Movimento che le prende
e le attua, ma su tutto il nostro mondo politico " Il terrorismo, le stragi ed il contesto storico-politico, proposta di relazione redatta dal presidente della Commissione, senatore Giovanni Pellegrino, XII legislatura. In realtà, come vedremo più avanti, Rauti e gli altri ordinovisti sarebbero rientrati nel Msi per avere maggiori coperture politiche dopo l’inizio della strategia stragista, della quale Ordine Nuovo era parte integrante.
95 Tribunale di Roma, procedimento contro Graziani Clemente + 39, sentenza 21/11/1973.
96 I documenti acquisiti all’epoca documentano una diffusione ampia su quasi tutto il territorio nazionale, con punti di
riferimento forti soprattutto nel Veneto, che costituisce forse il nucleo più organizzato, e a Roma, ma con significative
articolazioni anche nel meridione, in Campania, Sicilia ed in Calabria. I documenti ideologici ribadiscono le concezioni
di fondo già indicate e evidenziano spiccati caratteri razzisti e antiebraici. Per quanto riguarda la formazione dei
militanti, un documento dell’epoca prevedeva la preparazione dei quadri con lo svolgimento di due diversi corsi, uno di
formazione ideologica e l’altro di formazione politica. I temi dati ai corsi e i riferimenti bibliografici indicati ( Guenon,
Evola, Giannettini con “la tecnica della guerra rivoluzionaria “ e il Mein Kampf di Hitler ) esemplificano da una parte
Il movimento è infatti caratterizzato da una "concezione antidemocratica, antisocialistica, aristocratica ed eroica
della vita", ma la stessa matrice evoliana gli conferisce un ruolo non antagonista rispetto allo Stato; anzi, come è stato
osservato, la possibilità di utilizzare il “movimento nazionale” in funzione antisovversiva di difesa dello Stato è una costante, almeno nella prima fase, del pensiero di Evola: per difendere lo Stato ormai ostaggio delle masse organizzate, capaci in ogni momento di paralizzarne la vita, occorreva creare “una rete capillare intesa a fornire prontamente elementi di impiego per fronteggiare dovunque [...] l’emergenza”, avendo come fine “anzitutto e prima di tutto la difesa contro la piazza dello Stato e dell’autorità dello Stato (persino quando esso è uno “Stato vuoto”) e non la loro negazione”. In tale prospettiva il movimento nazionale doveva individuare, all’interno dello Stato, quei “corpi sani” cui era possibile far riferimento, come i paracadutisti, la polizia, i carabinieri.
Tale originaria impostazione avrebbe continuato, fin dall’inizio, a rafforzare lo “storico” contatto (cominciato fin
dall’immediato dopoguerra) con quei settori dell’Arma dei carabinieri, delle forze armate e dei servizi di informazione –
nei quali non irrilevante era la presenza di ex repubblichini - i quali, fedeli ai principi dell’oltranzismo atlantico e grazie
all’ambiguità complice di una parte della classe politica di governo, rappresentavano la sponda istituzionale
dell’ordinovismo fino a trasformare oggettivamente – come ha implicitamente denunciato Vinciguerra – On in una sorta
di gruppo paramilitare inserito a pieno titolo nei dispositivi militari della Nato.
Non va dimenticato – come vedremo più avanti – che la rete informativa degli Usa operante nel Triveneto con
base al comando Ftase di Verona, aveva tra i suoi più validi agenti ex repubblichini quali Franco Lino e Sergio Minetto
e ordinovisti quali Marcello Soffiati e Carlo Digilio. Il tratto distintivo più significativo, dal punto di vista della risposta delle istituzioni, tra l'azione di contrasto all’estremismo di destra e a quello di sinistra, è proprio la sintonia tra i disegni degli eversori e quelli di una parte degli apparati che li avrebbero dovuti combattere ed ha radici profonde e risalenti nel tempo, che poco hanno a che fare con la episodica strumentalizzazione del singolo fatto. Ciò ha contribuito in modo determinante a rendere impervio e a volte impossibile il compito degli inquirenti che solo assai faticosamente e a distanza di anni hanno potuto ricostruire ormai con sufficiente chiarezza i tratti significativi dei percorsi eversivi.
Avanguardia Nazionale
Avanguardia Nazionale fu fondata nel 1960 da Delle Chiaie, che si allontana con questo da On, della cui
separazione dal Msi era stato sostenitore. Nel 1965 An si sciolse e gli aderenti, pur non rompendo i collegamenti tra
loro, parteciparono sotto altre sigle all’esperienza politica della destra radicale non dissimilmente da quanto faceva On.
Fu poi ricostituita nel 1970, in concomitanza con il processo di parziale riassorbimento di On nel Msi. Animata da una
pari ostilità nei confronti dei regimi comunisti e dello stato liberal-democratico, An propugna l’idea di una rivoluzione
europea per ripristinare le naturali differenze tra gli uomini e dar vita alla formazione di una élite rivoluzionaria che funga da avanguardia, organizzata in piccoli gruppi o in nuclei qualificati che nell’azione concretizzano la fusione tra
ideale e sua realizzazione. Il movimento teorizza l'ipotesi golpista classica, richiamandosi, come On, al fascismo storico e alla RSI, ma ricollegandosi all’esperienza allora attuale dei regimi militari in Europa e America Latina. Si prefigge inoltre lo scopo di determinare “una definitiva divisione verticale nelle forze politiche in due fronti contrapposti: il demo-marxista e il nazionale rivoluzionario”. L’esasperazione del clima di tensione è strumentale a tale disegno e può essere raggiunta sia attraverso lo scontro con l’avversario che attraverso azioni di provocazione non riconducibili alla loro reale matrice. Funzionale a tale disegno è anche, e soprattutto, il mantenimento di contatti con gli apparati dello Stato (organici, come vedremo più avanti, sono i rapporti tra An e l’ufficio Affari riservati del Viminale e, in particolare, tra delle Chiaie e Federico Umberto D’Amato) che, una volta determinata una lacerazione del tessuto del potere, sono destinati ad intervenire per ripristinare l’ordine.
Anche An, sulla base della stessa attività di polizia giudiziaria che aveva portato al rapporto contro On, fu,
attraverso i suoi maggiori esponenti, sottoposta a procedimento per ricostituzione del partito fascista e, sebbene in tempi più lunghi e con condanne più miti, si pervenne prima alla condanna, nel 1976, quindi allo scioglimento
dell’organizzazione. Fonti che furono rese disponibili solo molto tempo dopo la conclusione di quel processo99 riferiscono dettagliatamente dell’esistenza all’interno di An di due livelli: un livello “ufficiale”, destinato allo svolgimento delle l’orizzonte ideologico del movimento e richiamano dall’altro i temi che avevano già proposto i convegni dell’istituto Pollio negli anni precedenti.
La parabola del pensiero di Evola condurrà poi ad una visione più tragica e negativa, ad una idea di isolamento e di
distacco dell’uomo da una società, quella borghese, la cui crisi è ritenuta definitiva e irreversibile, per approdare all’idea
di un impegno politico che si concretizza in una milizia eroica, quale passaggio obbligato per la costruzione di uno stato
popolare (nella teorizzazione che ne fa Franco Freda) o nella esaltazione del gesto come affermazione dei valori di superiorità e disuguaglianza.
Si fa riferimento ad una relazione consegnata ai servizi dalla fonte Parodi, identificabile in Guido Paglia. Il
documento non fu sviluppato dai Servizi in sede investigativa, nè consegnato all'autorità giudiziaria. In esso si indicano
i componenti del vertice (Delle Chiaie, Tilgher, Giorgi, Campo, Perri, Crescenzi e Fabbruzzi) oltre che alcuni elementi
attività pubbliche e legali, e una struttura “secondaria” che costituiva un vero e proprio apparato clandestino. Di tale seconda struttura, secondo una metodologia assai raffinata, facevano parte i militanti dotati di capacità organizzative più adatte al lavoro clandestino, scelti fra coloro che non erano noti – almeno ufficialmente - alla polizia e ai carabinieri per la loro attività politica pubblica e fra quanti avevano finto di abbandonare l’attività politica. Il lavoro di tale struttura, dedita ad attività terroristiche, era regolato da norme assai precise tra cui la conoscenza limitata ad un numero ristretto di altri membri dell’apparato e la non conoscenza di chi avesse compiuto una certa “azione” se appartenente a un’altra “cellula”. Chi apparteneva alla struttura “secondaria” doveva godere della piena fiducia del vertice e collaborare al "filtraggio" dei militanti.
Nel frattempo la condanna degli ordinovisti e lo scioglimento dell’organizzazione On aveva colpito l’ambiente
della destra eversiva nel quale si faceva affidamento su una risposta più impacciata da parte dell’ordinamento e aveva
determinato uno sbandamento nelle file ordinoviste, ma al tempo stesso costituì una sorta di trauma unificante
richiamando attorno all’organizzazione colpita la solidarietà delle altre formazioni e quella di An in particolare100.
Ordine Nero e il Viminale Grazie all’attività investigativa del ROS dei Carabinieri, è recentemente emerso un documento che contribuisce a far luce, in maniera determinante e forse definitiva, sul ruolo e la natura di Ordine Nero. L’appunto del Sid del 1974, di cui ora si dirà,101 contiene un’indicazione piuttosto circostanziata del fatto che Ordine Nero fu costituita, in realtà, dal Ministero dell’interno con il preciso intento di acuire la tensione politica, e alimentare il clima di sfiducia necessario per una svolta a destra del paese.
E’ un passaggio fondamentale nella strategia della tensione, perché segna il passaggio dal rapporto perverso tra
gli apparati istituzionali e i gruppi comunque anticomunisti, originato fin dall’immediato dopoguerra, alla creazione ex
novo di un movimento clandestino dichiaratamente di matrice neofascista ed eversiva. Il Ministero dell’interno, secondo
il documento, non limita più il proprio ruolo al sostegno e alle coperture delle frange estremiste della destra – come,
parallelamente, facevano Carabinieri e Servizi militari – ma interviene direttamente organizzando un gruppo armato cui
attribuire gli attentati. Perché e come il Viminale operi in questo senso è riportato nell’appunto, che inizia ricordando
come “il provvedimento di scioglimento di Ordine Nuovo abbia, inizialmente, colpito l’organizzazione e creato una situazione di profondo sconforto tra gli aderenti che, in gran parte, avevano approdato a quell’organismo dopo le deludenti esperienze di Avanguardia Nazionale. I veri capi di Ordine Nuovo hanno, però, impostato una reazione centrata sui criteri:
- impedire la polverizzazione delle forze;
- recuperare addirittura energia, galvanizzando anche coloro che un acceso spontaneismo aveva allontanato dai ranghi
delle formazioni giovanili di estrema destra”. E nel marzo 1974 a Cattolica, vengono tracciate le nuove linee di azione
della formazione.
Secondo il Sid, i capi di On puntavano al perseguimento di questo obiettivo attraverso “la sopravvivenza
clandestina di Ordine Nuovo; la propaganda di una idea politica valida che colmasse il vuoto provocato dall’abbandono
di Almirante”, utilizzando a tal fine anche il giornale del movimento Anno Zero. E’ qui da intendersi, molto
probabilmente, che gli ordinovisti, con le sentenze di condanna e il decreto di scioglimento dell’organizzazione, si sentissero abbandonati dalle componenti istituzionali della destra delle quali godevano evidentemente di un appoggio. E’ opportuno, a questo punto, riportare integralmente una parte dell’appunto, poiché emerge a chiare lettere il ruolo del Viminale in questa operazione. Scrive dunque il Sid:
“La manovra non è sfuggita al Ministero dell’Interno che, nel contesto di una politica dell’antifascismo opportunamente
orchestrata anche con forze politiche estranee alla D.C., ha inteso colpire:
- lo strumento divulgativo delle idee (ANNO ZERO, presentato non come giornale ma come movimento
politico nato, solo per cambiamento di nome, da Ordine Nuovo);
- il movimento stesso, creando un “Ordine Nero” (indicato come il braccio violento di “Anno Zero”) cui si
debbono attribuire una serie di atti violenti ed antidemocratici.
Nel contesto di quanto sopra vanno interpretate tutte le azioni delittuose etichettate da organi di governo e
della struttura secondaria (Palotto, Di Luia, Ghiacci e Fiore). Il Paglia ha negato la paternità del documento che fu consegnato dall'ex capitano del Sid Labruna all'autorità giudiziaria nell'aprile del 1981 nell'ambito del procedimento P2 nella fase in cui la scoperta dell'archivio di Castiglion Fibocchi aveva rivitalizzato anche gli accertamenti sull'omicidio
Pecorelli, concentrando l'attenzione sull'attività di Viezzer e Labruna.
100 O.N. si ricostituisce di fatto attraverso circoli culturali e gruppi i più organizzati e attivi dei quali sono il gruppo La
Fenice, di Milano, formalmente interno al Msi, e il gruppo Drieu la Rochelle di Tivoli, il cui punto di riferimento è Paolo Signorelli, leader indiscusso dell’area ordinovista a livello nazionale , attorno al quale si aggregano anche giovani e giovanissimi militanti, come Calore e Aleandri, che avranno poi un ruolo di primo piano nelle successive trasformazioni della destra romana nella seconda metà degli anni 70.
Secondo il ROS, che per conto dell’Autorità Giudiziaria ha rintracciato il documento, “l’affermazione […] è di
estrema gravità: secondo l’estensore del Sid, in pratica, l’organizzazione terroristica Ordine Nero non sarebbe altro che
un prodotto dei ‘laboratori’ della guerra non ortodossa”.
Prima di esaminare il contenuto di questo passaggio, è comunque il caso di aggiungere che in un appunto dell’11
novembre 1978, il Sismi riferisce di notizie apprese in ambiente della sinistra romana in relazione al caso di Roland Stark. Secondo la fonte del Sismi, Stark sarebbe stato in contatto “con gli esponenti di ‘Ordine Nero’, l’organizzazione eversiva sostenuta dai ‘servizi segreti italiani’”. Letteralmente, da quanto riportato nell’appunto, sembra che l’affermazione che Ordine Nero fosse sostenuta dai Servizi italiani, non sia da attribuire agli ambienti della sinistra, bensì direttamente all’estensore dell’appunto Sismi. Ma anche volendo ritenere frutto della fonte l’affermazione citata, si tratta di una conferma che quantomeno sospetti erano i contatti tra Ordine Nero e apparati istituzionali. Per tornare all’appunto Sid del 1974, è bene anzitutto considerare che, pur con la dovuta cautela, il Servizio ilitare non poteva certo mettere in circolo una nota con le considerazioni che abbiamo appena visto, senza avere contezza di quanto andava affermando. Seppure in un contesto che vedeva Ministero della difesa e Ministero dell’interno spesso in contrasto – ma drammaticamente con i medesimi fini – non è immaginabile che il Sid addossi all’Ufficio Affari riservati del Viminale la responsabilità di aver creato un’organizzazione terroristica, senza avere le prove di ciò. Con ogni probabilità, pertanto, il contenuto dell’appunto corrisponde largamente al vero, ed è semmai il contesto che può fornire elementi di riflessione.
Non si comprende, anzitutto, il senso dell’affermazione iniziale, secondo la quale il Ministero dell’Interno
avrebbe inteso colpire la disciolta Ordine Nuovo, “nel contesto di una politica dell’antifascismo opportunamente
orchestrata anche con forze politiche estranee alla D.C.”. E’ accertato anche in sede giudiziaria, e in questa relazione ve
ne sono le testimonianze, che il Ministero dell’interno non operò certo in chiave antifascista, né allora né mai; e non è
certo un caso che fino al 1994 la Democrazia cristiana non abbia mai abbandonato la gestione del Viminale,
rinunciando ad ogni altro dicastero ma non a quello dell’interno. Non è chiaro, quindi, cosa si voglia dire con il termine
“politica dell’antifascismo”, se non interpretando il successivo periodo – “opportunamente orchestrata anche con forze
politiche estranee alla Dc” – nel senso di un’ apparente iniziativa di contrasto ai movimenti neofascisti, tesa in realtà al
loro controllo e alla loro eterodirezione.
L’attività dei gruppi eversivi di destra, nonostante lo scioglimento di Ordine Nuovo, ebbe modo infatti di
manifestarsi ancora in più occasioni (di lì a poco con la strage di Brescia), e non vi era certo la necessità di creare una
finta organizzazione di destra cui “attribuire una serie di atti violenti ed antidemocratici”. E’ più probabile, invero, che il
decreto di scioglimento di On colse impreparati i responsabili della guerra non ortodossa – in primis il Viminale – che
decisero a quel punto di intervenire creando di fatto una nuova organizzazione da utilizzare per proseguire sulla folle
strada della strategia della tensione. Ed è difficile non collegare le “forze politiche estranee alla Dc”, con quegli
ambienti dell’oltranzismo atlantico che saranno coinvolti nella strage di piazza della Loggia; quel blocco di forze
(estranee alla Dc ma ad esse contigue) di cui faceva parte chi consentì la distruzione di tutti i reperti subito dopo la strage, chi era al corrente della preparazione dell’attentato, chi si adoperò successivamente per coprire i responsabili dell’eccidio.
Giancarlo Esposti
Il finto antifascismo del Ministero dell’interno emerge nei passaggi successivi dell’appunto, laddove si dice che
“la manovra può facilmente riuscire coinvolgendo estremisti di destra” e che la “provocazione è facilmente attuabile nell’ambito dei predetti movimenti anche per la compiacenza di aderenti che pensano opportuno ‘comporre in chiave individuale i dissidi con il Ministero dell’interno’”. Tra coloro che sembra possano essere utilizzati dal Ministero, l’appunto annovera Kim Borromeo, Giancarlo Cartocci e Giancarlo Esposti, e su quest’ultimo si sofferma l’attenzione del Sid, con accenni inquietanti. Dunque, Esposti, risulterebbe “implicato con la questione BRESCIA (ipotesi che trova scarso credito)”; e avrebbe “accettato un ‘incarico’ proposto dal M.I. [Ministero dell’interno]. Questa seconda evenienza è fortemente creduta e potrebbe essersi determinata nel quadro di un ventilato progetto di attentato – su commissione – durante la sfilata del 2 giugno (premio: 400.000.000 con anticipo già corrisposto). In realtà, i provocatori intendono solo far ‘scoprire’ un campeggio paramilitare e materiale esplosivo”.
Secondo il ROS si tratta della parte più rilevante dell’appunto, poiché vi si fa espresso riferimento, in anticipo,
alla scoperta del campeggio paramilitare di Pian del Rascino. “L’ignoto estensore – sempre per il ROS – ha in pratica
appreso dalle sue fonti che il Ministero degli Interni ha promesso 400 milioni a ESPOSTI chiedendogli di realizzare un
attentato nel corso della sfilata del 2 giugno 1974, consegnandogli già un anticipo. Il tutto al fine di arrestarlo, progetto
durante, in un campo paramilitare con esplosivi”.
Sempre con riferimento alla strage di Brescia, dall’appunto è possibile apprendere che “tra i responsabili di
estrema destra prevale l’opinione che ‘BRESCIA’ sia stata voluta dal M.I.”. Se si considera che l’appunto è datato 30
maggio 1974, cioè due giorni dopo la strage, appare in tutta la sua drammatica evidenza che non solo il Sid, ma con
ogni probabilità anche il Ministero dell’interno, erano al corrente dell’origine e della matrice dell’eccidio.
Ciononostante, per gli otto morti e i centrotre feriti non è ancora stata fatta giustizia.
A margine, è da segnalare che l’appunto contiene un ulteriore paragrafo riferito al golpe Borghese, sul quale
emergono ancora elementi certo non debitamente valutati all’epoca. La fonte del Sid, che è uno dei capi segreti
dell’organizzazione, infatti, si dichiara disposta “a fornire (tramite contatto con il responsabile di Avanguardia
Nazionale) alcuni numeri di matricola delle armi che il Ministero all’Interno distribuì agli ‘avanguardisti’ la sera dell’8
dicembre 1970 all’interno del dicastero e che questi non hanno più inteso restituire”.
E così commenta il ROS a margine dell’appunto, premettendo che “il Sid ha evidentemente l’interesse a poter
tenere sotto pressione il Ministero dell’interno”: “Il particolare interessante è che, a differenza di quanto si era sempre
detto, le armi non sono state prelevate manu militari ma, ‘distribuite’ dal Ministero degli Interni. […] A livello di
ipotesi è possibile suggerire l'identificazione del capo segreto di Ordine Nuovo con il noto Clemente Graziani, di
recente deceduto”. Molto tempo dopo l’appunto del Sid, una nuova e importante testimonianza circa un ruolo diretto del Viminale e, segnatamente, dell’Ufficio Affari Riservati, quale provocatore diretto di atti di terrorismo, è emersa a margine di un’inchiesta della Procura della repubblica di Firenze del 1993 sul tentativo di dare vita ad una sorta di “costituente” della destra radicale o, meglio, fascista, a seguito della contestazione per la presunta deriva moderata che avrebbe negli anni successivi trasformato il Msi (o meglio, la sua ampia maggioranza) in Alleanza Nazionale.
Nel corso di tale inchiesta era stata messa sotto controllo l’utenza di Graziano Carboncini, già segretario della
sezione del Msi di Empoli, successsivamente transitato in formazioni extraparlamentari fino al rientro nel Ms-Fiamma
Tricolore di Pino Rauti. Il 29 marzo 1993, Carboncini ricevette la telefonata di Angelo Apicella, già appartenente ad Avanguardia Nazionale, nonché in contatto con Elio Massagrande. Nel corso della conversazione, nel rievocare in termini critici alcuni drammatici avvenimenti passati che avevano caratterizzato molti periodi della vita repubblicana, quali il caso Moro, le vicende Calvi e Sindona, nonché gli assassinii di Dalla Chiesa e Borsellino, Apicella si lasciava andare ad una confidenza di grande interesse, che sembra rappresentare una conferma di quanto sostenuto nel documento del Sid:
“[…] io ero stato sollecitato dal dott. Amato [rectius D’Amato] dell’Ufficio affari riservati del coso… mi avevano
offerto 750 milioni e ad un certo momento, siccome avevano capito che eravamo un gruppo di paracadutisti, e ci accorgemmo guardandoci in faccia che eravamo tutti ex sabotatori quindi con gli esplosivi sulla punta delle dita, io dissi questi ordini noi li possiamo avere solo da chi di dovere, noi non possiamo usare queste cognizioni per cose […]”. Secondo il racconto di Apicella, dopo le proposte dell’Ufficio Affari riservati – rifiutate dal suo gruppo – un
secondo tentativo di aggancio istituzionale si sarebbe verificato poco tempo dopo all’aeroporto militare di Guidonia dove, a margine di alcune esercitazioni, il gruppo di Apicella sarebbe stato avvicinato dall’ammiraglio Eugenio Henke, dal generale Fanali e dal generale Boschetti, che avrebbero avanzato proposte analoghe a quelle di D’Amato105.
L’importanza della conversazione – oltre al fin troppo evidente richiamo con le considerazioni svolte
nell’appunto del Sid – deriva dal fatto che si trattava di un dialogo tra due “camerati” legati dal vincolo di una nuova
comune militanza politica, i quali non potevano ragionevolmente sospettare di essere intercettati, perché in quel periodo il loro tentativo di riorganizzazione della destra radicale – ancorché di interesse della procura di Firenze – si era manifestato in maniera palese, con riunioni e iniziative politiche in gran parte pubbliche.
Si tratta, in ogni caso, di una chiamata in causa da parte di una persona, Angelo Apicella, che sarebbe testimone
diretta delle proposte avanzate da Federico Umberto D’Amato e dal suo ufficio.
C’è da rilevare, in proposito, che il dirigente della Digos di Firenze, ben comprendendo la rilevanza delle
affermazioni di Apicella, informò il giorno stesso, con una annotazione, la procura della Repubblica di Firenze nella persona del sostituto Gabriele Chelazzi, chiedendo di estendere le indagini anche sull’Apicella.
Al momento non è possibile dire quale tipo di sviluppo ha avuto questo filone, né se la procura di Firenze –
essendo evidente la notizia di reato – abbia inteso inviare il fascicolo alla procura della repubblica di Roma,
verosimilmente competente ad indagare, ovvero se abbia ritenuto di procedere autonomamente.
Se così non fosse stato e la segnalazione della Digos fosse rimasta senza seguito, ci troveremmo senza dubbio di
fronte ad un comportamento censurabile, anche per il fatto che il periodo 1990-1995 è quello che ha consentito le maggiori acquisizioni processuali relative al terrorismo di destra e alle sue protezioni istituzionali.
La riunificazione neofascista e le nuove connivenze
La risposta allo scioglimento di Ordine Nuovo106 è costituita dal tentativo di riunificazione tra On e An che viene
lungamente preparata con contatti tra gli ordinovisti e gli avanguardisti in Italia e voluta fortemente da Stefano Delle
Chiaie e che fu sancita in una riunione svoltasi ad Albano nel 1975. Alla presenza degli stati maggiori dell’eversione e
di diversi latitanti (come Delle Chiaie e Concutelli) rientrati clandestinamente, fu dato corpo alla struttura riunita, che,
utilizzando quale schermo la sigla ancora legale di An, non doveva essere la somma delle due strutture, ma la risultante
della loro fusione, riconoscendo zona per zona la leadership all’organizzazione localmente più rappresentativa.
L’organizzazione riunita doveva avere un suo organigramma e mettere in comune le armi, le strutture logistiche e il piano d’azione attorno ad una strategia che sanziona un radicale cambiamento di atteggiamento.
Delle Chiaie, secondo quanto poi appreso dall’autorità giudiziaria, avrebbe esordito senza mezzi termini
annunciando che: “noi siamo qui non per fare stupidaggini come seguire linee politiche o fare giornali, noi siamo qui
per prenderci il potere” secondo una linea d’azione così sintetizzata da Calore: “arrivare ad ottenere la disarticolazione
del potere colpendo le cinghie di trasmissione del potere statale”.
Come si vede il baricentro si sposta verso una scelta spiccatamente antisistemica. L’indicazione data in quella
sede da Delle Chiaie proclamando che “Occorsio era un nemico da abbattere” fornisce una tragica esemplificazione del
nuovo atteggiamento, ed avrà l’anno successivo puntuale esecuzione per mano dell’ordinovista Concutelli.
Naturalmente si potrà e si dovrà discutere a lungo sulla reale vocazione “antisistemica” di due organizzazioni
che, nei fatti, rappresentavano il braccio armato dell’ufficio Affari riservati del Viminale e del Sid, nonché erano
organici a quegli apparati atlantici – agli americani, per intenderci – i quali erano invisi a settori non marginali della destra radicale in quanto responsabili della sconfitta del nazi-fascismo.
Questa falsa vocazione “antisistemica” avrebbe poi portato Vincenzo Vinciguerra ad organizzare l’attentato di
Peteano, proprio quale gesto di rottura rispetto alle collusioni istituzionali dei suoi ex camerati.
Per tornare ad An e On, il processo di riunificazione appare estremamente significativo per comprendere lo
sviluppo della strategia della destra eversiva nel suo complesso. Esso non ha potuto avere in sede processuale - per ragioni necessariamente legate ai limiti e agli obiettivi di ogni vicenda giudiziaria - una adeguata valorizzazione ricostruttiva, rimanendo schiacciato tra le valutazioni in punto di diritto sugli elementi della fattispecie associativa e i vincoli derivanti dal principio del ne bis in idem. Tuttavia si può storicamente affermare che la riunificazione si pone come passaggio tattico di una strategia che vede intrecciarsi i percorsi degli ordinovisti e degli avanguardisti. Il delitto Occorsio, già ricordato, il sequestro Mariano, l’attentato a Leighton, si inseriscono in tale contesto. L’arresto di appartenenti alle due organizzazioni nell’appartamento di via Sartorio in Roma nel dicembre del 1975, fornisce, insieme al rinvenimento dell’organigramma della struttura unificata e di copioso materiale documentale107, tra cui documenti ideologici di pugno di Concutelli e di Delle Chiaie, la dimostrazione evidente dell’avvenuta fusione. Recenti contributi istruttori su Avanguardia nazionale, Ordine nuovo e apparati dello Stato
Negli ultimi anni le novità di maggior rilievo sono venute dall’inchiesta di Bologna (cd. processo Italicus bis) e
di Milano (inchieste sull'attività del gruppo La Fenice e sugli attentati fascisti degli anni Sessanta e Settanta, nonché la
nuova inchiesta sulla strage di piazza Fontana oggi a dibattimento).
Straordinari contributi sono venuti anche dalla nuova inchiesta sull’attentato alla questura di Milano per il quale
è già stato condannato all’ergastolo Gianfranco Bertoli e dall’istruttoria sull’abbattimento dell’aereo del Sid, Argo 16.
Si è ancora in attesa delle risultanze della nuova indagine sulla strage di Brescia la quale, dai pochi elementi
finora emersi, sembra inserirsi perfettamente nello schema interpretativo che si è delineato nelle altre inchieste.
Le ricostruzioni istruttorie – pur essendo opera di diverse autorità giudiziarie - hanno confermato un disegno che
nelle grandi linee era già tracciato, e cioè quello di una sostanziale contiguità tra On e An, ma soprattutto della stabilità
dei rapporti di entrambe con settori dei servizi di informazione e alcuni apparati militari, di un loro coinvolgimento già
dalla fine degli anni ‘60 (a livello operativo, cioè concretizzatosi attraverso fatti delittuosi) nei progetti golpisti
succedutisi fino al 1974. Naturalmente, è stata confermata la riconducibilià a quei gruppi della preparazione e
dell’esecuzione delle stragi di piazza Fontana, di piazza della Loggia, della questura di Milano e di altri episodi minori
che hanno contribuito ad alimentare la strategia della tensione. Tali ricostruzioni hanno anche introdotto elementi di novità che qualitativamente mutano il quadro precedente.
Per meglio spiegare il livello di organicità tra destra eversiva e strutture dello Stato è necessario analizzare nel
dettaglio – e alla luce dei nuovi documenti e delle nuove testimonianze – alcune vicende esemplari:
a) i contatti tra An, il Sid e l'Ufficio affari riservati del Ministero dell'interno,
b) i rapporti tra On, il Sid e ufficiali dell'Esercito,
La fuga all'estero di alcuni leader storici di O.N. impose sforzi immediati di riorganizzazione che condussero ad una
svolta strategica. Le iniziative assunte da alcuni settori della magistratura e dei Servizi nei confronti di appartenenti al
movimento fu vissuta dai suoi militanti come un vero e proprio tradimento da parte dello Stato (sulle conseguenti dinamiche del periodo in cui maturò la diversa strategia di attacco allo Stato, cfr. Ferraresi, Minacce alla democrazia, Feltrinelli 1995, pagg. 275 e segg.)
azione rinvenuta emerge con certezza l’operazione preventiva di attribuzione alla sinistra
I rapporti di Avanguardia Nazionale con i servizi di informazione, prima con l’Ufficio affari riservati, poi con il
Sid, hanno origini risalenti ai primi anni ‘60, quando l’area di An, tramite il giornalista Mario Tedeschi, fu coinvolta
dall’Ufficio affari riservati del Ministero dell'interno nell’attività di affissione dei “ manifesti cinesi”, una campagna di
attacco al partito comunista apparentemente proveniente dalla sua sinistra.108 Tale attività fu ammessa dallo stesso Delle Chiaie che la ricondusse ad una iniziativa dell’Ufficio affari riservati, condivisa tatticamente da An come valida manifestazione di “guerra psicologica” nei confronti del partito comunista. A prova della “copertura” fornita all’operazione da parte delle forze dell’ordine, secondo quanto riferisce Vinciguerra, Delle Chiaie109 avrebbe appreso da un funzionario della Questura che la immediata liberazione di alcuni avanguardisti fermati durante l’affissione dei manifesti era stata frutto di un preciso intervento in tal senso. Nell’operazione fu coinvolta An a livello nazionale e non soltanto a Roma. Infatti, oltre a Vinciguerra numerosi altri ex militanti dei gruppi eversivi di destra hanno parlato dell’operazione. Significative sono le testimonianze di Salvatore Francia, Paolo Pecoriello, Carmine Dominici e Roberto Palotto.
Vale la pena riportare alcuni passaggi dell’interrogatorio di Vinciguerra: “Indico in questa operazione il primo
momento concreto dell’avvio della strategia della tensione, che deve quindi essere anticipata ai primi anni ’60 e non,
come erroneamente si fa, fissata al maggio del 1965, data di svolgimento del ‘Convegno Pollio’.
Dell’operazione Manifesti Cinesi venni direttamente a conoscenza da Stefano Delle Chiaie a seguito
dell’intervista apparsa nel 1974 fatta a Robert Leroy da un giornalista dell’Europeo. Di questa intervista ho già parlato
ed anche delle reazioni negative di Delle Chiaie nei confronti di Leroy espresse a Ives Guerin Serac. Delle Chiaie si preoccupò di smentire parzialmente le responsabilità di Avanguardia Nazionale in questa operazione, negando il collegamento consapevole fra Avanguardia e l’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno che ne era stato
l’organizzatore. Pur confermando la veridicità delle affermazioni di Leroy al giornalista dell’Europeo, Delle Chiaie mi
raccontò che ad affidargli l’incarico di affiggere i Manifesti cinesi era stato Mario Tedeschi, direttore de “Il Borghese”,
e che nell’operazione era coinvolto anche un esponente del Movimento Sociale Italiano, tale Gaetano La Morte.
Il Delle Chiaie confermò la responsabilità di Federico D’Amato dicendomi che a rivelargliela era stato il
Dirigente dell’Ufficio Politico di Roma, tale D’Agostino, a seguito del fermo e dell’immediato rilascio di alcuni giovani
di Avanguardia che erano stati fermati mentre affiggevano i manifesti.
Il D’Agostino ebbe un incontro con Stefano Delle Chiaie dopo il rilascio di questi ragazzi nel corso del quale
evidenziò, sempre per quanto mi disse Delle Chiaie, il suo stupore per il fatto che gli Avanguardisti ignorassero che dietro l’operazione Manifesti Cinesi c’era il Ministero degli Interni nella persona di Federico D’Amato. Il Delle Chiaie
concluse il suo racconto affermando che, appresa la verità e preso atto che era stato ingannato da Mario Tedeschi, si era
distaccato da questo tipo di operazioni”.
Successivamente, Gaetano La Morte avrebbe ricoperto incarichi di un certo prestigio all’interno del Msi,
transitando poi ad Alleanza Nazionale. I rapporit tra Stefano Delle Chiaie e Federico Umberto D’Amato
La testimonianza di Vinciguerra sulle collusioni tra D’Amato e Delle Chiaie – e quindi tra An e Affari riservati –
ha trovato una straordinaria e autorevole conferma in quella di Guglielmo Carlucci, ex dirigente degli Affari Riservati,
nonché stretto collaboratore di D’Amato, recentemente scomparso.
E’ utile riportare integralmente il contenuto delle dichiarazioni di Carlucci citando ampi brani della sentenza-
ordinanza del GI di Venezia, Carlo Mastelloni: “Sulla gestione di fonti, fonti interne o infiltrati coltivati dai funzionari del Ministero dell’Interno in servizio alla Div. AA.RR., nel corso della deposizione del 15 maggio 1997 il dr. Carlucci ha ricordato che il Delle Chiaie era solito frequentare il dr. D’Amato sia quando il funzionario era vice direttore che nei tempi successivi in cui era assurto alla carica di direttore della Divisione, trattenendosi con il prefetto nei locali dell’ufficio. In alcune occasioni lo stesso Carlucci aveva assistito ai colloqui intercorsi tra i due.
Secondo le percezioni del Carlucci cui il Delle Chiaie era stato presentato, D’Amato, la Divisione Aa.Rr.,
agevolava il capo indiscusso di Avanguardia Nazionale per il rilascio di passaporti per concessioni del porto d’armi e di
Si voleva allarmare l'opinione pubblica moderata con la dimostrazione dell'esistenza di una capillare rete filo-cinese
in molte città italiane; ed insieme spingere il Partito comunista italiano ad una radicalizzazione determinata dalla
necessità di impedire la formazione di un'area alternativa alla sua sinistra. Qant’altro interessando in discesa gli organi competenti della Questura di Roma ed estendendo questo tipo di intervento anche a qualche amico dell’estremista. Nel corso degli incontri il Delle Chiaie forniva notizie che il D’Amato dopo essersi fatto descrivere le singole personalità degli appartenenti al gruppo di A.N. trasfondeva in Appunti che poi inoltrava, per lo sviluppo, alla Sezione competente al fine di stimolare i conseguenti controlli da espletare in direzione dei militanti attraverso la Squadra centrale o ufficio politico o direttamente al Capo della Polizia che, ove del caso, a sua volta li inoltrava al Ministro. Era dunque Delle Chiaie “un suo confidente nonché infiltrato” nella struttura di estrema destra. Si trattava di un rapporto personale ed esclusivo di D’Amato: ”un contatto rischioso” ma ritenuto dallo stesso D’Amato e dal Carlucci
“indispensabile”. Anche se il teste ha risposto di non aver mai sviluppato appunti provenienti dal Delle Chiaie all’esito di ogni commiato, cui egli aveva modo di assistere, il commento seguito alla visita espresso dal prefetto era sempre nel senso che il contatto con Delle Chiaie “poteva essere utile per noi”.
Si tratta di un riscontro diretto fornito dal dr. Carlucci pertinente a un rapporto di cui si è eternamente sussurrato
ma anche dibattuto spesso nelle aule di Giustizia e che nel corso di questa istruttoria ha avuto un’autorevole conferma
processuale caratterizzata da una ricchezza di particolari e ben inquadrata nello spazio e nel tempo: “Nel 1966 allorché
io pervenni al Viminale il rapporto tra D’Amato e Delle Chiaie era già in corso”, nonché logicamente articolata: “il predetto, anche se si diceva che era un violento, non è mai stato arrestato anche se inquisito”.
Delle Chiaie, dunque, era un “confidente e un infiltrato” di D’Amato. Una circostanza che, da sola, induce a
riflettere con gravità sulle collusioni istituzionali e, da sola, dà buona parte della risposta sul perché i responsabili delle
stragi siano in gran parte riusciti a sottrarsi alla giustizia. Ma se le testimonianze di Vinciguerra e del dottor Carlucci sembrassero insufficienti per poter fare affermazioni così categoriche, ogni elemento di residuo dubbio viene tolto dalla ulteriore testimonianza di Gaetano Orlando (ritenuto attendibile dall’autorità giudiziaria di Milano e di Bologna) già capo, con Carlo Fumagalli, del Movimento di Azione Rivoluzionaria, rifugiato in Spagna durante la sua latitanza ed entrato nel “giro” di Delle Chiaie, che in quel periodo fungeva da padre-padrone della colonia dei fascisti italiani e manteneva i rapporti con le autorità franchiste spagnole, le quali utilizzavano gli avanguardisti e gli ordinovisti in “operazioni sporche” contro i baschi. Orlando è stato testimone diretto di un incontro in Spagna tra il latitante Delle Chiaie e Federico Umberto D’Amato.
Ecco l’eloquente racconto dell’ex capo del Mar sull’incontro Delle Chiaie-D’Amato e, più in generale, sul ruolo
del capo di Avanguardia Nazionale in Spagna e sui contatti con il piduista-fascista Mario Tedeschi e con Romualdi, a
loro volta legati al capo degli Affari riservati: “In Spagna ho appreso che Delle Chiaie aveva eseguito azioni
terroristiche attribuite ai baschi. Non dico che le abbia eseguite materialmente Stefano Delle Chiaie, ma che lui era l'organizzatore e che utilizzava la sua gente. Godeva dell'appoggio della Guardia Civil, come ho avuto modo di constatare relativamente alle vicende di Montejura. Venivano eseguiti attentati, sequestri di persona ed altri fatti criminosi che poi venivano addebitati all'Eta. Gli uomini di Delle Chiaie non operavano solo a Madrid, ma anche a San Sebastiano, a Barcellona ed in altre località della Spagna. Queste notizie apprese circa l'azione di Delle Chiaie in Spagna hanno formato in me la convinzione che anche in Italia dev'essere successo qualcosa di analogo [...] Spontaneamente aggiungo, poi che il Delle Chiaie mi condusse a Monteyura, nell'anniversario della vittoria carlista. Ricordo che era presente anche il Maggiore De Rosa della Guardia Forestale che io stesso accompagnai a Monteyura in macchina. Là Stefano mi presentò a Sisto Quinto a Monteyura c'era anche Cauchi. Per l'occasione Delle Chiaie era stato rifornito di jeep cariche di armi affidategli dalla Guardia Civile spagnola. Io e De Rosa rimanemmo in albergo. Ricordo che era l'albergo "Monteyura" dove dovremmo essere stati registrati. […] Anche Delle Chiaie stava nel nostro stesso albergo. Non so invece se ci fosse anche il Cauchi. Io e De Rosa rimanemmo in albergo, mentre Delle Chiaie, Cauchi e un'altra decina di italiani i cui nomi non sono mai emersi andarono via a bordo delle jeep. Quello che è successo poi è stato riportato su tutti i giornali. Il Delle Chiaie, inoltre, in Spagna ha fatto delle altre operazioni che sono state attribuite ai baschi, ma io non ho assistito a queste. Ho inoltre appreso che sarebbe coinvolto nell'omicidio di alcuni baschi […] Delle Chiaie, in Spagna, incontrava anche il Senatore Tedeschi, che io stesso ho conosciuto in occasione di una di queste visite. Vinciguerra non era al corrente del rapporto fra Delle Chiaie e Tedeschi e ne ha avuto conoscenza solo recentemente […] Non ricordo a quale delle riunioni di cui ho parlato fosse presente il Fachini, persona che comunque ho certamente incontrato e conosciuta a Padova, appunto in una di quelle riunioni [...] I deputati italiani che venivano in Spagna e dei quali ho parlato nei precedenti verbali venivano a trovare Delle Chiaie. Io ho conosciuto personalmente il Tedeschi e il Romualdi e non me la sento di fare i nomi degli altri”.
“[…] Lei G.I. mi chiede di approfondire il tema, già accennato nel mio precedente verbale, dei rapporti tra i
fuoriusciti di destra che vivevano a Madrid e uomini politici italiani. A tal proposito ricordo che il Delle Chiaie mi portò
con sè, in una occasione, ad un suo incontro all'Hotel Melia Castiglia con il Romualdi. Giunti all'albergo il Romualdi ci
raggiunse al bar ed il Delle Chiaie me lo presentò. Bevemmo qualcosa insieme e poi i due si allontanarono. Questo incontro risale al '76, ma so, pur senza avervi partecipato, che il Delle Chiaie ha avuto numerosi altri incontri col Romualdi […].
In Spagna non ci furono solo incontri con politici da parte di Delle Chiaie. Ricordo anche delle riunioni. Ho
partecipato ad alcune di queste e ne ricordo una, in particolare, durante la quale mi venne presentato Federico Umberto
D’Amato. Oltre a me il Delle Chiaie e il D’Amato, a questa riunione prese parte circa una trentina di persone, cileni,
francesi, argentini ed italiani, oltre che degli spagnoli che facevano gli onori di casa. Fui invitato a questa riunione per
consentirmi di illustrare la mia posizione su come comportarsi con le autorità locali nel Paese che ci offriva ospitalità
[...]”.
Il racconto di Orlando, sul punto della conoscenza tra Delle Chiaie e Tedeschi, si integra con quello di
Vinciguerra, il quale apprende i retroscena dell’operazione “Manifesti cinesi” solamente nel 1974. E sarebbe ben strano
che Delle Chiaie – il quale in quell’occasione riferisce di essere stato ingannato da Tedeschi – avesse mantenuto così a
lungo e in maniera così stretta i rapporti con il direttore del “Borghese” se tra i due ci fosse stato un motivo di così grave conflitto.
Alla luce di quanto esposto, non vi possono essere dubbi circa i rapporti tra Delle Chiaie e D’Amato,
ampiamente dimostrati.
E’ interessante, tuttavia, dare conto di altre testimonianze che dimostrano come, all’interno dei servizi segreti e
della stessa destra missina, i rapporti tra Avanguardia Nazionale e Viminale fossero considerati un dato di fatto.
A tal proposito è interessante la testimonianza del capitano Antonio Labruna – recentemente scomparso – che
era stato uno degli uomini del Sid che aveva indagato sui retroscena del golpe Borghese e non poteva non aver notato
che, all’epoca, fu fatto di tutto per tenere fuori il gruppo di Delle Chiaie dall’inchiesta della magistratura:
“[…] Mi accorsi già nel corso dell’istruttoria che non erano stati denunciati alla A.G. i soggetti denuncianti e di
cui alla copia in mio possesso: per esempio i componenti di Avanguardia Nazionale: Delle Chiaie, Maurizio Giorgi; aggiungo che tutti i componenti di Avanguardia Nazionale non furono denunciati per il Golpe benché ne fosse stata evidenziata una struttura palese ed una occulta e operativa in funzione del Golpe.
Avanguardia nazionale figurava come la parte operativa del Fronte, struttura che faceva capo al principe
Borghese”.
Labruna ha anche riferito dei contatti di Delle Chiaie con D’Amato e del suo ruolo di fonte e agente provocatore:
“ Capo di Avanguardia Nazionale era Stefano delle Chiaie, che, ripeto, era una fonte dell’Ufficio Affari Riservati: tanto
mi fu confermato anche dall’avv. Degli Innocenti, dal Nicoli, nostra fonte, da Orlandini in Svizzera […]115.
Chi fosse in realtà Delle Chiaie, come detto, era noto anche in alcuni settori del Movimento sociale meno
compromessi con i servizi segreti e con i gruppuscolo eversivi.
Interessante, a tal proposito, è la testimonianza di Romolo Baldoni (attivo nel Msi fino al 1980), che dimostra
non solo il ruolo di provocatore di Delle Chiaie, ma anche l’ambiguità di un personaggio come Guido Paglia, dirigente
di Avanguardia Nazionale e, come vedremo in seguito, definito dall’autorità giudiziaria di Milano e di Bologna – a seguito di risultanze processuali – informatore del Sid con il nome di copertura “Parodi”.
A differenza di altri avanguardisti, Paglia sarebbe riuscito a riciclarsi nel mondo del giornalismo (famoso il suo
scoop sull’arsenale di Camerino, funzionale al depistaggio organizzato dai servizi segreti, di cui si dirà più avanti) e, più
recentemente, nel mondo manageriale.
Ha raccontato Romolo Baldoni: “Fino al 1976 ho militato nel Movimento Sociale Italiano e ciò dal 1948. Sono
stato Consigliere per la Provincia di Roma svolgendo due mandati dal 1972 al 1980.
Nel 1969, 1970 ero Segretario Giovanile della Giovane Italia ed avevo, in quanto Dirigente, rapporti diretti con
la dirigenza del Partito.
Non ho mai avuto rapporti con il Sid. Ho conosciuto Guido Paglia nel 1969.
Era egli dirigente di una formazione giovanile universitaria.
Ricordo che, nei primi mesi del 1970, invitai il predetto a casa mia, a pranzo, perché intendevo portarlo con me a
Strasburgo acché partecipasse ad una manifestazione contro le costituende Regioni. In quel frangente io, sapendo che
egli era amico del Delle Chiaie, detto Caccola, lo misi sull’avviso che questi era elemento pericoloso coinvolto in strani
episodi: strage di piazza Fontana. Mi disse il predetto che lui era vicino a Delle Chiaie e che non poteva venire a Strasburgo, al Parlamento Europeo. Al che io, che avevo rapporti con dirigenti quali Almirante, De Marzio, Romualdi,
ero al corrente, per averlo saputo nel corso di riunioni con i predetti, che Delle Chiaie sarebbe stato interrogato per i
fatti di strage avvenuti a Milano.
Dopo due o tre giorni Delle Chiaie fuggì all’estero.
Contestatami la deposizione del Paglia sui punti relativi ai rapporti tra Delle Chiaie ed il Ministero dell’Interno,
rapporti su cui mi diffusi e per i quali io subì la reazione, la sera, del Paglia e dello stesso Delle Chiaie.
Ricordo che la sera dello stesso giorno il Delle Chiaie, assieme al Paglia e ad altre cinque o sei persone, venne
presso casa mia. Il Paglia suonò al campanello e mi fece scendere. Delle Chiaie mi chiese spiegazioni su quanto avevo
riferito al Paglia. Fui evidentemente minacciato e risposi che non potevo dare spiegazioni di ciò che avevo detto perché
non potevo rivelare la fonte che, come ho detto testé, era l’Onorevole Almirante che si era in tal guisa espresso nel corso di una riunione ristretta adducendo che Delle Chiaie sarebbe stato ascoltato dall’A.G. circa i fatti di strage. Almirante aveva in più occasioni detto che il Delle Chiaie era un provocatore al servizio del Ministero dell’Interno ed in particolare del Prefetto Federico Umberto D’Amato.
Almirante diceva di essere in possesso delle fotografie che rappresentavano Delle Chiaie mentre sortiva dal
Ministero dell’Interno. E’ vero che il Delle Chiaie faceva attaccare manifesti del candidato della Dc Petrucci nella zona
tuscolana impiegando anche propri elementi che io conoscevo.
Tutto questo io riferii al Paglia a colazione ma il discorso principale fu da me incentrato sul coinvolgimento
asserito da Almirante del Delle Chiaie nei fatti di Piazza Fontana.
Era noto da anni, dal 1965 in poi, nel contesto del Msi, che il Delle Chiaie era un provocatore che agiva per
conto del Ministero dell’Interno, della Democrazia Cristiana e tanto al fine di alzare i livelli di scontro nelle
manifestazioni. Fui io a invitare a pranzo il Paglia concretizzando un tentativo di sottrarlo all’area del Delle Chiaie. Il
gruppo la sera tentò di aggredirmi fisicamente cercando di sapere le mia fonti circa le attribuzioni fatte da me nei confronti dell’operato del Delle Chiaie. Almirante sosteneva esplicitamente che Delle Chiaie era finanziato dal
Ministero dell’interno. Nel partito ciò però costituiva notizia corrente da anni pertanto la direttiva era quella di non far
frequentare le sedi di Avanguardia Nazionale dai nostri elementi. Devo dire comunque che, coevamente, a noi risultava
che Delle Chiaie aveva anche rapporti diretti con lo stesso Almirante e che nel 1975 da latitante, il Delle Chiaie si recò
presso il predetto, presso la abitazione parlamentare. Tanto mi disse lo stesso Almirante dopo questo episodio,
aggiungendo che la Ps, che sorvegliava la sua abitazione, aveva riconosciuto il Delle Chiaie ma non lo aveva arrestato,
tale confidenza l’apprendemmo io e mia moglie a casa di Almirante. Non ricordo chi altro fosse presente. Almirante sostenne che la Ps non voleva prendere Delle Chiaie perché non si voleva che parlasse.
La Polizia aveva chiesto conferma allo stesso Almirante della identità dell’ospite.
Tanto ci riferì l’Onorevole.Sono sicuro che almeno due volte, e sempre nel 1975, Almirante ricevette il Delle Chiaie. Tanto disse conversando con noi a pranzo”.
Il racconto di Baldoni, oltre a mostrare i lati poco nobili – per usare un eufemismo – della personalità di Guido
Paglia, dimostrano ulteriormente l’ambiguità di fondo dei dirigenti del Msi nei confronti dei terroristi fascisti e dei gruppi eversivi, che riuscivano a tenere insieme “condanne” formali ed apparenti, denunce di un’attività di
provocazione e contatti stretti, fino alla decisione di incontrarsi con latitanti.
La collaborazione tra An e l’Ufficio affari riservati è ulteriormente riferita dal capitano Labruna, il quale ha
affermato di averla appresa da Giannettini e da Guido Paglia. Tale circostanza trova conferma nelle dichiarazioni di Giannettini e nella nota relazione su “attività di Avanguardia nazionale e gruppi collegati” consegnata da Guido Paglia
al Sid e non trasmessa all’autorità giudiziaria117. La relazione fu invece utilizzata, secondo Vinciguerra118, proprio come
prova di affidabilità del servizio nei confronti di Delle Chiaie, con il quale Labruna si incontrò in Spagna poco dopo la
ricezione della nota. Labruna faceva così sapere a Delle Chiaie che il Sid sapeva che il coinvolgimento di An nel golpe
Borghese era passato proprio attraverso la struttura di intelligence del Ministero dell’interno, ma teneva la cosa segreta.
I rapporti tra Ordine nuovo e i Servizi italiani e statunitensi
Altrettanto numerosi sono i riferimenti a contatti tra Ordine Nuovo e ambienti informativi e militari; tali contatti
devono collocarsi nel quadro della mobilitazione della destra eversiva al servizio dei progetti di destabilizzazione cui
facevano riferimento le dichiarazioni di Spiazzi e di Vinciguerra già negli anni '80 e che ora sono andate delineando un
quadro sempre più completo.
In particolare, come è emerso nel corso delle ultime attività della magistratura, il legame tra Ordine Nuovo,
servizi segreti e rete informativa all’interno delle basi Nato (sostanzialmente riferibile agli Stati Uniti) è il nodo attorno
al quale si è sviluppata, tra il 1969 ed il 1974, la strategia delle stragi fasciste, o – secondo una definizione diffusa e
certamente non priva di fondamento – stragi di Stato.
Tra le tante dichiarazioni e testimonianze, appaiono significative le puntuali affermazioni di Graziano Gubbini,
ordinovista perugino che tra il 1971 ed il 1972 si era trasferito in Veneto ed era entrato nelle formazioni ordinoviste locali. Questi riferisce di incontri con militari e di una riunione nella caserma di Montorio, cui Gubbini partecipò come rappresentante del centro Italia unitamente ad un rappresentate per il sud e per il nord per “dar vita ad una struttura di civili di ispirazione ordinovista che, in collegamento con ambienti militari, avrebbe dovuto organizzarsi con basi, armi ecc. […] con finalità anticomuniste" [...] "L’operazione venne denominata “Operazione Patria” e prevedeva la costituzione di una struttura organizzata in modo analogo al F.N.L., con a disposizione basi, armi ed il nostro addestramento. Avremmo avuto a nostra disposizione per il nostro addestramento delle basi militari cioè la creazione di una struttura mista di militari e civili che avrebbe potuto avvalersi dei supporti logistici e addestrativi dell’esercito”. L'operazione si sarebbe arenata per la resistenza degli ordinovisti del centro e del sud alla consegna dell’elenco completo dei militanti dell’organizzazione.
Anche il gruppo perugino di O.N. risulta aver avuto contatti con il servizio di informazione tramite Maurizio
Bistocchi e Luciano Bertazzoni (indicato agli atti del servizio come fonte CAPE) , contatti non negati dagli interessati i
quali tuttavia cercano di sminuirne la portata, ma collocati invece da Graziano Gubbini in un contesto ben più articolato:
“Effettivamente mi risulta che il Bistocchi venne contattato da un ufficiale dei carabinieri e sia lui che il Bertazzoni mantennero contatti con questa persona. Io stesso fui avvicinato, precedentemente, da un sedicente ufficiale dei carabinieri che mi propose di collaborare organicamente nell’ambito di una struttura anticomunista. Questa persona mi disse che avremmo avuto a disposizione armi e quant’altro fosse servito [...]”.
Per quanto riguarda poi i rapporti con ufficiali dell’esercito per il procacciamento di esplosivi ed altro analogo
materiale, occorrerà ricordare quanto emerge dal documento Azzi121 sulla possibilità, confermata da più fonti, di prelevare materiale proveniente dalle caserme di Pisa e di Livorno e sulla messa a disposizione di esplosivo da parte del colonnello Santoro, che a tal fine era in stretto contatto con l’industriale Magni.
Degna di grande rilievo, a proposito delle collusioni tra fascisti e ambienti militari – in particolare quelli di Pisa e
di Livorno – è la testimonianza di Andrea Brogi, chiamato durante il servizio militare a svolgere un ruolo informativo di
tipo cospirativo.
Brogi aveva militato in Ordine Nuovo e poi in Ordine Nero ed era uno dei fascisti più legati alla cellula eversiva
di Cauchi, tra le più inquinate per i suoi legami con la massoneria – in particolare la P2 – i servizi segreti, i carabinieri e
la federazione del Msi di Arezzo.
Il racconto di Brogi, a tratti, è soprendente: “Allorchè prestai servizio alla Smipar (la scuola dei paracadusisti di
Pisa) ero militante del Fuan e negli ultimi cinque mesi della leva ebbi contatti con il Capitano De Felice il quale si qualificò come Ufficiale di collegamento tra il Sid e il Sios Esercito. Io avevo già fatto la Scuola trasmissioni a S. Giorgio a Cremano e mi ero specializzato in tale materia, già peraltro perito industriale. In questo contesto funsi da collaboratore informativo e coevamente ero impiegato presso il centralino della Scuola. Confermo che fui in tal guisa impiegato dal 19.11.1972, io incorporato il 3.6.72. Contesto il contenuto e il tenore dell’appunto declassificato secondo cui “in seguito alla pendenza penale” fui “allontanato dal Centralino”. Il De Felice continuò a fruire della mia collaborazione perché si disse in sintonia ideologica con me e ciò a me stette bene. Mi promise che mi avrebbe mandato a Camp Derby nei mesi e anni futuri. Senonchè io non ottenni la rafferma a causa di incidenti che accaddero a Pisa ma l’atteggiamento di De Felice non mutò. Finito il periodo di leva mi disse che ci dovevamo rivedere nei giuramenti successivi perché aveva delle proposte da farmi. Io mi recai in particolare a una cerimonia, la prima successiva dopo il mio congedo e in tale occasione lo rividi e lì mi disse che il nostro rapporto avrebbe avuto uno sviluppo. Infatti il De Felice, dopo un paio di mesi dalla cerimonia, mi cercò a casa, a Firenze, ma mi trovò solo la terza volta chiedendomi di vederlo perché aveva da propormi di lavorare “per la nostra causa” favorevole alla svolta autoritaria in virtù di un golpe militare. Io non mi presentai all’appuntamento perché inserito nel Gruppo aretino e perugino di Ordine Nuovo. Contesto il tenore e le circostanze di fatto recitate dal De Felice il 22.9.92: egli si esprimeva in funzione anticomunista e parlava sempre in funzione di “noi”; egli favoriva il nostro sviluppo ideologico all’interno della Caserma. Ritengo che su di noi camerati il De Felice non inviasse informative bensì lavorasse solo su quanti gli andavano riferendo sugli extraparlamentari di sinistra. (…) Confermo che il De Felice si definì elemento di collegamento tra il Sid e il Sios Esercito e che mi propose, finito il militare, di lavorare per l’Ufficio I in quanto in tale settore “eravamo padroni della situazione”. Dei miei reali rapporti con il De Felice ebbi a parlare con Cauchi, nonché con il Tuti e con Francesco Bumbaca, deceduto. Nel memoriale rimase distrutta una lista di Ufficiali dell’E. I. sia della Smipar che della Brigata Vannucci di Livorno che pur nei tempi precedenti il De Felice” [aveva] “avuto modo di leggere. Tali nominativi li aveva siglati perché risultati favorevoli alle nostre idee politiche: ricordo del Ten. Celentano della Smipar, del Ten. Meiville, del Mar.llo Iorio, aiutante in Smipar, uomo simbolo.
Secondo il giudice istruttore di Venezia, dr. Carlo Mastelloni, è assai verosimile che De Felice – il quale nel
1992 era diventato capo Ufficio Affari Territoriali e Presidiari in ambito Brigata Paracadutisti Folgore - abbia svolto doppio incarico informativo, privilegiando i suoi rapporti con il Sid. Il magistrato, inoltre, ha ritenuto la testimonianza di Brogi pienamente attendibile.
Giova ricordare – perché di pertinenza della Commissione – che nei confronti di De Felice non fu mai preso
alcun provvedimento e che all’ufficiale, contro ogni minimo buon senso, fu rilasciato anche negli anni successivi il Nulla Osta di Sicurezza. Lo stesso tenente Celentano è stato identificato dalla Digos di Venezia quale Enrico Celentano, diventato negli anni succesivi generale comandante della brigata Folgore, al centro di polemiche e interpellanze per la nota vicenda del cosiddetto “Zibaldone”.
Anche questi due episodi – forse minori – dimostrano da un lato l’organicità tra settori degli apparati dello Stato
e neofascisti, dall’altro l’assoluta inerzia degli apparati stessi di fare chiarezza e pulizia, in questo modo recando grave
danno e offesa all’Istituzione stessa. Che avevano cercato maldestramente di difendere.
Sui rapporti tra la cellula neofascista aretina (il cosiddetto gruppo Cauchi) i servizi di sicurezza e la P2
rimandiamo al paragrafo relativo alla strage del treno Italicus.
Parallelamente alla rete di connessioni e di contatti, nel corso degli anni, si è sviluppata anche una intensa attività
di copertura da parte dei servizi in favore degli estremisti di destra. Il quadro che i più recenti accertamenti hanno riassunto riprendendo le fila di precedenti istruttorie e approfondito con nuove acquisizioni, sgombra il campo dall'equivoco nel quale si incorre allorché si affronta il tema della responsabilità dei servizi stessi, fino a svuotare di contenuto politico la inadeguata risposta dello Stato alle minacce terroristiche, stragiste e golpiste. L’equivoco riguarda la asserita, congenita incapacità e la cronica disorganizzazione di tali apparati di sicurezza. I servizi di informazione in realtà disponevano di notizie, di elementi di valutazione, di stabili fonti di informazione e di capacità professionali per la loro valorizzazione che li avrebbero messi in condizione di dare un aiuto determinante all’autorità giudiziaria e alla polizia giudiziaria se solo questo fosse stato il reale intendimento con cui l’attività di servizio veniva svolta e non piuttosto la sua strumentalità a disegni e progetti politici intrisi dalla teoria della “Guerra rivoluzionaria”, là dove si affermava che la guerra contro il comunismo doveva essere combattuta con ogni mezzo e che bisognava combattere anche quelle forze che potremmo definire espressione dell’anticomunismo democratico le quali, per la loro intrinseca debolezza e ingenuità politica, avrebbero rappresentato un obiettivo ostacolo alla lotta contro la sovversione, tanto più che alcuni atteggiamenti dialoganti avrebbero finito con il legittimare un’area politica la quale, al contrario, andava totalmente criminalizzata.
Come s’è ampiamente visto, la quantità e la qualità degli ufficiali dei servizi segreti, delle forze di polizia, delle
forze armate impegnata in questo tipo di attività è stata tale da non permettere – come è stato fatto per lungo tempo - la fuorviante definizione di servizi o apparati “deviati”, che prevederebbe l’inaffidabilità democratica di un piccolo
settore, rispetto ad un corpo sano. Purtroppo, negli anni della strategia della tensione, i rapporti erano inversi e la condizione per poter accedere a incarichi delicati e strategici era, appunto, l’adesione all’impianto ideologico dell’oltranzismo atlantico. Non a caso, nel corso delle vecchie istruttorie, sono stati scoperti depistaggi sistematici, coperture e connivenze con i terroristi fascisti, attività filo-golpiste, nonché una presenza costante di uomini iscritti alla loggia P2. Gli stessi vertici dei servizi segreti o alte personalità degli altri apparati sono stati più volte coinvolti – e talvolta condannati – nelle indagini sull’eversione.
Si può e si deve quindi parlare più correttamente di uso deviato dei servizi segreti e degli altri apparati dello
Stato. Le coperture per l’espatrio di Giannettini e di Pozzan, le falsità dibattimentali suggerite a Labruna, le risposte evasive provenienti dai massimi vertici dello stato, le produzioni documentali monche ed elusive fornite frequentemente alle più diverse autorità giudiziarie da parte dei servizi appartengono ormai alla consolidata conoscenza collettiva; ma molti altri episodi possono essere ricordati.
Il servizio di informazione militare ha costantemente disposto di informatori e di infiltrati nei gruppi ordinovisti
ed in Avanguardia Nazionale. La fonte “Tritone”, interna a O.N. di Padova riferì tempestivamente sul contenuto di riunioni tenute poco dopo la strage di piazza della Loggia nel corso delle quali Maggi ebbe a spiegare agli intervenuti
come l’attentato non dovesse costituire altro che il primo passo di una programmata escalation di attentati che dovevano rendere ingovernabile il paese.
L’istruttoria milanese ha poi portato alla luce – come vedremo meglio in seguito - il gravissimo episodio della
chiusura, da parte del generale Maletti, della fonte Casalini (fonte “Turco” negli atti del servizio) proprio nel momento
in cui questi stava per “scaricarsi la coscienza” riferendo quanto a lui noto sulle implicazioni di Freda e dei suoi negli
attentati della primavera del 1969 a Milano e nella strage del dicembre successivo. Oltre alla intrinseca gravità di tale
fatto, è allarmante il modo in cui l’intervento di Maletti fu reso possibile. Risulta infatti che i sottufficiali che tenevano i
contatti con Gianni Casalini ne informarono il responsabile del centro CS di Padova, colonnello Bottallo, che non investì l’ufficio D della questione anche per timore “che le notizie contenute potessero essere distorte”. Agli atti del centro CS non fu conservato alcun appunto, ma fu informata la polizia giudiziaria che procedette ad un ulteriore esame della fonte con la partecipazione di un sottufficiale (il brigadiere Fanciulli) della divisione Pastrengo di Milano, il quale riferì il contenuto del colloquio con una relazione al generale comandante la divisione, relazione che non fu mai trasmessa alla polizia giudiziaria e scomparve dagli atti della divisione, ma che fu tempestivamente seguita, secondo l’appunto trovato presso Maletti, dalla tassativa indicazione di chiudere la fonte124.
La stessa cosa era avvenuta per gli accertamenti su Gelli attivati nel 1974 e bloccati perentoriamente sempre da
Maletti, che ne viene trasversalmente informato dal capitano Tuminiello (anch’egli della P2) o dallo stesso Labruna Fino al 21 febbraio 1975 la divisione era comandata dal generale Palumbo, cui subentrò il generale Palombi che vi rimase nei primi anni della gestione attorniato dagli ufficiali che erano stati vicini al suo predecessore.
tramite Viezzer, con la minaccia della restituzione all’arma territoriale di chiunque avesse continuato a svolgere
accertamenti sul personaggio. Anche nell’episodio della fonte Casalini scatta una catena di comando di matrice
piduistica che ha una sua determinante articolazione nel gruppo di ufficiali che facevano allora capo alla divisione Pastrengo. Occorre in proposito rinviare alle circostanziate dichiarazioni rese dal generale Bozzo in più sedi giudiziarie, a Roma, Bologna, Venezia, Palermo e tenute in così scarsa considerazione dalla Corte di Assise che ha escluso la cospirazione politica per la loggia P2, e alle affermazioni fatte a suo tempo in proposito dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. L’appunto rinvenuto tra le carte di Maletti si chiude con l’indicazione di conferimento del compito di “procedere” al capitano Del Gaudio (anch’egli piduista e di sicura affidabilità per Maletti) ottenendo così la sterilizzazione di una importante fonte investigativa.
Per le sue false dichiarazioni in merito all’appunto e all’incarico avuto da Maletti il capitano Del Gaudio è già
stato condannato con rito abbreviato ad un anno di reclusione dal tribunale di Venezia all’esito dell’istruttoria nata dallo
stralcio di parte degli atti relativi alla strage di Peteano.
Ma sulle collusioni tra servizi segreti e gruppo ordinovista del Triveneto esistono altre acquisizioni documentali
e testimoniali che dimostrano una gravissima organicità tra servizi segreti e terroristi fascisti, tanto più gravi se si considera che la cellula veneta – come emerge processualmente – è responsabile della strage di piazza Fontana, di quella dell’attentato alla questura di Milano e, stando ai documenti finora resi pubblici, probabilmente anche di quella di piazza della Loggia.
Gli uomini del Sid: infiltrati dei Servizi nei gruppi della destra eversiva
E’ stato accertato presso gli archivi del Sismi - e attraverso alcune ammissioni dirette degli interessati - che il Sid
disponeva di diverse fonti interne al gruppo ordinovista o inserite negli ambienti della destra eversiva, senza considerare
coloro i quali, come Carlo Digilio e Marcello Soffiati, facevano parte del gruppo ed erano nel contempo agenti
informativi per conto degli americani, e senza considerare l’ambigua posizione di Delfo Zorzi, eversore ma
frequentatore del Viminale. Gli infiltrati del Sid erano:
A) Guido Negriolli, fonte dei Cc di Padova facenti parte del Sid. Negriolli fu tra i primi, dopo la strage di via
Fatebenefratelli, a riferire che l’”anarchico” Gianfranco Bertoli altro non era che un personaggio legato a On;
B) Gianfrancesco Belloni;
C) Dario Zagolin;
D) Gianni Casalini, fonte Turco;
E) Maurizio Tramonte, fonte Tritone;
F) Giampietro Montavoci, fonte Mambo126.
Lo stesso Gianfranco Bertoli, autore materiale della strage del 1973, è risultato informatore del Sifar con il nome
in codice Negro. Si vedrà oltre come il suo fascicolo sia stato manomesso per non far apparire che la sua collaborazione
con il servizio fosse continuata anche negli anni successivi, e che la sua permanenza in un kibbutz israeliano sia spiegabile solo con uno scambio di favori tra servizi amici.
Tutte le fonti hanno riferito notizie importantissime, a lungo nascoste all’autorità giudiziaria. Ma – circostanza
assai più grave – si è potuto accertare che gli informatori del Sid hanno svolto anche direttamente attività terroristica.
In pratica alcuni episodi della strategia della tensione sono stati direttamente provocati dai fascisti stipendiati dal
Sid. Significativo è il racconto del collaboratore Carlo Digilio a proposito dell’attentato al Gazzettino di Venezia
avvenuto il 21 febbraio 1978 nel corso del quale fu uccisa una guardia notturna, Franco Battagliarin.
All’alba di quel giorno, la guardia giurata aveva notato un ordigno deposto su un gradino dinanzi alla sede del
quotidiano, ma appena egli si era avvicinato e aveva tentato di rimuovere l’ordigno, questo era esploso uccidendolo quasi sul colpo. L’attentato era stato rivendicato telefonicamente da Ordine Nuovo e gli accertamenti tecnici avevano consentito di appurare che l’innesco dell’esplosivo (rinchiuso all’interno di una pentola a pressione al fine di aumentarne la potenzialità offensiva) era caratterizzato dalla presenza, come temporizzatore, di una sveglia di marca Ruhla, vero “marchio di fabbrica” della struttura di Ordine Nuovo sin dai tempi degli attentati ai treni dell’agosto 1969, commessi appunto, come molti altri successivi, utilizzando orologi o sveglie Ruhla.
Digilio ha raccontato i retroscena di quell’azione terroristica:
“[…] parecchio tempo dopo, durante un incontro con Giampietro Montavoci sulla riva degli Schiavoni, questi, in
un contesto di vari discorsi sulla destra, mi confessò di essere l’autore dell’attentato al Gazzettino.
Durante questo incontro, quando Montavoci fece il primo accenno all’episodio, avevo fatto in modo che si
aprisse ed egli, oltre alla sua responsabilità personale, aggiunse che l’attentato era stato una ritorsione contro il
Gazzettino che da tempo aveva fatto una campagna di stampa contro la destra”127.
Dunque Giampietro Montavoci, fonte Mambo del Sid, era stato l’autore materiale di un attentato che era costato
la vita ad una guardia notturna.
Partecipava ad azioni terroristiche e nel contempo riceveva i compensi da parte di un’istituzione dello Stato
democratico. Anche questa vicenda deve essere severamente stigmatizzata. Rappresenta un’ulteriore spiegazione del perché, così a lungo, non sono stati scoperti i responsabili delle stragi e degli attentati fascisti. Tra l’altro, come è stato ricordato in più testimonianze, Giampietro Montavoci era figlio di un poliziotto. E il gruppo di On riusciva ad essere avvisato in tempo reale di eventuali perquisizioni o controlli della Questura contro i gruppi della destra.
Gli uomini della Nato e il caso di Richard Brenneke
A questo punto è necessario un inciso per comprendere la “qualità” degli informatori dei Sid (e della struttura
militare in ambito Nato) inseriti negli ambienti ordinovisti. Non si trattava, infatti, di semplici confidenti e/o provocatori
più o meno disinvolti, ma di veri e propri agenti info-operativi, i quali agivano – con margini di autonomia – ricevendo
precise istruzioni. Agenti che si sono mossi su scala internazionale. Infatti, dal fascicolo del Sid intestato a Montavoci è
emerso che il fascista-informatore aveva stabilito alcuni contatti in Cecoslovacchia “anche a fini di addestramento”.
Una circostanza che è stata in parte confermata da Digilio, il quale ha riferito di essere a conoscenza di continui
viaggi di Montavoci nei paesi dell’Est, segnatamente la Romania e la Jugoslavia: “L’ufficio fa presente a Digilio che
Montavoci Giampietro risulta dalla documentazione acquisita essere stato informatore del Sid a partire dal 1978,
fornendo informazioni sugli ambienti di estrema destra di Venezia.
Risulta anche che egli avesse contatti in Cecoslovacchia anche a fini di addestramento.
Posso dire che non sono mai stato a conoscenza di rapporti fra il Montavoci e il Sid. Sicuramente il Montavoci
viaggiava molto nei Pesi allora denominati dell’est europeo, sicuramente in Romania e Jugoslavia e probabilmente anche in altri Paesi”.
Oltre a Montavoci, anche uno dei capi della cellula americana, Sergio Minetto, aveva organizzato una serie di
missioni all’Est europeo. Sul punto Digilio è stato molto puntuale: “Mi è venuto in mente un altro particolare proprio
relativo alle leghe metalliche e cioè che Minetto, grazie a missioni in Cecoslovacchia presso elementi croati che stavano
in quel Paese, era riuscito ad avere notizie circa le formule di trattamento delle leghe metalliche, attività tecnica in cui le
industrie cecoslovacche, in particolare quelle a Brno, erano molto avanzate”129.
Minetto, va aggiunto, era colui il quale – per conto della struttura Nato – manteneva i contatti con gli Ustascia
croati che continuavano ad agire in Jugoslavia e in Cecoslovacchia, nonché con i fuoriusciti che avevano una loro base
a Valencia, nella Spagna franchista.
Quste circostanze rappresentano una clamorosa conferma di quanto a suo tempo dichiarato dall’ex agente
americano (a contratto) Richard Brenneke, che operava avendo la sua base nel nord-est italiano, il quale intervistato dall’inviato speciale del Tg1, Ennio Remondino, nel 1990 sostenne di essere più volte andato a Praga per conto del servizio segreto americano a rifornirsi di armi ed esplosivi destinati – se così si può dire – agli arsenali del terrorismo atlantico e dei gruppi neofascisti vicini alla P2.
A suo tempo, la vicenda venne considerata poco credibili anche in virtù di una a dir poco burocratica smentita
delle autorità statunitensi circa l’appartenenza di Brenneke all’intelligence degli Usa.
E’ stato lo stesso Digilio, proprio grazie alla suo patrimonio “interno” di conoscenze, a confemare che Brenneke,
effettivamente, era un agente americano: “(…) Posso aggiungere in questa sede che il mio superiore David Carrett, di
cui ho già ampiamente parlato, mi disse, poco prima il subentro al suo posto di Teddy Richards, che uno dei soggetti
impiegati in operazioni speciali nel nord-est italiano per la loro struttura era tale Richard Brenneke, che aveva fatto servizio in particolare a Trieste e nel Friuli fino al 1974”.
Tutte queste circostanze stanno ad indicare non solo l’alto livello degli informatori dei diversi servizi segreti che
hanno operato all’interno delle strutture neo-fasciste, ma anche la loro operatività nell’est europeo, nei campi
d’addestramento e nel traffico di armi. Ciò dovrebbe indurre a maggior prudenza coloro i quali ritengono in maniera fin
troppo semplicistica, che la sola presenza di un’arma proveniente da Est stia ad indicare in maniera categorica le responsabilità degli apparati di quei paesi.
Probabilmente lo scenario è assai più complesso e sul punto bisogna aggiungere che poco o nulla si conosce
sulle eventuali connivenze e/o convergenze dei servizi segreti dei due blocchi per mantenere focolai di tensione utili al
mantenimento dello status quo nell’ambito dei due diversi schieramenti. Pur senza la pretesa di giungere a conclusioni definitive, occorre sottolineare come un approfondimento a parte meriterebbe la vicenda delle missioni ad Est, partendo proprio dall’enorme materiale fornito da Brenneke al giornalista Remondino, a suo tempo liquidato come poco rilevante sia in sede politica che dall’autorità giudiziaria.
Per quanto riguarda la cellula ordinovista veneta, altre considerazioni devono essere fatte sulla figura di Carlo
Maria Maggi – sotto processo per la strage di piazza Fontana e condannato in primo grado all’ergastolo per la strage di
via Fatebenefratelli – e su quella di Delfo Zorzi.
Il primo, Maggi, risulta dalle testimonianze molto legato a Sergio Minetto, l’ex repubblichino componente della
rete informativa attiva presso il comando Ftase di Verona.
Tra l’altro, secondo la testimonianza di Digilio, Maggi – pur non essendo organico alla struttura – era a
conoscenza del fatto che molti suoi camerati in realtà lavoravano per gli americani e, secondo una consuetudine ripetuta nel tempo, faceva conoscere in anticipo quali fossero le intenzioni del suo gruppo.
La figura di Delfo Zorzi
Delfo Zorzi, secondo numerose testimonianze, risulta legato – al pari di Stefano Delle Chiaie – all’ufficio Affari
Riservati del ministero dell’Interno.
Ecco cosa ha riferito l’ex ordinovista Martino Siciliano: “In merito alla conoscenze di Delfo Zorzi con
funzionari del Ministero dell'Interno, confermo innanzitutto quanto ho già dichiarato in data 5.8.1996 in relazione alle
notizie che appresi dallo stesso Zorzi circa il fatto che eravamo ‘coperti’ da funzionari del Ministero dell'Interno in occasione del nostro viaggio a Trieste per essere interrogati dal Giudice sull'attentato alla Scuola Slovena. Poiché l'Ufficio mi fa il nome del Viceprefetto Sampaoli Pignocchi quale contatto di Delfo Zorzi al Ministero, accertato giudizialmente anche attraverso le dichiarazioni di Federico Umberto D'Amato dinanzi alla Corte d'Assise di Venezia nel 1987, rispondo che effettivamente ricordo il nome Sampaoli come quello di un funzionario del Ministero dell'Interno in contatto con Delfo Zorzi; questo nome mi fu fatto nell'ambiente mestrino di Ordine Nuovo non dallo stesso Zorzi, bensì da Maggi, Molin e da Bobo Lagna.
In particolare quest'ultimo mi fece cenno al nome Sampaoli come una delle persone che lui e Zorzi
frequentavano a Roma allorchè anche Bobo Lagna sì era iscritto all'Università.
Nello stesso contesto Lagna mi disse che sempre a Roma frequentavano il professor Pio Filippani Ronconi,
esperto di dottrine esoteriche e orientali e di cui Delfo Zorzi mi regalò due dispense appena pubblicate sulla filosofia
induista […]”.
Di particolare rilievo è, tuttavia, la dichiarazione sui dei rapporti tra Zorzi e il Ministero dell’interno, emersi a
proposito della tranquillità con la quale Zorzi si era presentato ai giudici di Trieste che avrebbero dovuto interrogarlo
sugli attentati di Gorizia e Trieste, da lui realizzati con Martino Siciliano e Giancarlo Vianello: “Io gli chiesi perché ne
era tanto sicuro (che l’interrogatorio sarebbe stato una formalità, nda) ed egli mi rispose tranquillamente che ne aveva
avuto la conferma a Roma nell’ambiente dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno con cui era in contatto
e presso cui aveva ottime entrature”.
Come s’è visto, una prima ammissione – o forse allusione – ai rapporti tra Zorzi e un alto funzionario del
Viminale, era stata formulata dallo stesso Federico Umberto D’Amato, nel 1987, davanti alla corte d’Assise di Venezia:
“[…] Una volta ero andato nell’ufficio di Sampaoli, Vice Prefetto, capo dell’Ufficio Stampa della Direzione
Generale di Polizia, e questi mi presentò un signore che era nel suo ufficio, relativamente giovane, come amico di origine veneziane, me lo presentò come Zorzi. Poi successivamente a questo incontro mi ricordai che esisteva nella mia memoria questo nome collegato ad una qualche attività ideologica di destra e per accertarmi della sua esatta collocazione chiesi se ci fosse qualche fascicolo a nome Zorzi, e debbo aver trovato una qualche conferma di un attività che all’epoca era allo stato iniziale. Colloco l’incontro al Ministero nel settantuno o primi anni settanta. Dagli atti risultava che lo Zorzi avrebbe fatto parte di O.N […].
Preciso che Sampaoli non ha mai avuto un rapporto funzionale e di collaborazione col mio ufficio. Escludo però
che fino a quando io fui Capo del Sigsi lo Zorzi abbia potuto svolgere una qualche attività informativa in favore del mio
ufficio. Quando poi io fui interrogato dal G.I. e mi fu chiesto se mi ricordassi di un qualche tipo di rapporto che ci fosse
stato tra Zorzi ed il Ministero io gli riferii l’episodio di cui ho già detto. Poi chiesi notizie ai miei ex colleghi e appresi
che lo Zorzi era latitante ed emigrato all’estero. Date le funzioni che Sampaoli allora svolgeva (Capo Ufficio Stampa) il
suo ufficio era un “salotto culturale” frequentato da giornalisti, scrittori, intellettuali, e Sampaoli era appunto un uomo
di particolare cultura. Sampaoli e Zorzi parlavano di qualche cosa di culturale ed in quella occasione appresi, mi sembra, che Zorzi studiava a Napoli. Quindi escluderei che tra Zorzi e Sampaoli ci potesse essere un rapporto che fosse di natura diversa da quella culturale. Io ignoravo quale fosse all’epoca la attività dello Zorzi”.
Nel 1971 – al di là della sua presunta partecipazione alla strage di piazza Fontana – Zorzi aveva già realizzato gli
attentati alla Scuola slovena di Trieste e al cippo di confinte italo-jugoslavo a Gorizia.
Ma nello stesso tempo frequentava il Viminale per “scambi culturali”.
Altre testimonianze riguardano il ruolo di Zorzi quale elemento di contatto con ambienti istituzionali favorevoli
al dispiegarsi della strategia della tensione.
Una prima, generica, viene da Carlo Digilio, il quale ha riferito di alcune confidenze ricevute da Giovanni
Ventura: “Diceva (Ventura) di avere avuto dei finanziamenti per queste attività dei Servizi da Roma. Mi disse che lo
stesso ruolo di agente dei Servizi era anche di Delfo Zorzi”134.
Oltre a questo c’è la lucida testimonianza di Vincenzo Vinciguerra il quale, molto tempo prima che le nuove
istruttorie sulla strategia della tensione fossero avviate, aveva scritto cose assai significative sul punto (e su molte altre
cose) dell’ambiguo ruolo di Zorzi.
In particolare, Vinciguerra ha riferito della proposta, a lui fatta da Maggi e Zorzi, di assassinare Mariano Rumor:
“La proposta di Carlo Maria Maggi e Delfo Zorzi di liquidare Rumor con la garanzia che non avrei avuto problemi con
la scorta, oltre a rivelare una grossolana mancanza di psicologia, dimostrò l’esistenza di legami insospettati con
funzionari di polizia che dovevano trovarsi a ben alto livello per poter disporre dell’omicidio di un personaggio politico
come Rumor, assicurando la neutralizzazione o la complicità della scorta.
La conferma venne qualche anno più tardi, quando Cesare Turco, oramai arruolato a mia insaputa nelle forze di
polizia dello stato democratico e antifascista, mi rivelò che Delfo Zorzi era amico di un altissimo funzionario del
ministro degli Interni. Seduto davanti a me, con aria compiaciuta, Delfo Zorzi valutò la reazione, che fu di gelo […]”135.
Per quanto riguarda il progettato attentato contro Rumor, la testimonianza di Vinciguerra è stata considerata del
tutto attendibile nel corso del processo per la strage di via Fatebenefratelli a Milano.
Naturalmente, la credibilità complessiva di Vinciguerra non è mai stata – né avrebbe potuto esserlo –messa in
discussione da alcuna autorità giudiziaria. Le provocazioni e l’inquinamento da parte dei Servizi
Che i servizi fossero in possesso di altre fondamentali notizie, cui non dettero il legittimo sbocco processuale,
emerge anche e soprattutto dal documento Azzi136. In esso si fa riferimento alla attribuibilità al gruppo La Fenice (e a
Rognoni personalmente) dell’attentato alla Coop (individuato in quello avvenuto il primo marzo del 1973) e all’idea di
convincere Fumagalli e l’avanguardista Di Giovanni a prendervi parte, come pure si fa riferimento al progetto,
confermato da altre fonti, di far rinvenire nelle adiacenze della villa di Giangiacomo Feltrinelli nei pressi di Casale Monferrato una cassetta di esplosivo e parte dei timers residui dalla strage di Piazza Fontana per avvalorare l’attribuibilità della strage a quell'area. La cassetta fu poi rinvenuta in una località dell’appennino ligure subito dopo il fallito attentato al treno Torino-Roma dell’aprile del 1973.
A proposito di questo progetto, l’ex terrorista di destra, Edgardo Bonazzi ha aggiunto un particolare di grande
interesse e cioè che tale provocazione era stata personalmente ispirata da Pino Rauti, anch’egli coinvolto nelle prime indagini sviluppatesi a Treviso e a Milano sulla strage e quindi obiettivamente interessato ad azioni diversive che creassero difficoltà all’istruttoria in corso. In carcere, poi, Bonazzi aveva appreso a seguito delle confidenze di Nico Azzi, che Pino Rauti, capo di Ordine Nuovo, era da molto tempo in contatto con i servizi di sicurezza e di conseguenza l’attività di Ordine Nuovo era in qualche modo eterodiretta.
Dallo stesso documento sono ricavabili indicazioni sulle responsabilità per l’attentato alla scuola Italo-Slovena
dell’aprile del 1974 (ultimo degli episodi riferiti nell’appunto e l’unico verificatosi quando Azzi era già detenuto), fatto
per il quale il Sid tentò una attribuzione alla sinistra, nonostante si collocasse temporalmente in una fase di estrema tensione tra la destra locale e la comunità slovena triestina. Agli atti del servizio è stato infatti ritrovato un appunto, anche questo di pugno di Maletti, nel quale egli fa riferimento ad una “fonte diretta mia” che indica una matrice di sinistra per l’attentato e, riprendendo una nota pervenuta dal centro CS locale, incarica Genovesi di predisporre un appunto in tale senso per il direttore del servizio, consigliandone l’inoltro al Ministero dell'interno.
Altro tema di estrema importanza è quello dell’opera di inquinamento e di ostacolo svolta dai gruppi eversivi e
da settori dei servizi per pilotare politicamente gli avvenimenti di quegli anni determinando un deterioramento della situazione dell’ordine pubblico così da alimentare una reazione dell’opinione pubblica nei confronti della sinistra.
Alcuni di essi sono, allo stato, collocabili tra i depistaggi successivi agli eventi e destinati ad impedire che
venissero individuati i veri responsabili.
Altri episodi invece dimostrano una volontà di precostituzione di prove a carico della opposta fazione: la strage
di piazza Fontana costituisce, in quest’ambito, un capitolo a se’ per la straordinaria gravità dell’evento e per la
complessità delle implicazioni, ma lo stesso attentato, già richiamato, in cui rimase ferito Nico Azzi doveva essere attribuito alla sinistra e, per tale ragione, era stata ostentata la copia di "Lotta continua" nella tasca dell’impermeabile dell’attentatore. Alla sinistra doveva essere attribuito anche l’attentato al treno Brennero-Roma, attentato che doveva avvenire presso Bologna e che avrebbe dovuto determinare una situazione di panico generale destinata a sfociare in una richiesta di dichiarazione dello stato di emergenza nel corso della manifestazione della maggioranza silenziosa prevista per il 12 aprile (cinque giorni dopo) a Milano. Lo stesso disegno - cioè la creazione di una situazione di intollerabile allarme e la precostituzione di una situazione favorevole ad iniziative autoritarie - proseguirà peraltro con la campagna di attentati ai treni del 1974 che avrebbe dovuto avere inizio a Silvi Marina (29 gennaio 1974) e svilupparsi in un crescendo di atti delittuosi, alcuni dei quali programmati, altri portati a termine, che doveva tragicamente raggiungere l'acme nello attentato dell’Italicus del 4 agosto.
E' emerso che anche l’attentato avvenuto nel novembre del 1971 e che provocò il danneggiamento delle mura di
cinta dell’università Cattolica a Milano, doveva essere attribuito alla sinistra138. Il depistaggio istituzionale di Camerino
Nell’ambito di una sofisticata azione di provocazione si collocò poi l’operazione di Camerino, dettagliatamente
ricostruita sia nell’ultima istruttoria di Bologna che in quella di Milano. In quella occasione furono fatti rinvenire armi
ed esplosivi unitamente a moduli di documenti in bianco e materiale cifrato che ne consentissero l’attribuzione ad esponenti di sinistra, coinvolgendo così gruppi politici di diversa provenienza geografica e anche uno studente greco. L’operazione fu compiuta con materiale esplosivo fornito, secondo quanto affermato da Delle Chiaie, da Massimiliano Fachini, mentre i documenti ed il cifrario furono chiesti a Guelfo Osmani dall’allora tenente D’Ovidio che comandava il presidio territoriale dei carabinieri a Camerino. L’indicazione che fece scattare formalmente l’operazione di polizia giudiziaria partì dalla compagnia Trionfale dei Carabinieri di Roma ed in particolare dal capitano Servolini. Questi rese a tal proposito al giudice istruttore una deposizione che lo stesso magistrato ha severamente valutato ("si caratterizza per le contraddizioni e l’assoluta inattendibilità") mentre, secondo il racconto di Guelfo Osmani, sarebbe stato proprio l’ufficiale a consegnare a D’Ovidio, in presenza dello stesso Osmani, la canna di fucile poi ritrovata insieme all’esplosivo, alle bombolette di gas e all’altro materiale nell’arsenale. La matrice di "sinistra" del deposito fu raccolta e rilanciata con sospetta tempestività dal giornalista Guido Paglia, che aveva da non molto lasciato i vertici di A.N., e che, in un articolo pubblicato nella stessa data del rinvenimento, riferisce dati che la decrittazione del cifrario, operazione anch’essa di facciata, avrebbe reso disponibili agli inquirenti solo qualche giorno dopo. La vicenda vede pesantemente implicato il Servizio se è vero che tra le carte sequestrate al generale Maletti nel novembre del 1980 è stata trovata, in uno degli appunti relativi agli incontri con il direttore del servizio, alla data del 7 gennaio 1973, l’annotazione, accanto alla indicazione "Eversione di sin.": "Camerino (armi dx)". Ciò dimostra la consapevolezza dei vertici del servizio della operazione di provocazione che sarebbe costata l’incriminazione di alcuni esponenti dei gruppi di sinistra, prosciolti definitivamente dalla Corte di Assise di Macerata solo il 7 dicembre del 1977. Alla data dell’appunto Maletti non doveva essere soddisfatto dello sviluppo degli accertamenti giudiziari tanto che l’annotazione prosegue con una indicazione, non perfettamente comprensibile, ma dalla quale si capisce la volontà di inviare un anonimo alla Procura Generale della Repubblica di Ancona, secondo una prassi della quale le istruttorie relative alla strage di Bologna , a quella di Ustica, all’omicidio Pecorelli hanno dato non edificanti esempi.
Si noti che l’operazione non nasce da una estemporanea iniziativa della periferia, ma è nota e meticolosamente
sorvegliata dagli uffici centrali che ne controllano attentamente gli effetti pronti ad intervenire con aggiustamenti di tiro
e correzioni; l’operazione obbedisce inoltre ad un principio di economicità, ponendosi allo stesso tempo più obiettivi ugualmente utili al servizio: dal coinvolgimento di dissidenti greci alla polarizzazione dell’attenzione sulla violenza e la pericolosità dei gruppi della sinistra in concomitanza con il depistaggio operato per la strage di Peteano. Osmani afferma inoltre di aver consegnato anche un rilevante numero di moduli di patenti al capitano D'Ovidio, moduli poi rinvenuti nel deposito di Camerino. I 604 documenti consegnati al capitano D'Ovidio facevano parte di uno stock di 4.700 moduli rubati al Comune di Roma il 14 maggio 1972 e da quello stesso stock proviene il modulo del falso documento intestato a Enrico Vailati rinvenuto sulla persona di Sergio Picciafuoco a Bologna il giorno della strage.
Questo particolare impone inquietanti interrogativi sui mai chiariti rapporti di Picciafuoco con i Servizi di
informazione.