GLADIO E I NUCLEI DI DIFESA DELLO STATO

Più  recentemente,  a  seguito  della  scoperta  nel  corso  delle  ultime  inchieste  sullo  stragismo  fascista,  di  una 
struttura  segreta  organizzata  in  36  legioni,  i  Nuclei  per  la  Difesa  dello  Stato,  che  vedeva  al  suo  interno  uniti  insieme civili e militari, personaggi orbitanti nell’area eversiva e alti ufficiali,  incaricati – in caso di sovvertimenti interni e di svolte  autoritarie  –  di  neutralizzare  i  comunisti,  si  è  strumentalmente  tentato  di  operare  una  netta  distinzione  tra  un settore “buono” degli apparati clandestini paramilitari (Gladio) e uno “cattivo” (i Nsd) nel tentativo di legittimare una struttura ideata per finalità antinvasione la quale, al di là delle motivazioni formali, aveva tra i suoi principali scopi l’uso “interno” del tutto illegittimo. In realtà, si possono nutrire seri dubbi sul fatto che i Nds siano stati un’organizzazione alternativa a Gladio. Più verosimilmente si può parlare di “operazione”, come giustamente ha ipotizzato il professor Aldo Sabino Giannuli, nella sua relazione peritale al giudice istruttore di Milano, Guido Salvini58. 
 Le considerazioni di Giannuli trovano un riscontro nelle parole di Vincenzo Vinciguerra, il quale negli ultimi 
anni  ha  ricostruito  con  lucidità  e  onestà  intellettuale  il  funzionamento  delle  strutture  eversive  in  Italia  e  la  colpevole connivenza tra apparati dello Stato, strutture Nato e organizzazioni della destra eversiva e/o radicale. 
Ha  detto  Vinciguerra  a  proposito  dei  Nds:  “Non  si  può  trovare  traccia  di  una  organizzazione  che  non  esiste.  I 
Nds  sono,  a  mio  avviso,  una  operazione  e  non  una  organizzazione.  Quando  il  colonnello  Spiazzi  fece  presente 
l’esistenza  delle  cosiddette  Legioni,  diede  l’opportunità  di  realizzare  un  depistaggio  che  andava  a  coprire  la  struttura Stay Behind o, comunque, la vera organizzazione atlantica […] 
Il  problema  insormontabile  è  riconoscere  processualmente  che  agli  Stati  Uniti,  dal  1945  ad  oggi,  è  stato 
consentito di avvalersi di cittadini italiani come agenti clandestini. Vi invito ulteriormente a riflettere su quale enorme 
errore politico sia stato accreditare  i Nuclei di difesa dello  Stato come organizzazione alternativa alla Stay Behind,  in 
mancanza di conferme documentali, realizzando un parafulmine per le attività illegali dell’organizzazione Nato, tant’è 
che, come risulta giornalisticamente, gli stessi gladiatori si fanno scudo dei Nuclei di Difesa dello Stato”.  
Ma,  al  di  là  delle  altre  operazioni  che  verosimilmente  hanno  avuto  momenti  di  contatto  con  la  Gladio,  i 
documenti e le testimonianze smentiscono in maniera categorica che la sola ed esclusiva finalità della Stay Behind fosse 
l’organizzazione  delle  resistenza  dietro  le  linee  sovietiche  in  caso  di  invasione  dell’Italia  e,  in  particolar  modo,  delle regioni del nord-est. Significativa  è  la  testimonianza  di  Luigi  Tagliamonte,  strettissimo  collaboratore  del  generale  De  Lorenzo,  già capo  dell’ufficio  amministrazione  del  Sifar  e,  in  seguito,  capo  dell’ufficio  programmazione  e  bilancio  del  Comando generale dell’Arma dei carabinieri: “Sapevo  che  presso  il  Cag  (il  Centro  addestramento  guastatori  di  Capo  Marrargiu,  base  di  Gladio,  nda)  si effettuavano  dei  corsi  di  addestramento  alla  guerriglia,  al  sabotaggio,  all’uso  degli  esplosivi  al  fine  di  impiegare  le persone addestrate in caso di sovvertimenti di piazza, in caso che il Pci avesse preso il potere. Tanto sapevo io trattando pratiche di ufficio al Sifar e relative al Cag. Oggi penso, riportandomi ai miei ricordi, che la citazione della eventuale invasione del nostro Paese, a proposito della necessità della struttura ove era incardinato il Cag, era un pretesto (…) Il mio  pensiero,  testè  formulato,  deriva  dal  contenuto  dei  contatti  che  avevo  con  il  Maggiore  Accasto  e  con  il  Capo Sezione CS Aurelio Rossi  i quali, senza scendere nei dettagli, mi rappresentavano che il Cag esisteva per contrastare eventuali sovvertimenti interni e moti di piazza fatti dal Pci ”. La testimonianza di Tagliamonte ha trovato puntuale conferma in numerosissime altre deposizioni di ufficiali del servizio segreto militare, ovvero di civili che avevano fatto parte dell’organizzazione paramilitare clandestina. La più autorevole è del generale dell’Aeronautica, Antonio Podda, vice-capo del Sifar durante la gestione Henke. Ha riferito Podda che Gladio in realtà era “una struttura anti-Pci per l’interno e anti-sovietica per l’esterno [...] Il capo servizio mi disse che la struttura avrebbe dovuto funzionare anche rispetto a moti di piazza rilevanti”.  
Le testimonianze di Tagliamonte e Podda, si potrebbe obiettare, per quanto autorevoli, provengono pur sempre 
da  elementi  che  non  avevano  fatto  parte  della  struttura  e  che  hanno  raccontato  quanto  a  loro  volta  riferito,  ma  non conosciuto per esperienza diretta. Premesso  che  difficilmente  il  vice-capo  del  Sid  o  il  responsabile  dello  “strategico”  ufficio  amministrativo  del Sifar avrebbero potuto aver ricevuto informazioni anche parzialmente distorte, mentre è più verosimile che le notizie da loro  raccolte  corrispondessero  alla  realtà  dei  fatti,  magari  occultata  nei  documenti  ufficiali,  c’è  da  aggiungere  che,  a conforto delle affermazioni di Tagliamonte e Podda, esistono altre inequivocabili testimonianze provenienti da persone che hanno fatto parte della struttura e che non sono minimamente sospettabili di avere motivi di osilità verso la struttura segreta nella quale hanno militato. 
Vi sono, infatti, dichiarazioni provenienti dai gladiatori che riferiscono quale fosse "l'indottrinamento ricevuto"
circa le ragioni della  presenza di Gladio. Secondo Vittorio Andreuzzi,  simpatizzante del Movimento sociale,  arruolato 
 
Speciale (Ros) dei carabinieri,  Trasmissione di schede relative ai personaggi emersi nel corso delle indagini  e ritenuti 
inseriti in strutture di intelligence statunitensi e atlantiche, Roma, 26 giugno 1997. 
 Sentenza-Ordinanza del GI Carlo Mastelloni, p. 1362-3. Cfr. dep. Tagliamonte 8.12.90. 
 Cps. Interrogatorio di Antonio Podda al GI di Venezia, Carlo Mastelloni. nel  1959  dal  suo  amico  Mattia  Passudetti,    da  lui  indicato  come  "fascista  sfegatato"  e  risultato  iscritto  al  partito nazionale fascista, ai gladiatori "fu spiegato dagli istruttori che la nostra organizzazione, che doveva rimanere  segreta, sarebbe dovuta entrare in funzione  per  contrastare moti  di piazza comunisti. Non fu detto, se non con brevi  cenni, che  la struttura doveva servire anche per contrastare una  invasione straniera. Ricordo con certezza che più che altro si parlò, da    parte    degli  addestratori,  della  necessità    di    prepararci    a  fronteggiare  i  comunisti  italiani  e  le  loro  iniziative  sovversive". I  corsi  di  addestramento  riguardarono  "il  tiro  con  armi  leggere,    lo  studio  circa  il  confezionamento  di  ordigni    esplosivi.  Simulavamo  anche  attacchi  notturni  su  obiettivi  prestabiliti.  Non  ricordo  di  preciso  i  nomi  degli istruttori, ma mi pare che ce  ne fosse uno che si chiamava Giorgio. Quest'ultimo ci spiegava che i comunisti  italiani  avevano delle squadre di persone  pronte  ad agire contro il Governo e ci diceva che noi dovevamo  addestrarci a  far fronte ad un tale tipo di attività sovversiva dei comunisti". Va segnalato, per inciso, che il nome di Andreuzzi non compare nella lista dei 622 pur essendo stato  arruolato e pur avendo partecipato a più esercitazioni, a conferma della falsità di quell'elenco e della manipolazione dell’archivio, di cui parleremo meglio in seguito.  A  sua  volta  Giorgio  Castagnola62ha  ricordato  di  aver partecipato  ad  una  "operazione  S/B"  intorno  al  1958. Questa consisteva nel predisporre nuclei di resistenza composti da personale civile che dovevano attivarsi:  - nel  caso d'invasione di un esercito straniero nel  territorio  nazionale; - nel caso di un sovvertimento delle istituzioni o presa di potere da parte di settori non democratici. L'attivazione dei nuclei si sarebbe avuta anche nel caso che il Governo legittimo fosse stato rovesciato.              
Anche in questo caso sono evidenti le finalità interne dell’organizzazione. Ma le testimonianze provenienti dall’interno della struttura sono tutte concordi. Ad esempio, Franco  Marinoni,  anch'egli gladiatore, intorno alla primavera del '70 fu avvicinato da Ferdinando Bacchini, suo conoscente di  università, che, dopo avergli chiesto quale fosse il suo orientamento  politico,  gli  propose  di  entrare  a  far  parte  di  una organizzazione che lui "definì" di ambito Nato, con compiti di creare  una  opposizione  interna in Italia nel caso  in  cui  il Pci fosse arrivato al potere. Nessun riferimento – come si vede – ad una ipotetica invasione. E furono questi i motivi per i quali Marinoni decise di aderire. 
E ancora:  Duilio Maiola ha così spiegato i compiti dell'organizzazione Gladio di cui era entrato  a far parte: 
a) nel caso d'invasione da Est 
b) nel caso della presa del potere da parte di comunisti italiani. “Ci fu detto che l'organizzazione avrebbe dovuto 
opporsi alle ipotesi di presa del potere da parte dei comunisti italiani senza che venisse mai precisato se l'attivazione si 
sarebbe  avuta  nel  caso  di  sola  presa  violenta  del  potere  da  parte  dei  comunisti.  Il  quesito  ci  sarebbe  stato  anche nell'ipotesi  che  i  comunisti  arrivassero  al  potere  mediante  elezioni.  Ricordo  proprio  che  fu  detto  che,  se  i  comunisti avessero preso il potere, noi ci saremmo dovuti mettere in contatto con la centrale per avere disposizioni”.
Ecco poi altre forme di indottrinamento del tutto illegittime: il gladiatore Faleschini ha ricordato che  “...ad un 
corso  di  Alghero  il  signor  Sandro  ed  anche,  dopo,  il  signor  Decimo  (Decimo  Garau,  nda)  ci  dissero  più  volte  che dovevamo tenere sotto controllo i comunisti dei rispettivi paesi perché nel  caso vi fosse stato un conflitto con i Paesi dell'Est,  questi  li  avrebbero  appoggiati.  Ci  fu  detto  dai  predetti  responsabili  che  in  caso  di  conflitto  avremmo  dovuto neutralizzare  i  comunisti  del  paese  ritenuti    più    accesi  e  pericolosi  arrestandoli  e  deportandoli. Ogni  volta  che  sono stato in Sardegna il signor Sandro e il signor Decimo, dopo, hanno fatto riferimento a quanto io ho testé riferito circa il comportamento da tenere nei confronti dei comunisti italiani.  Ricordo anche che  il signor Sandro e  il signor Decimo come  anche  il  signor  Giorgio  ed  il  signor  Pino  oltre  che  Paolo  Desabata  mi  dissero  diverse  volte  che  se  i  comunisti fossero  arrivati  al  potere, anche se per via  elettorale, per noi dell'organizzazione sarebbero stati tempi duri e che in tal  caso avremmo  avuto due sole alternative: 
1) o scappare all'estero; 
2) darsi da fare in Italia per continuare una resistenza contro il regime comunista eventualmente instaurato anche 
di carattere militare. Fu detto che ci saremmo dovuti opporre, con la nostra organizzazione, ad una presa del potere dei 
comunisti  italiani.  Ricordo  che  a  questi  discorsi  fatti  dai  superiori  ad  Alghero  ed  alla  località  vicino  a  Roma erano presenti con me un tale signor Roberto credo di Udine ed un tale signor Luigi, sempre friulano, nonché il signor Bruno Zamparo”. Non basta.  C’è anche la  testimonianza di Giuseppe Tarullo, gladiatore proveniente dalla Fanteria paracadutisti, entrato al Sifar nel 1961, il quale ha riferito “(…) Fra di noi si parlava anche di finalità interna della struttura Gladio. Si diceva che la struttura e gli esterni sarebbero stati attivati anche antisovversione interna, a mo’ di supporto operativo per le forze speciali. Per sovversione interna intendevamo una mutazione di regime che esulava dalla volontà della Autorità costituita”. Infine il gladiatore Giuseppe Andreotti ha confermato che “La struttura Gladio rispondeva  ad una logica   Al  pm  Militare  di  Padova,  22  marzo  1991.  Gli  interrogatori  della  procura  militare  di  Padova  sono  riportati  nella sentenza-ordinanza del GI di Bologna, Leonardo Grassi.   Al  pm Militare di Padova, 27 marzo 1991. 
 Al pm Militare di Padova, 12 aprile 1991. 65 Cfr. Sentenza-Ordinanza del GI di Bologna, Leonardo Grassi, p. 159. 
interna, nel senso che ho già detto,  che doveva reagire all'instaurarsi in Italia di regimi    invisi  alla popolazione (…) 
cioè dittature di destra o di sinistra”. La  finalità  interna  e  anticomunista  della  struttura  è  evidente.  Ma  da  un’importantissima  testimonianza  del generale  dell’Esercito,  Manlio  Capriata,  capo  dell’ufficio  R  del  Sifar  tra  il  febbraio  e  il  giugno  del  1962,  si  può affermare  che  –  al  di  là  delle  semplici  teorizzazioni  –  Gladio  fu  realmente  utilizzata,  senza  bisogno  di  attendere l’invasione dei paesi dell’Est. 
In particolare, i “sabotatori del Cag” furono impiegati per ordine del generale De Lorenzo in missioni contro il 
terrorismo altoatesino. La testimonianza di Capriata è illuminante: “Nel Cag di Alghero si svolgevano corsi speciali di addestramento frequentati da civili in funzione di contrasto nei confronti di truppe straniere o di strutture sovversive interne ed anche provenienti dall’estero (…) Era ovvio peraltro che  la  V  sezione  di  Rossi  fosse  attivata  per  emergenze  interne  e  temporanee  e  che  gli  addestrati,  attraverso  contatti riservati, fossero attivati come fonti (…)”. 
In un successivo interrogatorio, il generale è stato ancora più chiaro: “Ribadisco  che  la  V  sezione,  quindi  la  organizzazione  S/B  e  cioè  il  Cag,  aveva  una  funzione  antisovversiva anche in caso di presa del potere da parte delle forze di sinistra. Durante la mia gestione era in atto il movimento antiitaliano degli altoatesini. Nell’aprile del 1962 fui convocato dal generale De Lorenzo, il quale mi disse che avrebbe attivato anche gli elementi dell’Alto Adige facendo riferimento ai guastatori gestiti dal Cag e residenti in Alto Adige. Mi disse che i provvedimenti in zona – già impiegati dall’ufficio D retto da Viggiani – si  erano rivelati  insufficienti  e che pertanto si doveva ricorrere  ad  elementi particolari (…) Per quanto  mi  risulta  –  e  tanto  dico  in  ordine  al  periodo  della  mia  gestione  –  fu  l’unica  volta  che  furono  attivati  in  Alto Adige  i  guastatori  addestrati  ad  Alghero  (…)  L’impiego  in  Alto  Adige  della  struttura  antinvasione,  e  quindi  dei guastatori, costituì una sorta di deviazione perché circa il terrorismo altoatesino la competenza apparteneva all’ufficio D e non all’ufficio R”.  Le testimonianze trovano conferma in diversi documenti sequestrati nell’archivio della VII Divisione del Sismi. Per comodità se ne citano solo alcuni: Nel  documento  Gladio/41  del  3  dicembre  1958,  dal  titolo:  “L’operazione  Gladio  a  due  anni  di  distanza dall’accordo del 26 novembre 1956 tra i due servizi”, era stato chiaramente scritto che tra i compiti della struttura,  in particolare l’unità di guerriglia Stella Alpina, c’erano: 
In tempo di pace: controllo e neutralizzazione delle attività comuniste […]. 
L’uso interno della struttura è stato ribadito nel documento: “Le forze speciali del Sifar e l’operazione Gladio” 
del  1/6/1959  del  Sifar,  ufficio  R  sezione  Sad,  il  quale  al  punto  III,  relativo  all’importanza  delle  predisposizioni  di 
Gladio,  afferma:  “La  prima  è  di  carattere  oggettivo  e  concerne  cioè  i  territori  e  le  popolazioni  che  dovessero 
malauguratamente  conoscere  l’occupazione  o  il  sovvertimento,  territori  e  popolazioni  che  dall’operazione  Gladio 
riceverebbero incitamento e appoggio ala resistenza”. Il sovvertimento era rappresentato dall’eventualità di una presa di potere da parte dei comunisti del Pci i quali, in quel periodo, erano una forza politica rappresentata in parlamento che partecipava alle elezioni. 
 
La natura e le finalità di Gladio 
In definitiva, sul punto, si può affermare senza tema di smentita che:  la presunta invasione da Est era solamente una – e non l’unica - delle finalità della struttura S/B, utilizzata (vedi deposizione Tagliamonte) quale paravento per mantenere in piedi un altro tipo di organizzazione. Evidenti,  al  contrario,  sono  le  finalità  interne  di  Gladio,  il  cui  scopo  (come  gli  stessi  “indottrinatori”  hanno spiegato ripetutamente ai loro “allievi”) era quello di contrastare un partito politico, il Pci, democraticamente chiamato a rappresentare le istanze di milioni di italiani attraverso le libere elezioni. 
Il segreto Nato con il quale è stata protetta Gladio è servito a proteggere anche altre operazioni illegali, tra cui i 
Nuclei di Difesa dello Stato, con il fine ultimo di combattere le forze di sinistra  italiane. Proprio il gen. Serravalle ha 
così  riferito  al  giudice  Grassi  nell’ambito  dell’istruttoria  sull’Italicus  bis:  “Mi  domando  se  la  struttura  abbia  avuto 
qualche rapporto con il c.d. piano Solo o comunque con attività eversive. Non vorrei che Gladio avesse rappresentato 
una specie di coperchio per qualcosa di ben diverso. Che cioè ci fosse una struttura presentabile, appunto la Gladio, ed 
un’altra, al di sotto, impresentabile con finalità non lecite”. Tutto  ciò  fa  ritenere  che  la  natura  di  Gladio  era  del  tutto  illegale.  Un’ulteriore  prova  è  rappresentata  dalla “dichiarazione  di  impegno”  sottoscritta  su  un  documento  “segretissimo”  a  seguito  del  quale  la  persona  “arruolata” riceveva il mandato di assolvere “compiti militari speciali nell'ambito dell'organizzazione […] militare speciale, dipen-dente dallo Stato Maggiore della Difesa collegata  sul piano Nato a quella di altri Paesi e si prefigge lo scopo di assi-curare alle Autorità nazionali il controllo ed il collegamento con quei territori e quelle popolazioni che dovessero […] subire  l'occupazione da parte di potenze o eserciti  stranieri  [...]  Nello  stesso  momento dichiaro di  essere  consapevole della  assoluta    necessità  di  rispettare  e  far  rispettare  le  norme  della  più  stretta  sicurezza,  in  omaggio  al  dovere  della tutela  del  segreto  militare  [...]  L'organizzazione  militare  speciale,  da  parte  sua,  porrà    in  atto  il  più  rigido  sistema  di sicurezza per la difesa del segreto e per la tutela delle persone organizzate...”. 
Sappiamo, al contrario, dalle numerose ed inequivoche testimonianze, che i gladiatori venivano reclutati da una 
struttura segreta dei nostri Servizi Segreti ed adibiti solo eventualmente a compiti di difesa in caso di invasione, poiché 
venivano addestrati ed indottrinati per impedire che una forza  politica nazionale potesse democraticamente accedere a 
compiti di governo.  Gli stessi civili venivano reclutati tra elementi di destra, affinché intorno alle forze armate crescessero strutture clandestine che tutelassero la conservazione del potere. Per fare questo era necessario disporre di strutture come Gladio di altre formazioni  paramilitari, eversive e terroristiche che erano state attivate parallelamente a Gladio. Tutte queste forze si rifacevano ad  esponenti dei nostri  Servizi Segreti, delle nostre Forze Armate, della Cia o 
degli altri apparati informativi statunitensi e della P2. Il fine ultimo era quello di delegittimare una forza politica che aveva piena cittadinanza costituzionale ad opera di altre forze che avevano fatto  in modo che  l’opposizione  di sinistra  in Italia venisse ritenuta una forza straniera nel nostro  territorio  ed  anzi  ostile  ad  esso.  In  pratica  considerare  –  contro  ogni  verità  storica  e  ogni  valutazione  politica minimamente corretta – il Pci quale diretta emanazione di Mosca e pronto a guidare una insurrezione popolare. Per  inseguire questa visione sono state formate strutture segrete con  il contributo decisivo di forze neofasciste che la nostra Costituzione poneva fuorilegge. Corretta  e  condivisibile  sembra  l’affermazione  del  giudice  istruttore  di  Bologna,  dott.  Leonardo  Grassi:  “La Gladio, con quell'impegno di fedeltà rivolto esclusivamente allo Stato Maggiore della Difesa, con quel patto omertoso che si sottoscriveva, confliggeva apertamente con l'art. 52 e 87 della Carta costituzionale”.  Non va dimenticato, inoltre, che  le conoscenze sulle reali attività di S/B e sul numero dei suoi  aderenti, hanno incontrato  un  arduo  ostacolo  nei  continui  tentativi  di  depistaggio  e  di  sottrazione  di  documenti  realizzati  da  coloro  i quali volevano nascondere gli aspetti più inconfessabili della struttura. Come  si  è  visto,  documenti  e  testimonianze  smentiscono  in  maniera  inconfutabile  la  teoria  dell’unica  finalità anti-invasione. E’  inoltre  documentalmente  (e  giudiziariamente)  provato  che  i  vertici  del  Sismi  hanno  mentito  sul  numero effettivo dei gladiatori (622 in totale dalla fondazione allo scioglimento dell’organizzazione) e hanno tentato di sottrarre documenti o manipolato i fascicoli esistenti. 
In particolare, l’A.G. di Roma ha riscontrato la distruzione di documentazione che, per la sua natura, non poteva 
essere  eliminata,  né  sottratta  ad  eventuali  successivi  controlli:  tra  tutti  è  sufficiente  qui  ricordare  la  soppressione  dei registri ove veniva annotata la distruzione di altri documenti.  Di grande interesse sono inoltre una serie di rilievi, messi in luce dall’AG di Bologna, la quale ha indagato con particolare cura su tutte le apparenti incongruenze di S/B. 
E’ stato evidenziato che: 
1) Il registro degli aderenti alla S/B è rubricato secondo criteri alfabetici accompagnati, solo accessoriamente, da 
quello numerico delle sigle, in parte incompleto. Ne consegue la necessità logica che esista altro registro ordinato con il 
criterio numerico al fine di consentire la assegnazione della sigla che consegue a quella attribuita da ultimo; 
2) Circa novanta nominativi risultano reclutati prima ancora che venissero richieste informazioni sul loro conto, 
alcuni anche  di vari anni; 
3) Un  nominativo,  quello  di  Maria  Elena Fassi,  pur  inserito  nell'elenco  dei  240  esclusi  dalla  struttura  Gladio, 
risulta  invece  anche  nell'elenco  “segnalati  da  Stelvio,  Sergio  M.”  come  persona    “aderita  da  addestrare”.  Inoltre 
nell'elenco dei “segnalati”, composto da 42 nominativi, 31 fanno parte  dei  240 “esclusi”,  5 dei 622 ammessi, mentre i 
restanti 6 dei 1029  “non inclusi”; 
4)  Nell'elenco  dei  622  “ufficiali”  figurano  94  nominativi  con  esito  informazioni  “N”  (negativo)  e  “PN” 
(parzialmente  negativo). Per  due  di  essi  risulta  “cessato  rapporto”;  14  nominativi  hanno  l'annotazione  “non  aderito”, “non avvicinato”, “eliminato”, “dimissioni”; 216 nominativi sono poi privi di data di reclutamento. 
Al  contrario,  dei  236  nominativi  esclusi,  ben  204  risultano  con  esito  informazioni  “P”  (positivo).  Infine 
nell'elenco  dei  1029  “non  inclusi”  figurano  invece  18  nominativi  con  data  di  reclutamento  (anche  se  10  di  essi  sono annotati con “non aderito”); 
5) Sono allo stato incomprensibili i tre codici particolari alfanumerici (uno dei 622 e uno dei 1029) rilevati nella 
casella “data di reclutamento” di altrettanti nominativi, così come il codice “acqua” attribuito a 25 nominativi (7 dei 24 
e 18 dei 1029), secondo un ordine progressivo di sigla; 
6) In un documento senza data classificato “segretissimo” ad oggetto “operazione Gladio”, nel quale si tracciano 
le date  fondamentali  della  nascita  e  dello  sviluppo  di  tale  operazione, il  Servizio  fornisce  alcuni  dati  relativi  alle 
consistenze  organiche  previste  e  già  reclutate  che  dovrebbero  riferirsi  ad  epoca    non  anteriore  al  1989,  ultima  data menzionata  nel  documento,  nel  quale  si  legge:  “per  la  condotta  delle  operazioni  clandestine  si  prevede  di  impiegare circa  1000  elementi  esterni  di  cui  300  già  reclutati  ed  addestrati,  avendo  limitato  l'addestramento  al  sabo-taggio/controsabotaggio  ed  alla guerriglia ad  appartenenti al Servizio particolarmente selezionati”. 
Tali cifre sono però contraddette da altro documento ufficiale del Sifar Ufficio "R" Sezione  Sad-Smd datato 1 
giugno 1959 e denominato "Le forze speciali del Sifar e l'operazione Gladio", nel quale vengono indicati, come forze 
previste,  "1672  elementi  più  1500  mobilitabili",  suddivisi  in  40  nuclei  ("I"  informazione,  "S"    sabotaggio,  "P" 
propaganda, "E" evasione e fuga, "G" guerriglia) e di 5 unità di guerriglia di pronto impiego - acronimo U.P.I. ("SA" 
Stella Alpina, "S.M." Stella Marina, "RO" rododendro, "AZ"  Azalea, "GN" Ginestra);  
7) Agli atti sono stati poi rilevati riferimenti a due ulteriori U.P.I., evidentemente create successivamente e in un 
contesto  di  ampliamento  della  struttura,  quali  la  "GA"-  Garofano  (tra  l'altro  dislocata  a  Bologna)  e  la  "PR" 
presumibilmente Primula, a cui non può che essere derivato un accrescimento del personale. 
La stessa cifra degli elementi base, cioè provenienti dalla struttura Osoppo inglobati nella Gladio, contraddice i 
numeri  ufficiali:  infatti  l'unità  di  guerriglia  di  pronto  impiego  operante  nel  Friuli  e  denominata  Stella  Alpina  si 
riallaccia, come da documenti ufficiali "alla preesistente organizzazione Osoppo, della consistenza attuale di circa 600 
uomini e tendente a mille  unità di pronto impiego più altre mille mobilitabili (…)"; 
8)  Circa  "l'assorbimento"  da  parte  della  1^  Sezione  dell'Ufficio  "R"  della  organizzazione  Stella  Alpina,  ex 
Osoppo, vedi nota Sifar del 28.11.1957 (direttive per l'attività della Sezione  e del  Cag). Anche dalla documentazione 
inoltrata  dalla  Procura  Militare  di  Padova  si  ha  conferma  di  tale  contraddizione.  Il  documento  del  Sifar  Ufficio  "R" Sezione  S.A.D.  del  27.2.1961  afferma  che  "  (…)  Le  forze  di  emergenza  organizzate  dal  Sifar  (parte  in  atto  e  parte mobilitabili) assommano a 3275 unità, con le relative dotazioni speciali, armi, munizioni [...]"; 
9) La  cifra  dei  300  elementi  già  reclutati  almeno  al  1989, viene  altresì  contraddetta  da  un  altro  documento 
ufficiale,  il  registro  aderenti  Gladio,  tramite  il  quale  si  sono  potute  rilevare  le  date  di  reclutamento  che,  al  1989, 
indicano come reclutati non meno di 405 elementi, cui vanno aggiunte altre 216 unità  che  in  tale elenco non hanno la 
data di reclutamento. 
 
Gladio e la Commissione Stragi 
In definitiva la Stay Behind, pur essendo stata messa  in piedi per scopi in parte comprensibili, nell’ottica della 
contrapposizione  politica  e  militare  Est-Ovest  negli  anni  della  “guerra  fredda”,  si  è  ben  presto  –  o  contestualmente  – trasformata in una struttura anticomunista con fini interni, utilizzata come copertura di altre iniziative inconfessabili del servizio segreto (piano Solo, squadre di provocatori di Rocca, vedi i diari del generale dei carabinieri, Giorgio Manes) e mantenuta attiva anche in un periodo storico nel corso del quale anche il più acceso degli anticomunisti italiani avrebbe potuto comprendere che nel nostro paese non esisteva alcun pericolo di insurrezione armata comunista. La  struttura  Gladio  era  perciò  del  tutto  illegittima  e  il  suo  mantenimento  per  tanti  anni  è  risultato  in  netto contrasto  con  il  dettato  Costituzionale.  Gli  stessi  ideali  patriottici  sbandierati  come  giustificazione  morale,  vanno fortemente  ridimensionati,  apparendo  chiaro  che  il  sistematico  saccheggio  dell’archivio  impedisce  di  prendere  per buone le affermazioni date dai dirigenti del Sismi del tempo. 
Oltre  a  questa  valutazione,  va  ribadito  il  giudizio  fortemente  critico  a  suo  tempo  espresso  dalla  Commissione 
presieduta  dal  compianto  senatore  Libero  Gualtieri.  Così  si  esprimeva  la  relazione  conclusiva  sugli  avvenimenti  di Gladio, redatta dalla Commissione: “Lasciando per un momento impregiudicata la questione della ‘legittimità iniziale’ 
di Gladio, è certo che, con il trascorrere degli anni e il mutare delle situazioni, Gladio si è caricata di una ‘illegittimità 
progressiva’. Tre sono i momenti nei quali tale illegittimità emerge. Il primo è quello della ‘capacità’ del Sifar di farsi oggetto di accordi internazionali al posto del Governo e del Parlamento. E’ indubbio che il Sifar non aveva alcun titolo per questo, da chiunque e in qualsiasi modo autorizzato. […] Un servizio segreto non può impegnare il Governo né può impegnarsi per il Governo. […] Il secondo problema riguarda invece la presunta appartenenza di Gladio alla Nato. […] Se si accetta questo, e  cioè  che  la  partecipazione  a  pieno  titolo  agli  organismi  Nato  costituisce  la  legittimazione  ‘istituzionale’  di  Gladio, allora  la  data  di  inizio  non  dovrebbe  essere  più  quella  del  28  novembre  1956  (accordo  Sifar-Cia),  ma  quella  del  19 maggio  1959  quando  l’Italia  (Sifar)  fu  ammessa  nel  Coordination  and  Planning  Committee  (CPC)  istituito  dal comandante  in  capo  delle  forze  Alleate  in  Europa  (SACEUR),  generale  Dwight  Eisenhower.  In  questo  caso,  che ‘legittimazione’ aveva Gladio negli anni precedenti il 1959? 
[…] Il terzo momento in cui appare con evidenza, e si viene aggravando, l’illegittimità di Gladio è quando nel 
1977, per la prima volta con una legge dello Stato, furono riformati i nostri servizi segreti. […] il Sisde impegnato nella 
tutela  della  sicurezza  democratica  all’interno,  il  Sismi  in  quello  della  sicurezza  esterna.  A  quale  servizio  andava 
‘appoggiata’ Gladio? 
Il problema – prosegue la Commissione – non sfiorò in alcun modo i responsabili politici. 
[…] Ancora più grave la violazione commessa nei confronti del Comitato parlamentare [di controllo sui servizi]. 
[…]  Gladio  doveva  rimanere  nella  sua  ‘invisibilità’.  E  al  Comitato  non  ne  fu  data  alcuna  notizia,  sia  pure 
approssimativa e generale. 
C’è  di  più.  Quando  nel  comitato  parlamentare  furono  rivolte  precise  domande  sulla  esistenza  nel  Sismi  di 
strutture riservate, si disse che non ne esistevano nel modo più assoluto. 
[…]  La  decisione  assunta  dall’ammiraglio  Martini  nel  1984  di  far  sottoscrivere  il  documento  di  ‘presa 
conoscenza’ ai Presidenti del Consiglio e ai Ministri della difesa, non solo non sanò l’illegittimità in atto, ma la aggravò 
ancora  di  più,  perché  il  consenso  così  ottenuto  aveva  il  solo  scopo  di  alleggerire  la  responsabilità  di  chi  chiedeva  la firma e di lasciare nei guai chi la concedeva”. 
Con efficacia, la Commissione presieduta dal sen. Gualtieri assume questa definizione, mutuata da una sentenza 
della Corte Costituzionale, pur relativa ad altre vicende: “atti gravati da ipoteche di illegittimità costituzionali vengono 
‘tollerati’  al  loro  primo  apparire,  ma  nella  loro  ripetizione,  confermando  e  ribadendo  la  violazione  delle  norme 
costituzionale, vengono a non poter più essere tollerati e ad essere colpiti da innegabile illegittimità costituzionale”74. 
 
I Nuclei di Difesa dello Stato 
Nel corso delle indagini sugli attentati fascisti degli anni Sessanta e Settanta, nonché delle istruttorie per la strage 
di  Brescia  e  quella  cd.  Italicus  bis,  da  alcune  testimonianze  –  prima  di  tutte  quella  del  colonnello  Amos  Spiazzi, 
recentemente  condannato  in  primo  grado  all’ergastolo  per  la  strage  di  via  Fatebenefratelli  –  è  emersa,  come  già 
accennato, l’esistenza di un’altra organizzazione paramilitare clandestina. 
L’esistenza  di  questa  struttura,  chiamata  Nuclei  di  Difesa  dello  Stato  o  Legioni,  è  evidenziata  solo  attraverso 
diverse testimonianze, mentre non risulta una chiara documentazione che ne dimostri l’esistenza. 
Ciò vuol dire  che non si  è  trattato di un’organizzazione, ma di un’operazione  militare, ideata per potenziare  il 
dispositivo  anticomunista  nella  fase  più  acuta  dello  scontro  che  va  dal  1964  (piano  Solo)  al  1974  (stragi  fasciste 
propedeutiche ad un colpo di Stato o ad una svolta autoritaria). 
Con  i  Nds,  come  detto,  si  è  in  una  prima  fase  cercato  un  “alibi”  per  Gladio,  inserendo  strumentalmente  una 
differenziazione  tra  struttura  “buona”  e  struttura  “cattiva”.  In  realtà  Gladio  e  Nds,  su  piani  diversi,  rientravano  negli schemi  della  Guerra  rivoluzionaria  e  seguivano  i  precetti  della  “Guerra  non  ortodossa”.  Si  trattava  di  iniziative illegittime e illegali, possibili solo attraverso la protezione di apparati militari dello Stato e strutture della Nato. 
 
Ma veniamo alla testimonianza di Amos Spiazzi (già arrestato nel corso dell’istruttoria sulla Rosa dei Venti) il 
quale, in più occasioni, ha però tentato di minimizzare il ruolo dell’organizzazione e/o operazione: 
Secondo Spiazzi a partire dal 1966/1967 e sino al 1973, contestualmente all'acuirsi dei conflitti a livello europeo, 
si affiancò a GLADIO una seconda struttura denominata Nuclei di Difesa dello Stato, anch'essa addestrata al Piano di 
Sopravvivenza  e  i  cui  componenti  erano  suddivisi  secondo  funzioni  specifiche  analoghe  a  quelle  di  Gladio.  Anche questa struttura contava ragionevolmente un considerevole numero di aderenti, forse intorno ai 1500, dal momento che l’ordinovista  veronese  Giampaolo  Stimamiglio,  il  quale  era  membro  di  uno  dei  gruppi,  ha  fatto  riferimento  a  36 "Legioni" territoriali e la sola Legione di Verona era formata da 50 elementi; 
- Gladio e Nds erano integrati nel dispositivo di sicurezza della Nato, tanto che alcuni dei suoi componenti erano 
stati inviati in Germania Federale per un seminario di aggiornamento; 
 
L'Organizzazione di Sicurezza o Nuclei di Difesa dello Stato non era, tuttavia, l'unico livello di intervento, ma 
esisteva  un  livello  "inferiore"  destinato  alla  promozione  e  alla  propaganda  delle  idee-base  di  tale  realtà,  denominata Organizzazione di Supporto e di Propaganda. Ha raccontato Spiazzi in un memoriale consegnato all’autorità giudiziaria: “Con l'aumentare della propaganda marxista extraparlamentare e dopo la dura contestazione al sistema avvenuta nel 1968 (…) l'attacco contro le Forze Armate divenne capillare e insieme plateale (…). 
In seguito a tali attacchi, l'intera struttura militare venne messa in discussione. 
I soldati furono disarmati, le sentinelle tolte dalle garritte, l'uniforme, da abito sacro, ridotta a tuta da lavoro (…) 
Nelle  riunioni  Sios  degli  ufficiali  "I"  fu  sollecitata  una  collaborazione  sempre  più  stretta  con  le  associazioni 
d'Arma,  con  associazioni  politiche  esistenti  quali  gli  Amici  delle  Forze  Armate,  l'Istituto  Pollio,  il  Combattentismo 
attivo ecc., per unificare le forze in una attiva opera di difesa, di sostegno e di propaganda in favore delle Forze Armate 
e dei valori da esse rappresentate. 
Forse  uno  degli  elementi  aggreganti  più  valido    per  attuare  tale  organizzazione  fu,  proprio  a  Verona,  il 
Movimento Nazionale di Opinione Pubblica, retto dal generale Nardella, con disponibile un giornale a discreta tiratura e 
una notevole capacità aggregante. Divenuto il braccio destro del generale Nardella, collaborai con i miei scritti al giornale "L'Opinione Pubblica", organizzai o partecipai  a conferenze  e dibattiti, tentai  aggregazioni, unitamente al generale,  contattando Adamo Degli Occhi della Maggioranza Silenziosa di Milano, il giornalista Sangiorgi, direttore di "Primalinea" [confidente dell’ufficio Affari riservati del Viminale con il nome in codice Drago], associazioni combattentistiche e d'Arma, il Fronte Nazionale del principe Borghese, mentre il generale Nardella non volle la collaborazione del Centro Studi Ordine Nuovo, benché io conoscessi personalmente molto bene Besutti e Massagrande. 
Lo scopo della Organizzazione di Supporto e di Propaganda era quello di creare nel Paese una capillare rete di 
appoggio e di sostegno morale alle Forze Armate e di riaffermazione di quei valori patriottici di cui ogni  Esercito,  in 
ogni Regime, è il depositario (…). 
Ogni mia attività esercitata fuori servizio in seno a tale organizzazione era nota ai superiori Uffici "I" e al Centro 
C.S. di Verona al quale inviavo il giornale L'Opinione Pubblica”75. 
Di  tale  Organizzazione  di  Supporto  e  di  Propaganda  facevano  parte,  oltre  allo  stesso  Spiazzi,  l’ordinovista 
Giampaolo  Stimamiglio,  nella  sua  veste  di  "teorico"  organizzatore  di  conferenze  e  seminari,  e  Roberto  Cavallaro,  il finto  magistrato  militare  che  aveva  la  funzione  di  raccordo  fra  gruppi  di  varie  regioni  d'Italia  e  di  procacciatore  di finanziamenti, diventato poi il principale teste d’accusa nel processo sulla Rosa dei Venti. 
Infatti, non  a caso, l'area  investita da  tali iniziative coincide in buona parte con quella  coinvolta nelle indagini 
sulla Rosa dei Venti (dal generale Nardella fuggiasco dopo il mandato di cattura emesso dal G.I. Tamburino e nascosto 
in  un  appartamento  del  capo  del  Mar,  Carlo  Fumagalli  al  Fronte  Nazionale  del  principe  Borghese)  o  comunque  con l'area  contigua ai gruppi oggetto di tale indagine (la "Maggioranza silenziosa" dell'avvocato Adamo Degli Occhi, alle 
cui  manifestazioni  partecipavano  iscritti  al  Msi,  quali  Ignazio  La  Russa  e  persone  che  erano  parte  integrante  di 
organizzazioni eversive, quali Giancarlo Rognoni e Nico Azzi). 
Francesco  Baia,  già  alle  dipendenze  del  colonnello  Spiazzi  durante  il  servizio  militare,  ha  ammesso76  di  aver 
fatto parte dal 1971, anche dopo la fine del servizio militare, di una cellula della  Legione di Verona - di cui era  capo 
cellula Ezio Zampini - e di essere stato messo al corrente del Piano di Sopravvivenza. Ha ricordato di aver partecipato, 
nella cantina dell'abitazione del colonnello Spiazzi con i cinque componenti della sua cellula, ad una lezione tenuta da 
un sergente dei paracadutisti sull'uso di trappole esplosive e sul loro disinnesco, lezione comunque finalizzata, secondo 
la  sua  versione,  solo  ad  apprendere  tecniche  difensive.  Ha  poi  aggiunto  che  la  struttura  delle  Legioni  era  seria  ed estremamente compartimentata, tanto da avergli consentito di conoscere solo l'identità dei componenti della sua cellula, e  che  l'organizzazione  era  probabilmente  inquadrata  in  un  ambito  Nato,  elementi  che  confermano  quindi  il  quadro complessivo dei Nuclei  delineato con maggiore ampiezza dagli altri testimoni. 
Dei  Nuclei  ha  parlato  anche  Enzo  Ferro:  l'organizzazione  doveva  istruire  civili  e  militari  ad  un  "piano  di 
sopravvivenza"  dai  contorni  e  dalle  finalità  assai  equivoche  vista  anche  la  presenza  di  elementi  ordinovisti.  Le 
dichiarazioni  di  Ferro  sono  state  giudicate  dalla  magistratura  molto  attendibili  in  quanto  corroborate,  nelle  loro  linee essenziali,  prima  dal  veronese  Roberto  Cavallaro  e  poi,  con  qualche  reticenza,  dall'ordinovista  veronese  Giampaolo Stimamiglio. 
Ha  raccontato  Ferro  di  una  riunione  di  poco  precedente  all’8  dicembre  1970,  quando  il  gruppo  di  Spiazzi  (o, 
meglio, il Nds di Verona) era pronto ad intervenire se il golpe Borghese fosse entrato nella fase operativa: 
“[…]  Posso  aggiungere che c'erano tre  civili  che si occupavano di  trasmissioni, che era  considerato un settore 
importante, e ci si lamentava della carenza di militari in quel settore. 
Si diceva che bisognava guardarsi dalla Polizia, ma soprattutto dalla Guardia di Finanza perché era fedele  alle 
Istituzioni, mentre tutti i Carabinieri erano stati contattati in modo capillare. Questi discorsi venivano fatti mentre a noi 
presenti si spiegava anche se in modo teorico l'uso dei vari esplosivi. Ricordo, ad esempio, che ci venne spiegato che il 
fulmicotone  doveva  stare  sempre  in  soluzione  per  non  esplodere.  A  questa  riunione  c'era  anche  Baia  Francesco,  che aveva una villa fuori Verona; ricordo che una volta recuperò un Mab, penso un residuato di guerra, al quale mancava l'otturatore  e  glielo  fece  mettere  dall'officina  di  Spiazzi.  Giravano  nel  gruppo  casse  di  cartucce  non  residuati  di esercitazioni militari, ma proprio casse di cartucce calibro 9 parabellum nuove, di dotazione Nato. 
Venivano da Vicenza dove c'era la base dalla Nato. Posso meglio  spiegare  la mobilitazione che ci doveva essere quella notte di sabato, poche  settimane prima del mio congedo, nel Natale del 1970. Il Maggiore ci disse di tenerci pronti in camerata, con gli abiti borghesi, e che poi avremmo dovuto essere portati nella  zona  di  Porta  Bra  a  Verona,  nella  sede  dell'Associazione  Mutilati  e  Invalidi  di  guerra,  dove  si  stampava  il giornaletto del Movimento di opinione pubblica. Io ero molto agitato e preoccupato; Baia era con me ed era eccitato per quanto stava per acccadere. Ci fu detto chiaramente che dovevamo intervenire e che non potevamo tirarci indietro e che, giunti al punto di raccolta, saremmo stati armati e portati nella zona dove dovevamo operare come supporto al colpo di stato. 
Tutte le cellule di civili e militari avrebbero dovuto intervenire. Tuttavia nella notte vi fu il contrordine, era verso 
l'una  e  trenta  e  ce  lo  comunicò  direttamente  il  maggiore  Spiazzi,  dicendoci  che  il  contrordine  veniva  direttamente  da Milano. Non ne ho mai saputo il motivo, anche se all'epoca, se glielo avessi chiesto, forse lo avrei saputo.  A Trento c'era una cellula parallela a quella di Verona di civili e militari che preferisco non indicare e la cui 
attività è proseguita dopo il 1970. Continuavano a cercare di coinvolgermi anche se io avevo già rifiutato la proposta di 
Spiazzi di essere reclutato con una paga governativa di 300.000 al mese per continuare a far parte di una organizzazione 
che era un settore del Sid che operava al di fuori delle regole. Io avevo rifiutato, ma almeno fino alla fine del 1973 fu 
assai difficile sganciarmi del tutto e vivevo in una grande preoccupazione perché in una città piccola come Trento si è 
sempre sotto controllo. Io venivo contattato da persone che non intendo nominare, alcune delle quali, ma non tutte, sono quelle nominate nei vari processi svoltisi per le bombe di Trento. 
Però c'erano anche dei personaggi più grossi dei quali non mi è proprio possibile fare i nomi, comunque sempre 
personaggi di Trento”. 
 
I legami tra NDS e la destra eversiva. Il gruppo Sigfried 
 
Sui  Nuclei  di  Difesa  dello  Stato  ha  ampiamente  riferito  anche  Carlo  Digilio,  principale  testimone  nel  nuovo 
processo  sulla  strage  di  piazza  Fontana  e  in  quello  sui  complici  di  Gianfranco  Bertoli  in  occasione  dell’attentato  alla 
questura di Milano. 
Dalle dichiarazioni di Digilio risultano gli stretti legami tra Nds e i settori ordinovisti, a cominciare dall’ispettore 
per il Triveneto, Carlo Maria Maggi. Ha raccontato Carlo Digilio: “In relazione ai Nuclei di difesa dello Stato, in merito ai quali ho già ampiamente riferito, mi è venuto in mente un altro episodio che riguarda il dr. Maggi. 
Un giorno, verso la metà degli anni '70, io e Montavoci [elemento di Ordine Nuovo, nda] ci trovavamo a casa di 
Maggi e ad un certo punto rimanemmo soli nel suo studio in quanto Maggi era andato in un'altra stanza da sua moglie. 
Ci  mettemmo  a  guardare  alcuni  volumi  di  Julius  Evola  che  Maggi  teneva  nella  libreria  e  che  eravamo  soliti 
scambiarci quando c'era qualche nuovo volume o nuova edizione. Mentre  guardavamo  questi  libri,  da  uno  di  essi  uscirono  alcuni  fogli  su  uno  dei  quali  era  raffigurata,  in  modo molto semplice, una carta d'Italia con l'indicazione dei capoluoghi di Regione. Vicino  a  molti  di  questi  vi  era  una  crocetta  blu  e  in  calce  al  foglio  c'era  l'indicazione  "Nuclei  di  Difesa  dello Stato". 
Le crocette erano soprattutto segnate accanto ai capoluoghi del Nord-Est ed indicavano la sede di una Legione 
come spiegato in calce al foglio. Ad esempio, vicino alla crocetta apposta a fianco di Verona c'era anche l'indicazione a 
numero romano "V" che stava certamente ad indicare la "quinta" Legione. Rimettemmo a posto il libro prima che Maggi tornasse facendo attenzione che egli non notasse nulla. Montavoci    non  aveva  capito  molto  di  tale  organigramma,  ma  io  avevo  invece  compreso  subito  che  esso riguardava la struttura di cui ho parlato e in cui anche Maggi era inserito”. Digilio,  naturalmente,  era  molto  informato  sui  Nds,  in  quanto  agente  della  struttura  informativa  Usa  attivata presso le basi Nato e componente della cellula veneta di Ordine Nuovo. Proprio  durante  uno  dei  suoi  incontri  nel  Comando  della  base  Ftase  di  Verona  presenti  il  capitano  Richards, Soffiati, Minetto e Bandoli (questi ultimi agenti della rete spionistica americana) Digilio aveva avuto modo di discutere di  Fort  Foin,  nei  pressi  di  Bardonecchia,  dove  nell’agosto  del  1970  si  era  svolto  un  campo  di  addestramento con  la 
presenza di 40 capigruppo che dovevano preparare i nuclei piemontesi destinati ad entrare in azione pochi mesi dopo, al momento del golpe Borghese. 
 
Alcuni dei partecipanti provenivano dal gruppo Sigfried (del quale parleremo meglio in seguito) e dai Nuclei di 
difesa  dello  Stato e  per  contribuire  a  tale  esercitazione,  molto  importante  per  lo  sviluppo  del  piano  strategico,  il 
professor Lino Franco (componente del gruppo Sigfried nonché superiore di Digilio nella rete informativa statunitense) 
e Soffiati si erano preoccupati di inviare uno o due mitragliatori e relative munizioni provenienti dai depositi di Pian del 
Cansiglio.I  documenti  trovati  dal  giudice  istruttore  di  Milano,  Guido  Salvini,  nel  corso  della  sua  istruttoria  hanno 
pienamente confermato, anche in questo caso, il racconto del collaboratore. Infatti il campo, denominato Sigfrido, si era tenuto effettivamente a Fort Foin, per diversi giorni nell’estate del 1970, nei pressi di una ex-fortezza militare in alta montagna, con l’addestramento all’uso di armi individuali e di reparto e all’uso di trasmittenti e con una forte presenza numerica, anche di militanti di Ordine Nuovo, che era stata notata e che aveva  destato  allarme  negli  abitanti  e  nei  turisti  della  zona,  senza  tuttavia,  a  quanto  pare,  che  le  forze  dell’ordine 
effettuassero alcun serio intervento.  Secondo i documenti del Sismi, uno degli organizzatori del campo sarebbe stato Giuseppe Dionigi, l’ordinovista torinese  presso  il  quale  si  erano  rifugiati,  all’inizio  degli  anni  ‘70,  i  triestini  Neami,  Bressan  e  Ferraro  in  quanto temevano di essere ricercati in relazione alla prima indagine che era stata aperta per l’attentato alla Scuola Slovena di Trieste. 
In  definitiva  si  può  dire  che  i  Nds  –  operazione  parallela  e  non  alternativa  a  Gladio  –  ebbero  un  ruolo  nei 
tentativi golpisti i quali, almeno in una certa fase, godevano dell’appoggio della struttura americana, propensa a fornire 
il suo supporto, lamentando solo la scarsa sincerità degli esponenti golpisti disponibili a sottostimare le loro forze pur di 
ricevere ulteriori aiuti. E infatti  Carlo Digilio fu mandato a Fort  Foin a seguire l’esercitazione propedeutica ad un prossimo golpe  e a riferire ai suoi superiori le sue impressioni.  Collaterale  ai  Nds,  a  cavallo  degli  anni  Sessanta  e  Settanta,  c’è  stato  il  gruppo  Sigfried,  composto  da  ex combattenti della Repubblica sociale, alcuni dei quali contatti informativi della rete spionistica di cui faceva parte Carlo Digilio. E’ stato proprio l’ex ordinovista, nel corso di alcune sue deposizioni, a parlare dell’organizzazione paramilitare: “[…] Il gruppo Siegried, di cui faceva parte il professor Franco Lino, ed anzi ne era il capo con il soprannome di Otto, era sostanzialmente una piccola realtà, diciamo, interna a quell’area dei Nuclei in Difesa dello Stato di cui a suo tempo si è parlato. 
Era cioè una specie di associazione culturale che riuniva qualche decina di ex combattenti ed ex militari, quasi 
tutti provenienti dalla Rsi ed il nome fa riferimento, credo, ad una linea di difesa tedesca utilizzata durante la seconda 
guerra mondiale. […] Secondo quanto in quegli anni mi fu concesso di vedere e sentire, è opinione che questo di Vittorio Veneto [il  Sigfried,  nda]  altro  non  poteva  essere  che  uno  dei  vari  e  similari  gruppi  espressamente  organizzati  per  un  valido supporto alle forze regolari in caso di emergenza. Quale fosse la loro composizione, è facile comprendere: certamente ex combattenti non comunisti, ex militari, ex Carabinieri, gente di provata fede patriottica. 
E, a questo punto, ricordo che il professor Franco mi accennò alla possibilità del suo gruppo, in caso di necessità, 
di appoggiarsi alle armerie dei carabinieri o, con costoro, a quelle dell’Esercito italiano”. 
Il  professor  Lino  Franco,  come  abbiamo  già  visto,  era  componente  del  gruppo  Sigfried  nonché  superiore  di 
Digilio  nella  rete  informativa  statunitense.  Fu  proprio  Franco  che  chiese,  per  conto  degli  americani,  a  Digilio  di 
esaminare  l’arsenale  che  il  gruppo  ordinovista  veneto  custodiva  –  prima  di  dar  vita  alla  strategia  stragista  –  in  un casolare nelle campagne di Paese, in provincia di Treviso. A  testimonianza  del  fatto  che  le  strutture  dell’intelligence  militare  Usa  non  solo  conoscevano  –  e  non ostacolavano – i piani golpisti, ma  erano informati  in tempo reale sulle  mosse del gruppo ordinovista il quale – forte delle protezioni istituzionali e di quelle in ambito Nato – in quel periodo progettava una serie di attentati che avrebbero provocato, tra il 1969 ed il 1974, una lunga catena di morte e di terrore. 
 
Le connessioni con il Piano Solo 
Gladio, Nds e gruppo Sigfried, risulta documentalmente, avrebbero dovuto avere un ruolo ben preciso nel caso il 
piano Solo fosse diventato operativo. Naturalmente, le carte processuali e i documenti dei servizi di informazione fanno ritenere verosimile – anche se non  del  tutto  provato  –  uno  scenario  diverso  e  ben  più  articolato:  il  1964,  in  funzione  del  piano  Solo  e  delle  altre pianificazioni  militari  di  tal  fatta,  fu  il  periodo  nel  corso  del  quale  venne  dato  un  forte  impulso  alle  organizzazioni paramilitari  anticomuniste,  armate  dall’Esercito  o  dai  carabinieri  in  caso  di  svolta  autoritaria.  Basti  ricordare  il  Mar (Movimento d’azione rivoluzionaria) di Carlo Fumagalli e Gaetano Orlando, fondato nel 1964. In questo caso ci limiteremo alle connessioni con Gladio, Nds e Gruppo Sigfried. 
Nel  primo  caso,  a  proposito  del  ruolo  della  S/B,  è  provato  che  una  parte  dei  731  “enucleandi”  del  piano  Solo 
(verosimilmente  i parlamentari) dopo l’azione militare  sarebbero stati deportati nella base di  Capo  Marrargiu, in quel 
periodo adibita solo ed esclusivamente per le finalità della struttura antinvasione. 
A parlare di questa eventualità era stato direttamente il generale De Lorenzo, nel corso della sua testimonianza di 
fronte  alla  commissione  Lombardi:  “Pensavo  se  li  pigliamo  li  portiamo  ad  Alghero,  vanno  pure  a  stare  bene82”. 
L’affermazione,  che si sarebbe rivelata fondamentale per mettere  in luce  molti  aspetti del piano Solo, fu prontamente 
occultata con un omissis, tolto solamente nel dicembre del 1990. La frase di De Lorenzo, di per sé, è così eloquente che sul punto – e cioè la connessione Gladio-piano Solo – non sarebbero necessari altri elementi. 
Tuttavia la documentazione in materia è imponente e vale la pena citarla per intero. Anzitutto c’è la testimonianza di Luigi Tagliamonte, il quale ha riferito che De Lorenzo gli disse che “il ‘Piano’ aveva previsto la deportazione degli elementi catturandi in Sardegna, a Capo Marrangiu, presso il CAG”83. Parole che trovano  un  riscontro  nelle  affermazioni  del  generale  dei  paracadutisti,  Vito  Formica,  il  quale  ha  detto  che  nella primavera del 1964 il colonnello Mario Monaco, capo centro di Gladio per la Sardegna, gli chiese di verificare quante persone al massimo avrebbe potuto ospitare la base di Capo Marrargiu.  L’esame incrociato dei documenti e delle testimonianze consente anche di accertare la connessione tra Gladio – piano Solo e squadre di civili armate dal capo dell’ufficio Rei del Sifar, Renzo Rocca, delle quali si era già parlato nel corso dei lavori della commissione Alessi, senza che fosse trovata una prova certa. 
In questo caso la risposta è in una nota rinvenuta nel carteggio privato del vice-comandante generale dell’Arma 
dei  carabinieri, Giorgio  Manes:  “Sardegna – tenente  colonnello Giuseppe Pisano sa  tutto (è  cosa di due  anni) società 
fittizia con sede a Palazzo Baracchini (De Lorenzo e altri ufficiali, pure Tagliamonte) motivo: caccia – civili trattenuti 
in servizio, vedi Rocca”. Gli appunti di Manes non sono affatto oscuri e consentono di poter affermare che i “civili” di Rocca avrebbero dovuto supportare l’eventuale azione dell’Arma dei carabinieri. Tanto più l’appunto ha trovato due inequivoci riscontri. Anzitutto la testimonianza dell’ex tenente colonnello Pisano (andato in congedo con il grado di generale) responsabile del Sifar per la Sardegna, il quale in una intervista al quotidiano “la Repubblica” ha confermato che alcuni suoi colleghi del  Sifar  parlavano  della  “deportazione  nella  base  di  Alghero  degli  elementi  pericolosi,  […]  Mi  sembrò  strano:  io sapevo  che  il  Centro  addestramento  guastatori  avrebbe  dovuto  ospitare  i  governanti  legittimi  se  ci  fosse  stata  una sovversione o una invasione”. Poi  la  testimonianza  del  colonnello  dei  carabinieri,  Guglielmo  Cerica  alla  commissione  Lombardi  (che  venne quasi integralmente coperta da omissis) nella quale l’ufficiale parlò del reclutamento di ex repubblichini in vista di un “atto di forza”. I civili avrebbero dovuto entrare in azione congiuntamente con i carabinieri, con il compito specifico di neutralizzare l’apparato del Pci. Come si vede, gli “oscuri” riferimenti di Manes diventano piuttosto chiari. Tanto più che, successivamente, nuovi  e inattesi particolari sul piano Solo sono stati  aggiunti da  Carlo Digilio prima in una memoria scritta, poi in un interrogatorio reso alla A.G. di Milano. “Tornando al gruppo Sigfried, sempre nel medesimo ambiente mi fu accennato al fatto che tale gruppo era nato 
in  concomitanza  con  il  piano  Solo  del  generale  de  Lorenzo  nel  1964.  In  sostanza  accanto  al  piano  Solo  e  cioè  alla mobilitazione dei Carabinieri per il colpo di Stato, c’era il piano Sigfried e cioè la costituzione del gruppo di civili che 
al  momento  del  golpe  doveva  incaricarsi  dell’arresto  e  della  neutralizzazione  degli  esponenti  dell’opposizione  e  dei sindacalisti. A quell’epoca infatti i carabinieri non avevano le strutture sufficienti per poter operare capillarmente dovunque. Nacque così il gruppo Sigfried che continuò ad esistere anche dopo il venir meno del tentativo del 1964. 
Nel  memoriale  faccio  cenno  a  Roberto  Rotelli,  che  era  un  veneziano  esperto  palombaro  e  titolare  di  patente 
nautica (…) Rotelli che era dell’ambiente di destra (…) mi confidò che era stato previsto il suo intervento nel momento 
in cui sarebbe scattato il piano Solo e che il suo compito specifico sarebbe stato, secondo i progetti, quello di caricare i 
prigionieri  su  una  grossa  imbarcazione  e  portarli  sino  ad  una  nave  militare  che  li  avrebbe  condotti  in  Sardegna  dove erano predisposti campi di internamento. E’  quindi  molto  probabile  che  Rotelli  fosse  appartenente  al  gruppo  Sigfried.  Questa  sua  confidenza  risale  alla metà degli anni ’70 a cose ormai concluse e quindi in una situazione che gli consentiva di parlare del passato”. Il racconto di Digilio coincide in maniera sorprendente con quello del colonnello Cerica non solo sulla presenza di  ex  repubblichini,  ma  soprattutto  sul  loro  impiego,  che  avrebbe  dovuto  essere  di  “neutralizzazione”  immediata  dei militanti  comunisti  prima  che  questi  avessero  potuto  organizzare  un  qualsiasi  tentativo  di  reazione,  anche  solamente politica.  
 
Avanguardia nazionale giovanile 
Un  ulteriore  indizio  circa  la  stretta  connessione  tra  settori  dell’Arma  dei  Carabinieri  e  gruppi  neofascisti  da 
utilizzare  in  casi  di  emergenza  si  può  inoltre  ricavare  da  un  pro-memoria  dell’ufficio  Affari  Riservati  del  Viminale 
inserito nel carteggio “L 5/6 Fascicolo Generale – Avanguardia Nazionale – Varie”. Nell’appunto si dà, tra le altre cose, 
conto della nascita, nel 1960, di Avanguardia nazionale giovanile, l’organizzazione progenitrice di An, in quel periodo 
diretta da Stefano Delle Chiaie e in diretto contatto – come vederemo nell’ultima parte della relazione – con Gioventù 
Mediterranea, organizzazione dalle vocazioni neonaziste e antisemite presieduta da Giulio Maceratini. Si dice nella nota 
riservata: “Nel 1960, intanto, sorgeva l’avanguardia nazionale giovanile, i cui esponenti sarebbero stati in contatto con 
Ufficiali dell’Arma dei Carabinieri ed avrebbero preso accordi ché in caso di necessità l’A.N.G. (avanguardia nzionale 
giovanile, nda) avrebbe dovuto costituire la cosiddetta protezione civile. In questo periodo negli ambienti interessati si 
parlava con insistenza del generale Di (rectius, De) Lorenzo. Verso la fine del 1964 l’A.N.G. fu sciolta, per riformarsi dopo brevissimo tempo in maniera totalmente diversa: alcuni elementi di sicura fede, appartenenti alla vecchia A.N.G. furono avvicinati cautamente e singolarmente e fu loro proposto, nelle forme che il caso richiedeva, se volevano entrare a far parte di una organizzazione segreta, composta da persone disposte a qualsiasi sacrificio per il trionfo del loro ideale e decise a tutto pur di contrastare il passo alla politica in atto (…). Quindi,  al  pari  del  Sigfried,  anche  Avanguardia  Giovanile  di  Stefano  Delle  Chiaie  sarebbe  stata  una  di  quelle organizzazioni  pronta  ad  entrare  in  azione  e  –  come  accadde  per  il  Mar  di  Fumagalli  –  sciolta  dopo  il  1964  (con  il fallimento  e/o  il  superamento  del  piano  Solo)  per  poi  riformarsi  in  vista  di  un  successivo  impiego  che  si  sarebbe realizzato negli anni della strategia dela tensione. C’è da aggiungere che Carlo Digilio, sempre a proposito del ruolo di veneziani nel piano Solo (e delle successive 
strutture  di  civili)    ha  parlato  del  colonnello  Antonio  Campolongo,  che  –  come  si  vedrà  più  avanti  -  sarebbe  stato indicato come uno dei cospiratori in occasione del golpe Borghese: “Dai discorsi che io intrattenevo con i militanti di Ordine  Nuovo  emergeva  che  il  Campolongo  costituiva  il  punto  di  riferimento,  se  non  addirittura  il  punto  chiave,  per eventuali “azioni di forza” nell’applicazione del Piano Solo e dei piani anticomunisti degli anni successivi. 
Mi riferisco alla tempestiva aggregazione che i civili  dovevano  costituire per rapportarsi ai militari in caso di 
sommossa dei  comunisti o in caso di invasione del nostro territorio di Nord-Est da parte dei comunisti,  in attesa   che 
venissero ricompattate le nostre Forze regolari”. Sui legami tra la base di Capo Marrangiu e il piano Solo, appare utile ricordare che nella scheda del gladiatore Giovanni Battista Andreazza – addetto alle pulizie presso la Camera dei Deputati - venne annotato che “dopo l’episodio De  Lorenzo,  ha  manifestato  di  non  voler  far  più  parte  dell’organizzazione”.  Il  prof.  Giannuli,  nella  citata  perizia  al giudice Salvini, così commenta la nota: “Se,  come sembra  ragionevole, l’ ‘episodio De  Lorenzo’ altro non sia  che un riferimento alla crisi del luglio 1964, dobbiamo dedurre che Andreazza ebbe elementi per pensare ad un coinvolgimento in essa di Gladio […] sino al punto di maturare la scelta delle dimissioni”. A conclusione del paragrafo, non si possono non ricordare le parole che l’avvocato generale dello Stato, Giorgio Azzariti, scrisse nel parere che fu allegato dal presidente del Consiglio, Andreotti, nella relazione bis su Gladio inviata alle Camere. “Sembra  che  i  dirigenti  catturati  avrebbero  dovuto  essere  concentrati  e  ristretti  nella  sede  del  Centro Addestramento  Guastatori  che,  come  si  è  visto,  costituiva  uno  strumento  di  attuazione  dell’operazione  Gladio  in Sardegna. E’ allora troppo evidente la illegittimità, può parlarsi più precisamente di criminalità di simile disegno (…) Sarebbero  perciò  dichiaratamente  violati  non  solo  e  non  tanto  i  ricordati  articoli  52  e  97  della  Costituzione,  quanto l’articolo 283 del codice penale”. Le connessioni tra Gladio, piano Solo e Nds, attraverso il gruppo Sigfried, nel frattempo, sono state ampiamente dimostrate. Le parole dell’avvocato generale dello Stato, quindi, rivestono un carattere ancor più stringente di censura. La stessa che deve essere ribadita nelle considerazioni finali sulla vicenda Gladio. 
 
 
 L’EVERSIONE DI DESTRA E LE COPERTURE ISTITUZIONALI 
 
Fino alla metà degli anni '70 lo scenario delle organizzazioni dell’estrema destra è dominato da Ordine Nuovo e 
Avanguardia Nazionale. Sigle minori in ambito studentesco ed universitario sono comunque riconducibili ad esponenti che si muovono nelle file dell’una o dell’altra organizzazione o ad articolazioni delle stesse che tendono ad essere presenti nelle diverse realtà  con  sigle  autonome  (come  il  F.A.S.,  Fronte  di  Azione  Studentesca,  con  cui  Ordine  Nuovo  organizza  la  sua “penetrazione  tra  i  giovani,  poiché  la  rivoluzione  la  fanno  i  giovani...  salvo  ovviamente  le  poche  eccezioni  tra  noi rappresentate” o come Caravella e Lotta di Popolo, in cui è forte la presenza di appartenenti ad An). Negli anni Sessanta, tra l’altro, numerosissime sono le formazioni di estrema destra che furono fondate, spesso in 
correlazione tra di  loro e in rapporti di esternita/internità rispetto allo stesso Msi, partito che ha sempre mantenuto un 
atteggiamento ambiguo fatto di prese di distanza e repentini riavvicinamento con i gruppi della destra radicale, compresi quelli più dichiaratamente eversivi. Una politica attraverso la quale poter esercitare un controllo ed un’influenza rispetto ad un’area di “inconfessabilità missina”, che solo formalmente non poteva essere considerata parte integrante del Msi, mentre lo era con tutti i limti e i distinguo appena accennati. 
Tra i gruppi attivi in quegli anni è opportuno segnalare: 
1) Movimento tradizionale romano, fondato nel 1963 da dissidenti del Msi; 
2) Fronte Nazionale, costituito nel settembre 1968 a Roma dal principe Junio Valerio Borghese che poco dopo 
avrebbe  organizzato  il  tentativo  di  colpo  di  Stato.  Il  segretario  nazionale  era  Benito  Guadagni,  un  costruttore  nato  a Carrara e residente a Roma. 
3) Fronte Nazionale Europeo – Lega Giovanile, fondato a Milano nel 1967 da oppositori interni del Msi; 
4)  Costituente  Nazionale  Rivoluzionaria,  fondato  nel  1964,  nel  quale  sarebbe  confluito  in  seguito  il  gruppo 
Avanguardia Europea; 
5)  Falange  Tricolore,  il  cui  presidente,  Giorgio  Arcangeli  fu  arrestato  per  aver  organizzato  un  attentato  contro 
l’ambasciata dell’Urss a Roma; 
6) Nuova Caravella, diretto da Cesare Ferri, nato dopo una scissione da Fuan-Caravella; 
7) Circolo dei Selvatici, presieduto dall’ingegner Renato Fioravanti di Roma, composto da dissidenti missini; 
8)  Giovane  Europa,  fondato  nel  1963  a  Ferrara  e  presieduto  da  Claudio  Orsi.  Orsi  divenne  collaboratore  di 
Franco  Freda  nelle  Edizioni  AR  e  fondatore  di  un’associazione  Italia-Cina,  che  rientrava  nei  tentativi  di  An  e  On  di infiltrare i gruppi di estrema sinistra; 
9)  Gruppi  attivisti  di  movimento  dell’opinione  pubblica,  fondati  da  Mario  Tedeschi  e  Giuseppe  Bonanni  del 
“Borghese”. Il gruppo aveva costituito un fondo denominato “Soccorso tricolore” in difesa degli attivisti di destra che 
fossero stati arrestati durante scontri di piazza; 
10) Partito della ricostruzione nazionale, fondato a Varese nel 1967, che aveva come suo periodico l’Osservatore 
italiano; 
11) Partito Nazionale del Lavoro che editava il periodico “Conquista dello Stato”; 
12) Unione Nazionale d’Italia, nata da una scissione della Lega Italica; 
13) Ordine del Combattentismo Attivo, legato al giornale “Nuovo pensiero militare” 
14) Comitato di Difesa Pubblica fondato nel settembre del 1968 a Milano per iniziativa dell’ex deputato missino, 
Domenico Leccisi. 
 
Tuttavia, come detto, An e On rappresentarono le organizzazioni capaci di  coagulare intorno a sé la vocazione 
eversiva della destra italiana. Tra le due formazioni, come è stato ampiamente documentato, non vi sono discriminanti ideologiche  nette,  ma solo  una  diversità  di  atteggiamento.  I  due  movimenti  occupano  spazi  politici  ben  determinati  e  sono  complementari, l’uno (On) privilegiando il momento strategico,  costruendo così il discorso teorico della rivoluzione per i tempi lunghi, per le generazioni avvenire, l’altro  (An) esaltando nella sua azione il momento tattico e quindi immediato.   L'importanza  delle  due  formazioni,  per  la  verità,  va  ben  oltre  il  periodo  considerato.  Nella  galassia  della  destra radicale, infatti, esse svolsero un ruolo di indiscussa egemonia, sia per la durata della loro presenza legale (e comunque ufficiale)  sulla  scena,  che  è  di  circa  vent'anni  nel  caso  di  Ordine  Nuovo,  di  una  quindicina  in  quello  di  Avanguardia Nazionale, per la forza della loro leadership, per le attività di cui furono protagonisti. Ancora più importante è il fatto che, grazie alla continuità ideologica e personale, anche dopo lo scioglimento essi costituirono un cruciale trait d'union fra periodi e generazioni di militanti, collegando i reduci degli anni '40 con i protagonisti della fase golpista e poi con i terroristi dello spontaneismo armato degli anni '70 e '80. 
93  Il  concetto  risulta  espresso  in  un  documento  sequestrato  a  Londra  nel  1977  a  Clemente  Graziani,  leader  di  Ordine Nuovo, ove si sottolinea, in chiave critica, che nell'esaltazione del momento tattico, A.N. sarebbe portata ad "impegnarsi più attivamente e spregiudicatamente, sia a livello nazionale che a livello europeo ed extra-europeo all'acquisizione di piattaforme di ovvia utilità contingente, ma in qualche modo pericolose e pregiudizievoli"; viene ribadita comunque sia la  contiguità  tra  i  due  movimenti  sia  la  impregiudicata  possibilità  di  azioni  in  comune  nel  momento  in  cui  fossero  comuni radici ideologiche, che risalgono alla tradizione storica del fascismo rivoluzionario e della Repubblica Sociale  Italiana,  si  alimentano  dell’analisi  e  della  critica  che  di  quelle  esperienze  viene  fatta  da  Julius  Evola.  La concezione dello Stato e quella della missione delle avanguardie politiche da lui elaborate costituiscono l’humus di cui si nutrono le posizioni di entrambe le formazioni e che, al di là del processo più volte tentato di vera e propria fusione, hanno determinato nel tempo fenomeni di osmosi tra i militanti dell’una e dell’altra; e che quindi rendono la distinzione innanzi delineata sostanzialmente tendenziale. 
 
Ordine Nuovo 
Ordine Nuovo nasce nel 1956, come Centro Studi Ordine Nuovo, dopo il congresso di  Milano del Msi, dal quale 
si  scinde  nel  nome  della  continuità  con  gli  ideali  della  RSI,  sotto  la  guida  di  Pino  Rauti  che,  all’interno  del  partito, aveva già dato vita  ad una aggregazione denominata Ordine Nuovo. Promotori della scissione, insieme a Rauti, sono Graziani,  Massagrande,  Delle  Chiaie.  Dopo  la  morte  del  segretario  Michelini,  il  nuovo  segretario  del  Msi,  Giorgio Almirante,  che  aveva  guidato  all’interno  del  partito  l’opposizione  interna  più  vicina  alle  posizioni  degli  ordinovisti scissionisti, avviò il tentativo di recupero di  tutti i gruppi dissidenti. Il processo di riassorbimento arrivò a compimento nel dicembre del 1969 con il ritorno di Rauti nel Msi, che motivò tale rientro con la necessità, a fronte dei mutamenti in atto  nella  situazione  politica  nazionale,  di  procedere  a    “una  revisione  globale  della  sua  posizione  nel  quadro  delle contingenze globali che indicano, senza alcun dubbio, una possibilità di rottura degli equilibri, di estrema pericolosità [...] Ne consegue che è necessità vitale per la vita futura (prossimo futuro) di Ordine Nuovo inserirsi dalla finestra nel sistema dal quale eravamo usciti dalla porta, per poter usufruire delle difese che il sistema offre attraverso il parlamento, con tutte le possibili voci propagandistiche che ne derivano [...] Necessità  contingente dunque,  assoluta  e drammatica [...]” .  Alla posizione di Rauti si contrappone quella di Graziani, Massagrande, Saccucci, Tedeschi, Besutti ed altri, che rifiutano di rientrare nei ranghi del Msi per la costituzione di un “movimento rivoluzionario al di fuori degli schemi triti e  vincolanti  dei  partiti,  una  formazione  agile,  adeguata  alle  esigenze  della  situazione  politica  attuale  e  strutturata secondo criteri propri delle minoranze rivoluzionarie”, che assume il nome di Movimento Politico Ordine Nuovo.   Il movimento,  che si autodefinisce  come  l’unico  movimento politico fautore di una strategia globale nazional-rivoluzionaria,  si  dà  una  prima  organizzazione  provvisoria  nel  corso  di  una  riunione  del  21  dicembre  1969  e  una organizzazione più complessa  dopo il I congresso tenutosi a Lucca nell’ottobre del 1970,  comunicata agli aderenti con il Notiziario Riservato del 5 novembre 1970. 
L’attività  ed  il  progetto  politico  del  movimento  vennero  all’attenzione  dell’autorità  giudiziaria,  dopo  che  gli 
aderenti  si erano resi protagonisti di più di quaranta episodi di aggressione e avevano giocato un ruolo significativo nei 
disordini di Reggio Calabria del 1970, nel giugno 1973, quando Ordine Nuovo formò oggetto di un dettagliato rapporto 
della Questura di Roma. Quel rapporto e gli atti che ne scaturirono portarono i quadri dirigenti del movimento prima a 
giudizio  avanti  al  Tribunale  di  Roma  per  il  reato  di  ricostituzione  del  partito  fascista  e,  dopo  la  condanna  del  21 novembre 197395, al decreto di scioglimento dell’organizzazione, del 23 novembre successivo.  L' ipotesi accusatoria ha vincolato  l’accertamento  del  Tribunale  alla  verifica  della  corrispondenza  tra  il  progetto,  i  fini  e  l’organizzazione  del movimento  e  quelli  propri  del  fascismo.  Gli  elementi  che  col  tempo  sono  emersi  consentono  oggi  di  dire  che  già all’epoca erano stati consumati fatti delittuosi di maggiore gravità e relativi a ipotesi associative di diverso rilievo, che solo molto tempo dopo sarebbe stato possibile ricondurre nell’ambito dell'organizzazione. Pur con tali limiti, gli atti di quel processo e la sentenza  che  lo concluse  costituiscono un punto di partenza  ineliminabile per  comprendere  sia gli ulteriori sviluppi del movimento che i meccanismi delle dinamiche interne alla destra radicale. 
Ordine  Nuovo  risultava  già  caratterizzato  come  un  movimento  semiclandestino,  fortemente  gerarchizzato,  con 
una direzione politica centralizzata, orientato a muoversi in gruppi di pochissime persone che dovevano essere in grado 
di  volta  in  volta  di  mobilitare  un’area  di  simpatizzanti,  ispirato  ad  un  concezione  elitaria  e  mitica  dello  Stato, 
antidemocratica  e  antiborghese,  in  assoluta  contrapposizione  con  la  democrazia  parlamentare  e  l’organizzazione  del consenso attraverso i partiti, ma almeno in parte non antistituzionale.  
 
“entrate in giuoco decisioni ed azioni importanti” suscettibili di “riverberarsi non soltanto sul Movimento che le prende 
e le attua, ma su tutto il nostro mondo politico "   Il  terrorismo,  le  stragi  ed  il  contesto  storico-politico,  proposta  di  relazione  redatta  dal  presidente  della Commissione,  senatore  Giovanni  Pellegrino,  XII  legislatura.  In  realtà,  come  vedremo  più  avanti,  Rauti  e  gli  altri ordinovisti sarebbero rientrati nel Msi per avere maggiori coperture politiche dopo l’inizio della strategia stragista, della quale Ordine Nuovo era parte integrante. 
95 Tribunale di Roma, procedimento contro Graziani Clemente + 39, sentenza 21/11/1973.  
96 I documenti acquisiti all’epoca documentano una diffusione ampia su quasi tutto il territorio nazionale, con punti di 
riferimento forti soprattutto nel Veneto, che costituisce forse il nucleo più organizzato,  e a Roma, ma con significative 
articolazioni anche nel meridione, in Campania, Sicilia ed in Calabria. I documenti ideologici ribadiscono le concezioni 
di  fondo  già  indicate  e  evidenziano  spiccati  caratteri  razzisti  e  antiebraici.  Per  quanto  riguarda  la  formazione  dei 
militanti,  un documento dell’epoca prevedeva la preparazione dei quadri con lo svolgimento di due diversi corsi, uno di 
formazione ideologica e l’altro di formazione politica. I temi dati ai corsi e i  riferimenti bibliografici indicati ( Guenon, 
Evola, Giannettini con “la tecnica della guerra rivoluzionaria “ e il Mein Kampf  di Hitler ) esemplificano da una parte 
Il movimento è infatti caratterizzato da una "concezione antidemocratica, antisocialistica, aristocratica ed eroica 
della vita", ma la stessa matrice evoliana gli conferisce un ruolo non antagonista rispetto allo Stato; anzi, come è stato 
osservato,  la  possibilità  di  utilizzare  il  “movimento  nazionale”  in  funzione  antisovversiva  di  difesa  dello  Stato  è  una costante, almeno nella prima fase, del pensiero di Evola: per difendere lo Stato ormai ostaggio delle masse organizzate, capaci  in  ogni  momento  di  paralizzarne  la  vita,  occorreva  creare  “una  rete  capillare  intesa  a  fornire  prontamente elementi di impiego per fronteggiare dovunque [...] l’emergenza”, avendo come fine “anzitutto e prima di tutto la difesa contro  la  piazza  dello  Stato  e  dell’autorità  dello  Stato  (persino  quando  esso  è  uno  “Stato  vuoto”)  e  non  la  loro negazione”. In tale prospettiva il movimento nazionale doveva individuare, all’interno dello Stato, quei  “corpi  sani” cui era possibile far riferimento, come i paracadutisti, la polizia, i carabinieri.  
Tale originaria impostazione avrebbe continuato, fin dall’inizio, a rafforzare lo “storico” contatto (cominciato fin 
dall’immediato dopoguerra) con quei settori dell’Arma dei carabinieri, delle forze armate e dei servizi di informazione – 
nei quali non irrilevante era la presenza di ex repubblichini - i quali, fedeli ai principi dell’oltranzismo atlantico e grazie 
all’ambiguità  complice  di  una  parte  della  classe  politica  di  governo,  rappresentavano  la  sponda  istituzionale 
dell’ordinovismo fino a trasformare oggettivamente – come ha implicitamente denunciato Vinciguerra – On in una sorta 
di gruppo paramilitare inserito a pieno titolo nei dispositivi militari della Nato. 
Non va dimenticato – come vedremo più avanti – che la rete informativa degli Usa operante nel Triveneto con 
base al comando Ftase di Verona, aveva tra i suoi più validi agenti ex repubblichini quali Franco Lino e Sergio Minetto 
e ordinovisti quali Marcello Soffiati e Carlo Digilio. Il  tratto  distintivo  più  significativo,  dal  punto  di  vista  della  risposta  delle  istituzioni,  tra  l'azione  di  contrasto all’estremismo di destra e a quello di sinistra, è proprio la sintonia  tra i disegni degli eversori e quelli di una parte degli apparati che li avrebbero dovuti combattere ed ha radici profonde e risalenti nel tempo, che poco hanno a che fare con la episodica strumentalizzazione del singolo fatto. Ciò ha contribuito  in modo determinante a rendere impervio e a volte impossibile il compito degli inquirenti che solo assai faticosamente e a distanza di anni hanno potuto ricostruire ormai con sufficiente chiarezza i tratti significativi dei percorsi eversivi. 
 
Avanguardia Nazionale 
Avanguardia  Nazionale  fu  fondata  nel  1960  da  Delle  Chiaie,  che  si  allontana  con  questo  da  On,  della  cui 
separazione dal  Msi era stato sostenitore.  Nel 1965 An si  sciolse e gli aderenti, pur non rompendo  i  collegamenti  tra 
loro, parteciparono sotto altre sigle all’esperienza politica della destra radicale non dissimilmente da quanto faceva On.  
Fu poi ricostituita nel 1970, in concomitanza con il processo di parziale riassorbimento di On nel Msi. Animata da una 
pari ostilità nei confronti dei regimi comunisti e dello stato liberal-democratico, An propugna l’idea di una rivoluzione 
europea  per  ripristinare  le  naturali  differenze  tra  gli  uomini  e  dar  vita  alla  formazione  di  una  élite  rivoluzionaria  che funga da avanguardia, organizzata in piccoli gruppi o in nuclei qualificati che nell’azione concretizzano la fusione tra 
ideale e sua realizzazione. Il  movimento  teorizza  l'ipotesi  golpista  classica,  richiamandosi,  come  On,    al  fascismo  storico  e  alla  RSI,  ma ricollegandosi all’esperienza allora attuale dei regimi militari in Europa e America Latina. Si prefigge inoltre lo scopo di determinare “una definitiva divisione verticale nelle forze politiche in due fronti contrapposti: il demo-marxista e il nazionale rivoluzionario”. L’esasperazione del clima di tensione è strumentale a tale disegno e può essere raggiunta sia attraverso  lo  scontro  con  l’avversario  che  attraverso  azioni  di  provocazione  non  riconducibili  alla  loro  reale  matrice. Funzionale a tale disegno è anche, e soprattutto, il mantenimento di contatti con gli apparati dello Stato (organici, come vedremo più avanti, sono i rapporti tra An e l’ufficio Affari riservati del Viminale e, in particolare,  tra delle  Chiaie e Federico  Umberto  D’Amato)  che,  una  volta  determinata  una  lacerazione  del  tessuto  del  potere,  sono  destinati  ad intervenire per ripristinare l’ordine. 
Anche  An,  sulla  base  della  stessa  attività  di  polizia  giudiziaria  che  aveva  portato  al  rapporto  contro  On,  fu, 
attraverso i suoi maggiori esponenti, sottoposta a procedimento per ricostituzione del partito fascista e, sebbene in tempi più  lunghi  e  con  condanne  più  miti,  si  pervenne  prima  alla  condanna,  nel  1976,  quindi  allo  scioglimento 
dell’organizzazione.  Fonti  che  furono  rese  disponibili  solo  molto  tempo  dopo  la  conclusione  di  quel  processo99  riferiscono dettagliatamente  dell’esistenza  all’interno  di  An  di  due  livelli:  un  livello  “ufficiale”,  destinato  allo  svolgimento  delle l’orizzonte ideologico del movimento e richiamano dall’altro i  temi che  avevano già proposto i convegni dell’istituto Pollio negli anni precedenti. 
La parabola del pensiero di Evola condurrà poi ad una visione più tragica e negativa, ad una idea di isolamento e di 
distacco dell’uomo da una società, quella borghese, la cui crisi è ritenuta definitiva e irreversibile, per approdare all’idea 
di un impegno politico che si concretizza in una milizia eroica, quale passaggio obbligato per la costruzione di uno stato 
popolare  (nella  teorizzazione  che  ne  fa  Franco  Freda)  o  nella  esaltazione  del  gesto  come  affermazione  dei  valori  di superiorità e disuguaglianza. 
  Si  fa  riferimento  ad  una  relazione  consegnata  ai  servizi  dalla  fonte  Parodi,  identificabile  in  Guido  Paglia.  Il 
documento non fu sviluppato dai Servizi in sede investigativa, nè consegnato all'autorità giudiziaria. In esso si indicano 
i componenti del vertice (Delle Chiaie, Tilgher, Giorgi, Campo, Perri, Crescenzi e Fabbruzzi) oltre che alcuni elementi 
 attività  pubbliche  e  legali,  e  una  struttura  “secondaria”  che  costituiva  un  vero  e  proprio  apparato  clandestino.  Di  tale seconda struttura, secondo una metodologia assai raffinata, facevano parte i militanti dotati di capacità organizzative più adatte al lavoro clandestino, scelti fra coloro che non erano noti – almeno ufficialmente - alla polizia e ai carabinieri per la loro attività politica pubblica e fra quanti avevano finto  di abbandonare l’attività politica. Il lavoro di tale struttura, dedita ad attività terroristiche, era regolato da norme assai precise tra cui la conoscenza limitata ad un numero ristretto di altri membri dell’apparato e la non conoscenza di chi avesse compiuto una certa “azione” se appartenente a un’altra “cellula”.  Chi  apparteneva  alla  struttura  “secondaria”  doveva  godere  della  piena  fiducia  del  vertice  e  collaborare  al "filtraggio" dei militanti. 
Nel frattempo la  condanna degli ordinovisti e lo scioglimento dell’organizzazione On aveva colpito l’ambiente 
della destra eversiva nel quale si faceva affidamento su una risposta più impacciata da parte dell’ordinamento e aveva 
determinato  uno  sbandamento  nelle  file  ordinoviste,  ma  al  tempo  stesso  costituì  una  sorta  di  trauma  unificante 
richiamando attorno all’organizzazione colpita la solidarietà delle altre formazioni e quella di An in particolare100.  
Ordine Nero e il Viminale Grazie all’attività investigativa del ROS dei Carabinieri, è recentemente emerso un documento che contribuisce a far luce, in maniera determinante e forse definitiva, sul ruolo e la natura di Ordine Nero. L’appunto del Sid del 1974, di cui ora si dirà,101 contiene un’indicazione piuttosto circostanziata del fatto che Ordine Nero fu costituita, in realtà, dal Ministero dell’interno con il preciso intento di acuire la tensione politica, e alimentare il clima di sfiducia necessario per una svolta a destra del paese. 
E’ un passaggio fondamentale nella strategia della tensione, perché segna il passaggio dal rapporto perverso tra 
gli apparati istituzionali e i gruppi comunque anticomunisti, originato fin dall’immediato dopoguerra, alla creazione ex 
novo di un movimento clandestino dichiaratamente di matrice neofascista ed eversiva. Il Ministero dell’interno, secondo 
il documento, non  limita più  il proprio ruolo al  sostegno e  alle  coperture delle frange  estremiste della destra – come, 
parallelamente, facevano Carabinieri e Servizi militari – ma interviene direttamente organizzando un gruppo armato cui 
attribuire gli  attentati. Perché e come il Viminale operi in questo senso è riportato nell’appunto, che inizia ricordando 
come  “il  provvedimento  di  scioglimento  di  Ordine  Nuovo  abbia,  inizialmente,  colpito  l’organizzazione  e  creato  una situazione  di  profondo  sconforto  tra  gli  aderenti  che,  in  gran  parte,  avevano  approdato  a  quell’organismo  dopo  le deludenti  esperienze  di  Avanguardia  Nazionale.  I  veri  capi  di  Ordine  Nuovo  hanno,  però,  impostato  una  reazione centrata sui criteri: 
- impedire la polverizzazione delle forze; 
- recuperare addirittura energia, galvanizzando anche coloro che un acceso spontaneismo aveva   allontanato dai ranghi 
delle formazioni giovanili di estrema destra”. E nel marzo 1974 a Cattolica, vengono tracciate le nuove linee di azione 
della formazione. 
 
Secondo  il  Sid,  i  capi  di  On  puntavano  al  perseguimento  di  questo  obiettivo  attraverso  “la  sopravvivenza 
clandestina di Ordine Nuovo; la propaganda di una idea politica valida che colmasse il vuoto provocato dall’abbandono 
di  Almirante”,  utilizzando  a  tal  fine  anche  il  giornale  del  movimento  Anno  Zero.  E’  qui  da  intendersi,  molto 
probabilmente,  che  gli  ordinovisti,  con  le  sentenze  di  condanna  e  il  decreto  di  scioglimento  dell’organizzazione,  si sentissero abbandonati dalle componenti istituzionali della destra delle quali godevano evidentemente di un appoggio. E’  opportuno,  a  questo  punto,  riportare  integralmente  una  parte  dell’appunto,  poiché  emerge  a  chiare  lettere  il ruolo del Viminale in questa operazione. Scrive dunque il Sid: 
“La manovra non è sfuggita al Ministero dell’Interno che, nel contesto di una politica dell’antifascismo opportunamente 
orchestrata anche con forze politiche estranee alla D.C., ha inteso colpire: 
- lo  strumento  divulgativo  delle  idee  (ANNO  ZERO,  presentato  non  come  giornale  ma  come  movimento 
politico nato, solo per cambiamento di nome, da Ordine Nuovo); 
- il movimento stesso,  creando un “Ordine Nero” (indicato come  il braccio violento di “Anno  Zero”) cui si 
debbono attribuire una serie di atti violenti ed antidemocratici. 
 
Nel  contesto  di  quanto  sopra  vanno  interpretate  tutte  le  azioni  delittuose  etichettate  da  organi  di  governo  e 
 
 
della  struttura  secondaria  (Palotto,  Di  Luia,  Ghiacci  e  Fiore).  Il  Paglia  ha  negato  la  paternità  del  documento  che  fu consegnato dall'ex capitano del Sid Labruna all'autorità giudiziaria nell'aprile del 1981 nell'ambito del procedimento P2 nella fase in cui la scoperta dell'archivio di Castiglion Fibocchi aveva rivitalizzato anche gli accertamenti sull'omicidio 
Pecorelli, concentrando l'attenzione sull'attività di Viezzer e Labruna. 
100 O.N. si ricostituisce di fatto attraverso  circoli culturali e gruppi i più organizzati e attivi dei quali sono il gruppo La 
Fenice,  di  Milano,  formalmente  interno  al  Msi,  e  il  gruppo  Drieu  la  Rochelle  di  Tivoli,  il  cui  punto  di  riferimento  è Paolo  Signorelli,  leader  indiscusso  dell’area  ordinovista  a  livello  nazionale  ,    attorno  al  quale  si  aggregano  anche giovani  e  giovanissimi  militanti,  come  Calore  e  Aleandri,  che  avranno  poi  un  ruolo  di  primo  piano  nelle  successive trasformazioni della destra romana nella seconda metà degli anni 70. 
 Secondo il ROS, che per conto dell’Autorità Giudiziaria ha rintracciato il documento, “l’affermazione […] è di 
estrema gravità: secondo l’estensore del Sid, in pratica, l’organizzazione terroristica Ordine Nero non sarebbe altro che 
un prodotto dei ‘laboratori’ della guerra non ortodossa”.  
Prima di esaminare il contenuto di questo passaggio, è comunque il caso di aggiungere che in un appunto dell’11 
novembre  1978,  il  Sismi  riferisce  di  notizie  apprese  in  ambiente  della  sinistra  romana  in  relazione  al  caso  di  Roland Stark. Secondo la fonte del Sismi, Stark sarebbe stato in contatto “con gli esponenti di ‘Ordine Nero’, l’organizzazione eversiva  sostenuta  dai  ‘servizi  segreti  italiani’”.  Letteralmente,  da  quanto  riportato  nell’appunto,  sembra  che l’affermazione  che  Ordine  Nero  fosse  sostenuta  dai  Servizi  italiani,  non  sia  da  attribuire  agli  ambienti  della  sinistra, bensì direttamente all’estensore dell’appunto Sismi. Ma anche volendo ritenere frutto della fonte l’affermazione citata, si tratta di una conferma che quantomeno sospetti erano i contatti tra Ordine Nero e apparati istituzionali. Per  tornare  all’appunto  Sid  del  1974,  è  bene  anzitutto  considerare  che,  pur  con  la  dovuta  cautela,  il  Servizio ilitare  non  poteva  certo  mettere  in  circolo  una  nota  con  le  considerazioni  che  abbiamo  appena  visto,  senza  avere contezza  di  quanto  andava  affermando.  Seppure  in  un  contesto  che  vedeva  Ministero  della  difesa  e  Ministero dell’interno  spesso  in  contrasto  –  ma  drammaticamente  con  i  medesimi  fini  –  non  è  immaginabile  che  il  Sid  addossi all’Ufficio  Affari  riservati  del  Viminale  la  responsabilità  di  aver  creato  un’organizzazione  terroristica,  senza  avere  le prove di ciò. Con ogni probabilità, pertanto, il contenuto dell’appunto corrisponde largamente  al vero, ed è semmai il contesto che può fornire elementi di riflessione. 
Non  si  comprende,  anzitutto,  il  senso  dell’affermazione  iniziale,  secondo  la  quale  il  Ministero  dell’Interno 
avrebbe  inteso  colpire  la  disciolta  Ordine  Nuovo,  “nel  contesto  di  una  politica  dell’antifascismo  opportunamente 
orchestrata anche con forze politiche estranee alla D.C.”. E’ accertato anche in sede giudiziaria, e in questa relazione ve 
ne sono le testimonianze, che il Ministero dell’interno non operò certo in chiave antifascista, né allora né mai; e non è 
certo  un  caso  che  fino  al  1994  la  Democrazia  cristiana  non  abbia  mai  abbandonato  la  gestione  del  Viminale, 
rinunciando ad ogni altro dicastero ma non a quello dell’interno. Non è chiaro, quindi, cosa si voglia dire con il termine 
“politica dell’antifascismo”, se non interpretando il successivo periodo – “opportunamente orchestrata anche con forze 
politiche estranee alla Dc” – nel senso di un’ apparente iniziativa di contrasto ai movimenti neofascisti, tesa in realtà al 
loro controllo e alla loro eterodirezione. 
L’attività  dei  gruppi  eversivi  di  destra,  nonostante  lo  scioglimento  di  Ordine  Nuovo,  ebbe  modo  infatti  di 
manifestarsi ancora in più occasioni (di lì a poco con la strage di Brescia), e non vi era certo la necessità di creare una 
finta organizzazione di destra cui “attribuire una serie di atti violenti ed antidemocratici”. E’ più probabile, invero, che il 
decreto di scioglimento di On colse impreparati i responsabili della guerra non ortodossa – in primis il Viminale – che 
decisero a quel punto di  intervenire creando di fatto una nuova organizzazione da utilizzare per proseguire sulla folle 
strada  della  strategia  della  tensione.  Ed  è  difficile  non  collegare  le  “forze  politiche  estranee  alla  Dc”,  con  quegli 
ambienti  dell’oltranzismo  atlantico  che  saranno  coinvolti  nella  strage  di  piazza  della  Loggia;  quel  blocco  di  forze 
(estranee  alla  Dc  ma  ad  esse  contigue)  di  cui  faceva  parte  chi  consentì  la  distruzione  di  tutti  i  reperti  subito  dopo  la strage,  chi  era  al  corrente  della  preparazione  dell’attentato,  chi  si  adoperò  successivamente  per  coprire  i  responsabili dell’eccidio. 
 
Giancarlo Esposti 
Il finto antifascismo del Ministero dell’interno emerge nei passaggi successivi dell’appunto, laddove si dice che 
“la  manovra  può  facilmente  riuscire  coinvolgendo  estremisti  di  destra”  e  che  la  “provocazione  è  facilmente  attuabile nell’ambito dei predetti movimenti  anche per  la  compiacenza di aderenti  che pensano opportuno ‘comporre in  chiave individuale i dissidi con il Ministero dell’interno’”. Tra  coloro  che  sembra  possano  essere  utilizzati  dal  Ministero,  l’appunto  annovera  Kim  Borromeo,  Giancarlo Cartocci  e  Giancarlo  Esposti,  e  su  quest’ultimo  si  sofferma  l’attenzione  del  Sid,  con  accenni  inquietanti.  Dunque, Esposti, risulterebbe “implicato con la questione BRESCIA (ipotesi che trova scarso credito)”; e avrebbe “accettato un ‘incarico’ proposto dal M.I. [Ministero dell’interno]. Questa seconda evenienza è fortemente creduta e potrebbe essersi determinata nel quadro di un ventilato progetto di attentato – su commissione – durante la sfilata del 2 giugno (premio: 400.000.000  con  anticipo  già  corrisposto).  In  realtà,  i  provocatori  intendono  solo  far  ‘scoprire’  un  campeggio paramilitare e materiale esplosivo”. 
Secondo il ROS si tratta della parte più rilevante dell’appunto, poiché vi si fa espresso riferimento, in anticipo, 
alla scoperta del campeggio paramilitare di Pian del Rascino. “L’ignoto estensore – sempre per il ROS – ha in pratica 
appreso dalle sue fonti che il Ministero degli Interni ha promesso 400 milioni a ESPOSTI chiedendogli di realizzare un 
attentato nel corso della sfilata del 2 giugno 1974, consegnandogli già un anticipo. Il tutto al fine di arrestarlo, progetto 
durante, in un campo paramilitare con esplosivi”. 
Sempre  con  riferimento  alla  strage  di  Brescia,  dall’appunto  è  possibile  apprendere  che  “tra  i  responsabili  di 
estrema destra prevale l’opinione che ‘BRESCIA’ sia stata voluta dal M.I.”. Se si considera che l’appunto è datato 30 
maggio 1974,  cioè due giorni dopo la strage, appare  in tutta la sua drammatica evidenza che non solo  il Sid, ma  con 
ogni  probabilità  anche  il  Ministero  dell’interno,  erano  al  corrente  dell’origine  e  della  matrice  dell’eccidio. 
Ciononostante, per gli otto morti e i centrotre feriti non è ancora stata fatta giustizia. 
A  margine,  è  da  segnalare  che  l’appunto  contiene  un  ulteriore  paragrafo  riferito  al  golpe  Borghese,  sul  quale 
emergono  ancora  elementi  certo  non  debitamente  valutati  all’epoca.  La  fonte  del  Sid,  che  è  uno  dei  capi  segreti 
dell’organizzazione,  infatti,  si  dichiara  disposta  “a  fornire  (tramite  contatto  con  il  responsabile  di  Avanguardia 
Nazionale) alcuni numeri di matricola delle armi che il Ministero all’Interno distribuì agli ‘avanguardisti’ la sera dell’8 
dicembre 1970 all’interno del dicastero e che questi non hanno più inteso restituire”. 
E così  commenta il  ROS a  margine dell’appunto, premettendo che “il Sid ha  evidentemente  l’interesse  a poter 
tenere sotto pressione il Ministero dell’interno”: “Il particolare interessante è che, a differenza di quanto si era sempre 
detto,  le  armi  non  sono  state  prelevate  manu  militari  ma,  ‘distribuite’  dal  Ministero  degli  Interni.  […]  A  livello  di 
ipotesi  è  possibile  suggerire  l'identificazione  del  capo  segreto  di  Ordine  Nuovo  con  il  noto  Clemente  Graziani,  di 
recente deceduto”. Molto tempo dopo l’appunto del Sid, una nuova e importante testimonianza circa un ruolo diretto del Viminale e, segnatamente,  dell’Ufficio  Affari  Riservati,  quale  provocatore  diretto  di  atti  di  terrorismo,  è  emersa  a  margine  di un’inchiesta della Procura della repubblica di Firenze del 1993 sul tentativo di dare vita  ad una sorta di  “costituente” della destra radicale o, meglio, fascista, a seguito della contestazione per la presunta deriva moderata che avrebbe negli anni successivi trasformato il Msi (o meglio, la sua ampia maggioranza) in Alleanza Nazionale. 
Nel  corso di  tale inchiesta era stata messa sotto controllo  l’utenza di Graziano Carboncini, già segretario della 
sezione del Msi di Empoli, successsivamente transitato in formazioni extraparlamentari fino al rientro nel Ms-Fiamma 
Tricolore di Pino Rauti. Il  29  marzo  1993,  Carboncini  ricevette  la  telefonata  di  Angelo  Apicella,  già  appartenente  ad  Avanguardia Nazionale,  nonché  in  contatto  con  Elio  Massagrande.  Nel  corso  della  conversazione,  nel  rievocare  in  termini  critici alcuni  drammatici  avvenimenti  passati  che  avevano  caratterizzato  molti  periodi  della  vita  repubblicana,  quali  il  caso Moro, le vicende Calvi e Sindona, nonché gli assassinii di Dalla Chiesa e Borsellino, Apicella si lasciava andare ad una confidenza  di  grande  interesse,  che  sembra  rappresentare  una  conferma  di  quanto  sostenuto  nel  documento  del  Sid: 
“[…]  io  ero  stato  sollecitato  dal  dott.  Amato  [rectius  D’Amato]  dell’Ufficio  affari  riservati  del  coso… mi  avevano 
offerto  750  milioni  e  ad  un  certo  momento,  siccome  avevano  capito  che  eravamo  un  gruppo  di  paracadutisti,  e  ci accorgemmo guardandoci in faccia che eravamo tutti ex sabotatori quindi con gli esplosivi sulla punta delle dita, io dissi questi ordini noi li possiamo avere solo da chi di dovere, noi non possiamo usare queste cognizioni per cose […]”. Secondo  il  racconto  di  Apicella,  dopo  le  proposte  dell’Ufficio  Affari  riservati  –  rifiutate  dal  suo  gruppo  –  un 
secondo  tentativo  di  aggancio  istituzionale  si  sarebbe  verificato  poco  tempo  dopo  all’aeroporto  militare  di  Guidonia dove, a margine di alcune esercitazioni, il gruppo di Apicella sarebbe stato avvicinato dall’ammiraglio Eugenio Henke, dal generale Fanali e dal generale Boschetti, che avrebbero avanzato proposte analoghe a quelle di D’Amato105. 
L’importanza  della  conversazione  –  oltre  al  fin  troppo  evidente  richiamo  con  le  considerazioni  svolte 
nell’appunto del Sid – deriva dal fatto che si trattava di un dialogo tra due “camerati” legati dal vincolo di una nuova 
comune militanza politica, i quali non potevano ragionevolmente sospettare di essere intercettati, perché in quel periodo il  loro  tentativo  di  riorganizzazione  della  destra  radicale  –  ancorché  di  interesse  della  procura  di  Firenze  –  si  era manifestato in maniera palese, con riunioni e iniziative politiche in gran parte pubbliche. 
Si tratta, in ogni caso, di una chiamata in causa da parte di una persona, Angelo Apicella, che sarebbe testimone 
diretta delle proposte avanzate da Federico Umberto D’Amato e dal suo ufficio. 
C’è  da  rilevare,  in  proposito,  che  il  dirigente  della  Digos  di  Firenze,  ben  comprendendo  la  rilevanza  delle 
affermazioni  di  Apicella,  informò  il  giorno  stesso,  con  una  annotazione,  la  procura  della  Repubblica  di  Firenze  nella persona del sostituto Gabriele Chelazzi, chiedendo di estendere le indagini anche sull’Apicella. 
Al  momento  non  è  possibile  dire  quale  tipo  di  sviluppo  ha  avuto  questo  filone,  né  se  la  procura  di  Firenze  – 
essendo  evidente  la  notizia  di  reato  –  abbia  inteso  inviare  il  fascicolo  alla  procura  della  repubblica  di  Roma, 
verosimilmente competente ad indagare, ovvero se abbia ritenuto di procedere autonomamente. 
Se così non fosse stato e la segnalazione della Digos fosse rimasta senza seguito, ci troveremmo senza dubbio di 
fronte  ad  un  comportamento  censurabile,  anche  per  il  fatto  che  il  periodo  1990-1995  è  quello  che  ha  consentito  le maggiori acquisizioni processuali relative al terrorismo di destra e alle sue protezioni istituzionali.  
 
La riunificazione neofascista e le nuove connivenze 
 
 
La risposta allo scioglimento di Ordine Nuovo106 è costituita dal tentativo di riunificazione tra On e An che viene 
lungamente preparata con contatti tra gli ordinovisti e gli  avanguardisti  in Italia  e voluta fortemente da Stefano Delle 
Chiaie e che fu sancita in una riunione svoltasi ad Albano nel 1975. Alla presenza degli stati maggiori dell’eversione e 
di diversi latitanti (come Delle Chiaie e Concutelli) rientrati clandestinamente, fu dato corpo alla struttura riunita, che, 
utilizzando quale schermo la sigla ancora legale di An, non doveva essere la somma delle due strutture, ma la risultante 
della  loro  fusione,  riconoscendo  zona  per  zona  la  leadership  all’organizzazione  localmente  più  rappresentativa. 
L’organizzazione  riunita  doveva  avere  un  suo  organigramma  e  mettere  in  comune  le  armi,  le  strutture  logistiche  e  il piano d’azione attorno ad una strategia che sanziona un radicale cambiamento di atteggiamento. 
Delle  Chiaie,  secondo  quanto  poi  appreso  dall’autorità  giudiziaria,  avrebbe  esordito  senza  mezzi  termini 
annunciando che: “noi siamo qui non per fare stupidaggini  come seguire linee politiche o fare giornali, noi siamo qui 
per prenderci il potere” secondo una linea d’azione così sintetizzata da Calore: “arrivare ad ottenere la disarticolazione 
del potere colpendo le cinghie di trasmissione del potere statale”. 
Come si vede  il baricentro si sposta verso una scelta spiccatamente  antisistemica. L’indicazione data  in quella 
sede da Delle Chiaie proclamando che “Occorsio era un nemico da abbattere” fornisce una tragica esemplificazione del 
nuovo atteggiamento, ed avrà l’anno successivo puntuale esecuzione per mano dell’ordinovista Concutelli. 
Naturalmente  si  potrà  e  si  dovrà  discutere  a  lungo  sulla  reale  vocazione  “antisistemica”  di  due  organizzazioni 
che,  nei  fatti,  rappresentavano  il  braccio  armato  dell’ufficio  Affari  riservati  del  Viminale  e  del  Sid,  nonché  erano 
organici  a  quegli  apparati  atlantici  –  agli  americani,  per  intenderci  –  i  quali  erano  invisi  a  settori  non  marginali  della destra radicale in quanto responsabili della sconfitta del nazi-fascismo. 
Questa  falsa  vocazione  “antisistemica”  avrebbe  poi  portato  Vincenzo  Vinciguerra  ad  organizzare  l’attentato  di 
Peteano, proprio quale gesto di rottura rispetto alle collusioni istituzionali dei suoi ex camerati. 
Per  tornare  ad  An  e  On,  il  processo  di  riunificazione  appare  estremamente  significativo  per  comprendere  lo 
sviluppo  della  strategia  della  destra  eversiva  nel  suo  complesso.  Esso  non  ha  potuto  avere  in  sede  processuale  -  per ragioni  necessariamente  legate  ai  limiti  e  agli  obiettivi  di  ogni  vicenda  giudiziaria  -  una  adeguata  valorizzazione ricostruttiva, rimanendo schiacciato tra le valutazioni in punto di diritto sugli  elementi della fattispecie associativa  e i vincoli derivanti dal principio del ne bis in idem. Tuttavia si può storicamente  affermare che la riunificazione si pone come passaggio tattico di una strategia che vede intrecciarsi i percorsi degli ordinovisti e degli avanguardisti. Il delitto Occorsio,  già  ricordato,  il  sequestro  Mariano,  l’attentato  a  Leighton,  si  inseriscono  in  tale  contesto.  L’arresto  di  appartenenti alle due organizzazioni nell’appartamento di via Sartorio in Roma nel dicembre del 1975, fornisce, insieme al rinvenimento dell’organigramma della struttura unificata  e di copioso  materiale documentale107, tra cui  documenti ideologici di pugno di Concutelli e di Delle Chiaie, la dimostrazione evidente dell’avvenuta fusione.  Recenti contributi istruttori su Avanguardia nazionale, Ordine nuovo e apparati dello Stato 
Negli ultimi anni le novità di maggior rilievo sono venute dall’inchiesta di Bologna (cd. processo Italicus bis) e 
di Milano (inchieste sull'attività del gruppo La Fenice e sugli attentati fascisti degli anni Sessanta e Settanta, nonché la 
nuova inchiesta sulla strage di piazza Fontana oggi a dibattimento). 
Straordinari contributi sono venuti anche dalla nuova inchiesta sull’attentato alla questura di Milano per il quale 
è già stato condannato all’ergastolo Gianfranco Bertoli e dall’istruttoria sull’abbattimento dell’aereo del Sid, Argo 16. 
Si  è  ancora  in  attesa  delle  risultanze  della  nuova  indagine  sulla  strage  di  Brescia  la  quale,  dai  pochi  elementi 
finora emersi, sembra inserirsi perfettamente nello schema interpretativo che si è delineato nelle altre inchieste. 
Le ricostruzioni istruttorie – pur essendo opera di diverse autorità giudiziarie - hanno confermato un disegno che 
nelle grandi linee era già tracciato, e cioè quello di una sostanziale contiguità tra On e An, ma soprattutto della stabilità  
dei rapporti di entrambe con settori dei servizi di informazione e alcuni apparati militari, di un loro coinvolgimento già 
dalla  fine  degli  anni  ‘60  (a  livello  operativo,  cioè  concretizzatosi  attraverso  fatti  delittuosi)  nei  progetti  golpisti 
succedutisi  fino  al  1974.  Naturalmente,  è  stata  confermata  la  riconducibilià  a  quei  gruppi  della  preparazione  e 
dell’esecuzione delle stragi di piazza Fontana, di piazza della Loggia, della questura di Milano e di altri episodi minori 
che  hanno  contribuito  ad  alimentare  la  strategia  della  tensione.  Tali  ricostruzioni  hanno  anche  introdotto  elementi  di novità che qualitativamente mutano il quadro precedente.  
Per meglio spiegare il livello di organicità tra destra eversiva e strutture dello Stato è necessario analizzare nel 
dettaglio – e alla luce dei nuovi documenti e delle nuove testimonianze – alcune vicende esemplari: 
a) i contatti tra An, il Sid e l'Ufficio affari riservati del Ministero dell'interno, 
b) i rapporti tra On, il Sid e ufficiali dell'Esercito, 
 
 
 La fuga all'estero di alcuni leader storici di O.N. impose sforzi immediati di riorganizzazione che condussero ad una 
svolta strategica. Le iniziative assunte da alcuni settori della magistratura e dei Servizi nei confronti di appartenenti al 
movimento  fu  vissuta  dai  suoi  militanti  come  un  vero  e  proprio  tradimento  da  parte  dello  Stato  (sulle  conseguenti dinamiche del periodo in cui maturò la diversa strategia di  attacco allo Stato, cfr. Ferraresi,  Minacce alla democrazia, Feltrinelli 1995, pagg. 275 e segg.) 
azione  rinvenuta  emerge  con  certezza  l’operazione  preventiva  di  attribuzione  alla  sinistra 
I rapporti di Avanguardia Nazionale con i servizi di informazione, prima con l’Ufficio affari riservati, poi con il 
Sid, hanno origini risalenti ai primi anni ‘60, quando l’area di An,  tramite il giornalista  Mario  Tedeschi, fu  coinvolta 
dall’Ufficio affari riservati del Ministero dell'interno nell’attività di affissione dei “ manifesti cinesi”, una campagna di 
attacco al partito comunista apparentemente proveniente dalla sua sinistra.108 Tale attività fu ammessa dallo stesso Delle Chiaie  che  la  ricondusse  ad  una  iniziativa  dell’Ufficio  affari  riservati,  condivisa  tatticamente  da  An  come  valida manifestazione  di  “guerra  psicologica”  nei  confronti  del  partito  comunista.  A  prova  della  “copertura”  fornita all’operazione da parte delle forze dell’ordine, secondo quanto riferisce Vinciguerra, Delle Chiaie109 avrebbe appreso da un  funzionario  della  Questura  che  la  immediata  liberazione  di  alcuni  avanguardisti  fermati  durante  l’affissione  dei manifesti era stata frutto di un preciso intervento in tal senso. Nell’operazione fu coinvolta An a livello nazionale e non soltanto  a  Roma.  Infatti,  oltre  a  Vinciguerra  numerosi  altri  ex  militanti  dei  gruppi  eversivi  di  destra  hanno  parlato dell’operazione.  Significative  sono  le  testimonianze  di  Salvatore  Francia,  Paolo  Pecoriello,  Carmine  Dominici  e Roberto Palotto.  
Vale la pena riportare alcuni passaggi dell’interrogatorio di Vinciguerra: “Indico in questa operazione  il primo 
momento concreto dell’avvio della strategia della  tensione,  che deve quindi  essere  anticipata  ai primi anni ’60 e non, 
come erroneamente si fa, fissata al maggio del 1965, data di svolgimento del ‘Convegno Pollio’. 
Dell’operazione  Manifesti  Cinesi  venni  direttamente  a  conoscenza  da  Stefano  Delle  Chiaie  a  seguito 
dell’intervista apparsa nel 1974 fatta a Robert Leroy da un giornalista dell’Europeo. Di questa intervista ho già parlato 
ed  anche  delle  reazioni  negative  di  Delle  Chiaie  nei  confronti  di  Leroy  espresse  a  Ives  Guerin  Serac.  Delle  Chiaie  si preoccupò  di  smentire  parzialmente  le  responsabilità  di  Avanguardia  Nazionale  in  questa  operazione,  negando  il collegamento  consapevole  fra  Avanguardia  e  l’Ufficio  Affari  Riservati  del  Ministero  dell’Interno  che  ne  era  stato 
l’organizzatore. Pur confermando la veridicità delle affermazioni di Leroy al giornalista dell’Europeo, Delle Chiaie mi 
raccontò che ad affidargli l’incarico di affiggere i Manifesti cinesi era stato Mario Tedeschi, direttore de “Il Borghese”, 
e che nell’operazione era coinvolto anche un esponente del Movimento Sociale Italiano, tale Gaetano La Morte. 
Il  Delle  Chiaie  confermò  la  responsabilità  di  Federico  D’Amato  dicendomi  che  a  rivelargliela  era  stato  il 
Dirigente dell’Ufficio Politico di Roma, tale D’Agostino, a seguito del fermo e dell’immediato rilascio di alcuni giovani 
di Avanguardia che erano stati fermati mentre affiggevano i manifesti. 
Il D’Agostino  ebbe un incontro con Stefano Delle Chiaie  dopo il rilascio di questi ragazzi nel corso del quale 
evidenziò,  sempre  per  quanto  mi  disse  Delle  Chiaie,  il  suo  stupore  per  il  fatto  che  gli  Avanguardisti  ignorassero  che dietro l’operazione Manifesti Cinesi c’era il Ministero degli Interni nella persona di Federico D’Amato. Il Delle Chiaie 
concluse il suo racconto affermando che, appresa la verità e preso atto che era stato ingannato da Mario Tedeschi, si era 
distaccato da questo tipo di operazioni”. 
Successivamente,  Gaetano  La  Morte  avrebbe  ricoperto  incarichi  di  un  certo  prestigio  all’interno  del  Msi, 
transitando poi ad Alleanza Nazionale. I rapporit tra Stefano Delle Chiaie e Federico Umberto D’Amato 
La testimonianza di Vinciguerra sulle collusioni tra D’Amato e Delle Chiaie – e quindi tra An e Affari riservati – 
ha trovato una straordinaria e autorevole conferma  in quella di Guglielmo Carlucci, ex dirigente degli Affari Riservati, 
nonché stretto collaboratore di D’Amato, recentemente scomparso. 
E’  utile  riportare  integralmente  il  contenuto  delle  dichiarazioni  di  Carlucci  citando  ampi  brani  della  sentenza-
ordinanza del GI di Venezia, Carlo Mastelloni:  “Sulla gestione di fonti, fonti interne o infiltrati coltivati dai funzionari del Ministero dell’Interno in servizio alla Div. AA.RR., nel corso della deposizione del 15 maggio 1997 il dr. Carlucci ha ricordato che il Delle Chiaie era solito frequentare il dr. D’Amato sia quando il funzionario era vice direttore che nei  tempi successivi in cui  era assurto alla carica  di  direttore  della  Divisione,  trattenendosi  con  il  prefetto  nei  locali  dell’ufficio.    In  alcune  occasioni    lo  stesso Carlucci aveva assistito  ai colloqui intercorsi tra i due. 
Secondo  le  percezioni  del  Carlucci  cui  il  Delle  Chiaie  era  stato  presentato,  D’Amato,  la  Divisione  Aa.Rr., 
agevolava il capo indiscusso di Avanguardia Nazionale per il rilascio di passaporti per concessioni del porto d’armi e di 
 
 
Si voleva allarmare l'opinione pubblica moderata con la dimostrazione dell'esistenza di una capillare rete filo-cinese 
in  molte  città  italiane;  ed  insieme  spingere  il  Partito  comunista  italiano  ad  una  radicalizzazione  determinata  dalla
necessità di impedire la formazione di un'area alternativa alla sua sinistra. Qant’altro  interessando  in  discesa  gli  organi  competenti  della  Questura  di  Roma  ed  estendendo  questo  tipo  di intervento anche a qualche amico dell’estremista. Nel  corso degli  incontri il Delle  Chiaie forniva notizie  che  il D’Amato dopo essersi fatto descrivere  le singole personalità degli appartenenti al gruppo di A.N. trasfondeva in Appunti che poi inoltrava, per lo sviluppo, alla Sezione competente  al  fine  di  stimolare  i  conseguenti  controlli  da  espletare  in  direzione  dei  militanti  attraverso  la  Squadra centrale o ufficio politico o direttamente al Capo della Polizia che, ove del caso, a sua volta li inoltrava al Ministro.  Era dunque Delle Chiaie “un suo confidente nonché infiltrato” nella struttura di estrema destra. Si trattava di un rapporto personale ed esclusivo di D’Amato: ”un contatto rischioso” ma ritenuto dallo stesso D’Amato e dal Carlucci 
“indispensabile”. Anche  se  il  teste  ha  risposto  di  non  aver  mai  sviluppato  appunti  provenienti  dal  Delle  Chiaie  all’esito  di  ogni commiato, cui egli aveva modo di assistere, il commento seguito alla visita espresso dal prefetto era sempre nel senso che il contatto con Delle Chiaie “poteva essere utile per noi”. 
Si tratta di un riscontro diretto fornito dal dr. Carlucci pertinente a un rapporto di cui si è eternamente sussurrato 
ma anche dibattuto spesso nelle aule di Giustizia e che nel corso di questa istruttoria ha avuto un’autorevole conferma 
processuale caratterizzata da una ricchezza di particolari e ben inquadrata nello spazio e nel tempo: “Nel 1966 allorché 
io  pervenni  al  Viminale  il  rapporto  tra  D’Amato  e  Delle  Chiaie  era  già  in  corso”,  nonché  logicamente  articolata:  “il predetto, anche se si diceva che era un violento, non è mai stato arrestato anche se inquisito”.  
Delle  Chiaie,  dunque,  era  un  “confidente  e  un  infiltrato”  di  D’Amato.  Una  circostanza  che,  da  sola,  induce  a 
riflettere con gravità sulle collusioni istituzionali e, da sola, dà buona parte della risposta sul perché i responsabili delle 
stragi siano in gran parte riusciti a sottrarsi alla giustizia. Ma se le testimonianze di Vinciguerra e del dottor Carlucci sembrassero insufficienti per poter fare affermazioni così categoriche, ogni elemento di residuo dubbio viene tolto dalla ulteriore testimonianza di Gaetano Orlando (ritenuto attendibile dall’autorità giudiziaria di  Milano e di  Bologna) già capo, con Carlo Fumagalli, del  Movimento di Azione Rivoluzionaria, rifugiato  in Spagna durante  la sua latitanza  ed entrato nel “giro” di Delle  Chiaie,  che  in quel periodo fungeva da padre-padrone della colonia dei fascisti italiani e manteneva i rapporti con le autorità franchiste spagnole, le quali utilizzavano gli avanguardisti e gli ordinovisti in “operazioni sporche” contro i baschi. Orlando  è  stato  testimone  diretto  di  un  incontro  in  Spagna  tra  il  latitante  Delle  Chiaie  e  Federico  Umberto D’Amato. 
Ecco l’eloquente racconto dell’ex capo del Mar sull’incontro Delle Chiaie-D’Amato e, più in generale, sul ruolo 
del capo di Avanguardia Nazionale in Spagna e sui contatti con il piduista-fascista Mario Tedeschi e con Romualdi, a 
loro  volta  legati  al  capo  degli  Affari  riservati:  “In  Spagna  ho  appreso  che  Delle  Chiaie  aveva  eseguito  azioni 
terroristiche  attribuite  ai  baschi.  Non  dico  che  le  abbia  eseguite  materialmente  Stefano  Delle  Chiaie,  ma  che  lui  era l'organizzatore  e  che  utilizzava  la  sua  gente.  Godeva  dell'appoggio  della  Guardia  Civil,  come  ho  avuto  modo  di constatare  relativamente  alle  vicende  di  Montejura.  Venivano  eseguiti  attentati,  sequestri  di  persona  ed  altri  fatti criminosi che poi venivano addebitati all'Eta. Gli uomini di Delle Chiaie non operavano solo a Madrid, ma anche a San Sebastiano,  a  Barcellona  ed  in  altre  località  della  Spagna.  Queste  notizie  apprese  circa  l'azione  di  Delle  Chiaie  in Spagna  hanno  formato  in  me  la  convinzione  che  anche  in  Italia  dev'essere  successo  qualcosa  di  analogo  [...] Spontaneamente  aggiungo,  poi  che  il  Delle  Chiaie  mi  condusse  a  Monteyura,  nell'anniversario  della  vittoria  carlista. Ricordo che era presente anche il Maggiore De Rosa della Guardia Forestale che io stesso accompagnai a Monteyura in macchina. Là Stefano mi presentò a Sisto Quinto a Monteyura c'era anche Cauchi. Per l'occasione Delle Chiaie era stato rifornito di jeep cariche di armi affidategli dalla Guardia Civile spagnola. Io e De Rosa rimanemmo in albergo. Ricordo che  era  l'albergo "Monteyura" dove dovremmo  essere stati  registrati. […] Anche Delle  Chiaie  stava nel nostro stesso albergo. Non so invece se ci fosse anche il Cauchi. Io e De Rosa rimanemmo in albergo, mentre Delle Chiaie, Cauchi e un'altra decina di italiani i cui nomi non sono mai emersi andarono via a bordo delle jeep. Quello che è successo poi è stato riportato su tutti i giornali. Il Delle Chiaie, inoltre, in Spagna ha fatto delle altre operazioni che sono state attribuite ai baschi, ma io non ho assistito a queste. Ho inoltre appreso che sarebbe coinvolto nell'omicidio di alcuni baschi […] Delle  Chiaie,  in  Spagna,  incontrava  anche  il  Senatore  Tedeschi,  che  io  stesso  ho  conosciuto  in  occasione  di  una  di queste visite. Vinciguerra non era al corrente del rapporto fra Delle  Chiaie  e Tedeschi e ne ha avuto  conoscenza solo recentemente […] Non ricordo a quale delle riunioni di cui ho parlato fosse presente il Fachini, persona che comunque ho certamente incontrato e conosciuta a Padova, appunto in una di quelle riunioni [...] I deputati italiani che venivano in Spagna e dei quali ho parlato nei precedenti verbali venivano a trovare Delle Chiaie. Io ho conosciuto personalmente il Tedeschi e il Romualdi e non me la sento di fare i nomi degli altri”. 
“[…]  Lei  G.I.  mi  chiede  di  approfondire  il  tema,  già  accennato  nel  mio  precedente  verbale,  dei  rapporti    tra  i 
fuoriusciti di destra che vivevano a Madrid e uomini politici italiani. A tal proposito ricordo che il Delle Chiaie mi portò 
con sè, in una occasione, ad un suo incontro all'Hotel Melia Castiglia con il Romualdi. Giunti all'albergo il Romualdi ci 
raggiunse  al  bar  ed  il  Delle  Chiaie  me  lo  presentò.  Bevemmo  qualcosa  insieme  e  poi  i  due  si  allontanarono.  Questo incontro  risale  al  '76,  ma  so,  pur  senza  avervi  partecipato,  che  il  Delle  Chiaie  ha  avuto  numerosi  altri  incontri  col Romualdi […]. 
 
In  Spagna  non  ci  furono  solo  incontri  con  politici  da  parte  di  Delle  Chiaie.  Ricordo  anche  delle  riunioni.  Ho 
partecipato ad alcune di queste e ne ricordo una, in particolare, durante la quale mi venne presentato Federico Umberto 
D’Amato. Oltre a me il Delle Chiaie  e il D’Amato, a questa riunione prese parte circa una  trentina di persone, cileni, 
francesi, argentini ed italiani, oltre che degli spagnoli che facevano gli onori di casa. Fui invitato a questa riunione per 
consentirmi di illustrare la mia posizione su come comportarsi con le autorità locali nel Paese che ci offriva ospitalità 
[...]”.
 
Il  racconto  di  Orlando,  sul  punto  della  conoscenza  tra  Delle  Chiaie  e  Tedeschi,  si  integra  con  quello  di 
Vinciguerra, il quale apprende i retroscena dell’operazione “Manifesti cinesi” solamente nel 1974. E sarebbe ben strano 
che Delle Chiaie – il quale in quell’occasione riferisce di essere stato ingannato da Tedeschi – avesse mantenuto così a 
lungo  e  in  maniera  così  stretta  i  rapporti  con  il  direttore  del  “Borghese”  se  tra  i  due  ci  fosse  stato  un  motivo  di  così grave conflitto. 
Alla  luce  di  quanto  esposto,  non  vi  possono  essere  dubbi  circa  i  rapporti  tra  Delle  Chiaie  e  D’Amato, 
ampiamente dimostrati. 
E’ interessante, tuttavia, dare conto di altre testimonianze che dimostrano come, all’interno dei servizi segreti e 
della stessa destra missina, i rapporti tra Avanguardia Nazionale e Viminale fossero considerati un dato di fatto. 
A tal proposito  è  interessante la  testimonianza del  capitano Antonio  Labruna – recentemente  scomparso –  che 
era stato uno degli uomini del Sid che aveva indagato sui retroscena del golpe Borghese e non poteva non aver notato 
che, all’epoca, fu fatto di tutto per tenere fuori il gruppo di Delle Chiaie dall’inchiesta della magistratura: 
“[…] Mi accorsi già nel corso dell’istruttoria che non erano stati denunciati alla A.G. i soggetti denuncianti e di 
cui  alla  copia  in  mio  possesso:  per  esempio  i  componenti  di  Avanguardia  Nazionale:  Delle  Chiaie,  Maurizio  Giorgi; aggiungo  che  tutti  i  componenti  di  Avanguardia  Nazionale  non  furono  denunciati  per  il  Golpe  benché  ne  fosse  stata evidenziata una struttura palese ed una occulta e operativa in funzione del Golpe. 
Avanguardia  nazionale  figurava  come  la  parte  operativa  del  Fronte,  struttura  che  faceva  capo  al  principe 
Borghese”. 
Labruna ha anche riferito dei contatti di Delle Chiaie con D’Amato e del suo ruolo di fonte e agente provocatore: 
“ Capo di Avanguardia Nazionale era Stefano delle Chiaie, che, ripeto, era una fonte dell’Ufficio Affari Riservati: tanto 
mi fu confermato anche dall’avv. Degli Innocenti, dal Nicoli, nostra fonte, da Orlandini in Svizzera […]115.  
Chi  fosse  in  realtà  Delle  Chiaie,  come  detto,  era  noto  anche  in  alcuni  settori  del  Movimento  sociale  meno 
compromessi con i servizi segreti e con i gruppuscolo eversivi. 
Interessante, a  tal proposito, è la testimonianza di  Romolo  Baldoni (attivo nel  Msi fino al 1980), che dimostra 
non solo il ruolo di provocatore di Delle Chiaie, ma anche l’ambiguità di un personaggio come Guido Paglia, dirigente 
di  Avanguardia  Nazionale  e,  come  vedremo  in  seguito,  definito  dall’autorità  giudiziaria  di  Milano  e  di  Bologna  –  a seguito di risultanze processuali – informatore del Sid con il nome di copertura “Parodi”. 
A differenza di altri avanguardisti, Paglia sarebbe riuscito a riciclarsi nel mondo del giornalismo (famoso il suo 
scoop sull’arsenale di Camerino, funzionale al depistaggio organizzato dai servizi segreti, di cui si dirà più avanti) e, più 
recentemente, nel mondo manageriale. 
Ha raccontato Romolo Baldoni:  “Fino al 1976 ho militato nel Movimento Sociale Italiano e ciò dal 1948. Sono 
stato Consigliere per la Provincia di Roma svolgendo due mandati dal 1972 al 1980. 
Nel 1969, 1970 ero Segretario Giovanile della Giovane Italia ed avevo, in quanto Dirigente, rapporti diretti con 
la dirigenza del Partito. 
Non ho mai avuto rapporti con il Sid. Ho conosciuto Guido Paglia nel 1969. 
Era egli dirigente di una formazione giovanile universitaria. 
Ricordo che, nei primi mesi del 1970, invitai il predetto a casa mia, a pranzo, perché intendevo portarlo con me a 
Strasburgo acché partecipasse ad una manifestazione contro le costituende  Regioni. In quel frangente io, sapendo che 
egli era amico del Delle Chiaie, detto Caccola, lo misi sull’avviso che questi era elemento pericoloso coinvolto in strani 
episodi:  strage  di  piazza  Fontana.  Mi  disse  il  predetto  che  lui  era  vicino  a  Delle  Chiaie  e  che  non  poteva  venire  a Strasburgo, al Parlamento Europeo. Al che io, che avevo rapporti con dirigenti quali Almirante, De Marzio, Romualdi, 
ero al corrente, per averlo saputo nel corso di riunioni con i predetti, che Delle Chiaie  sarebbe stato interrogato per i 
fatti di strage avvenuti a Milano. 
Dopo due o tre giorni Delle Chiaie fuggì all’estero. 
Contestatami la deposizione del Paglia sui punti relativi ai rapporti tra Delle Chiaie ed il Ministero dell’Interno, 
rapporti su cui mi diffusi e per i quali io subì la reazione, la sera, del Paglia e dello stesso Delle Chiaie. 
Ricordo che la sera dello stesso giorno il Delle Chiaie, assieme al Paglia e ad altre cinque o sei persone, venne 
presso casa mia. Il Paglia suonò al campanello e mi fece scendere. Delle Chiaie mi chiese spiegazioni su quanto avevo 
riferito al Paglia. Fui evidentemente minacciato e risposi che non potevo dare spiegazioni di ciò che avevo detto perché 
non  potevo  rivelare  la  fonte  che,  come  ho  detto  testé,  era  l’Onorevole  Almirante  che  si  era  in  tal  guisa  espresso  nel corso  di  una  riunione  ristretta  adducendo  che  Delle  Chiaie  sarebbe  stato  ascoltato  dall’A.G.  circa  i  fatti  di  strage. Almirante aveva in più occasioni detto che il Delle Chiaie era un provocatore al servizio del Ministero dell’Interno ed in particolare del Prefetto Federico Umberto D’Amato. 
Almirante  diceva  di  essere  in  possesso  delle  fotografie  che  rappresentavano  Delle  Chiaie  mentre  sortiva  dal 
Ministero dell’Interno. E’ vero che il Delle Chiaie faceva attaccare manifesti del candidato della Dc Petrucci nella zona 
tuscolana impiegando anche propri elementi che io conoscevo. 
Tutto  questo  io  riferii  al  Paglia  a  colazione  ma  il  discorso  principale  fu  da  me  incentrato  sul  coinvolgimento 
asserito da Almirante del Delle Chiaie nei fatti di Piazza Fontana. 
Era  noto  da  anni,  dal  1965  in  poi,  nel  contesto  del  Msi,  che  il  Delle  Chiaie  era  un  provocatore  che  agiva  per 
conto  del  Ministero  dell’Interno,  della  Democrazia  Cristiana  e  tanto  al  fine  di  alzare  i  livelli  di  scontro  nelle 
manifestazioni. Fui io a invitare a pranzo il Paglia concretizzando un tentativo di sottrarlo all’area del Delle Chiaie. Il 
gruppo  la  sera  tentò  di  aggredirmi  fisicamente  cercando  di  sapere  le  mia  fonti  circa  le  attribuzioni  fatte  da  me  nei confronti  dell’operato  del  Delle  Chiaie.  Almirante  sosteneva  esplicitamente  che  Delle  Chiaie  era  finanziato  dal 
Ministero dell’interno. Nel partito ciò però costituiva notizia corrente da anni pertanto la direttiva era quella di non far 
frequentare le sedi di Avanguardia Nazionale dai nostri elementi. Devo dire comunque che, coevamente, a noi risultava 
che Delle Chiaie aveva anche rapporti diretti con lo stesso Almirante e che nel 1975 da latitante, il Delle Chiaie si recò 
presso  il  predetto,  presso  la  abitazione  parlamentare.  Tanto  mi  disse  lo  stesso  Almirante  dopo  questo  episodio, 
aggiungendo che la Ps, che sorvegliava la sua abitazione, aveva riconosciuto il Delle Chiaie ma non lo aveva arrestato, 
tale  confidenza  l’apprendemmo  io  e  mia  moglie  a  casa  di  Almirante.  Non  ricordo  chi  altro  fosse  presente.  Almirante sostenne che la Ps non voleva prendere Delle Chiaie perché non si voleva che parlasse.  
La Polizia aveva chiesto conferma allo stesso Almirante della identità dell’ospite. 
Tanto ci riferì l’Onorevole.Sono  sicuro  che  almeno  due  volte,  e  sempre  nel  1975,  Almirante  ricevette  il  Delle  Chiaie.  Tanto  disse conversando con noi a pranzo”. 
 
Il racconto di Baldoni, oltre a mostrare i lati poco nobili – per usare un eufemismo – della personalità di Guido 
Paglia,  dimostrano  ulteriormente  l’ambiguità  di  fondo  dei  dirigenti  del  Msi  nei  confronti  dei  terroristi  fascisti  e  dei gruppi  eversivi,  che  riuscivano  a  tenere  insieme  “condanne”  formali  ed  apparenti,  denunce  di  un’attività  di 
provocazione e contatti stretti, fino alla decisione di incontrarsi con latitanti. 
La  collaborazione  tra  An  e  l’Ufficio  affari  riservati  è  ulteriormente  riferita  dal  capitano  Labruna,  il  quale  ha 
affermato  di  averla  appresa  da  Giannettini  e  da  Guido  Paglia.  Tale  circostanza  trova  conferma  nelle  dichiarazioni  di Giannettini e nella nota relazione su “attività di Avanguardia nazionale e gruppi collegati” consegnata da Guido Paglia 
al Sid e non trasmessa all’autorità giudiziaria117. La relazione fu invece utilizzata, secondo Vinciguerra118, proprio come 
prova di affidabilità del servizio nei confronti di Delle Chiaie, con il quale Labruna si incontrò in Spagna poco dopo la 
ricezione della nota. Labruna faceva così sapere a Delle Chiaie che il Sid sapeva che il coinvolgimento di An nel golpe 
Borghese era passato proprio attraverso la struttura di intelligence del Ministero dell’interno, ma teneva la cosa segreta. 
 
I rapporti tra Ordine nuovo e i Servizi italiani e statunitensi 
Altrettanto numerosi sono i riferimenti a contatti tra Ordine Nuovo e ambienti informativi e militari; tali contatti 
devono collocarsi nel quadro della mobilitazione della destra eversiva al servizio dei progetti di destabilizzazione  cui 
facevano riferimento le dichiarazioni di Spiazzi e di Vinciguerra già negli anni '80 e che ora sono andate delineando un 
quadro sempre più completo. 
In  particolare,  come  è  emerso  nel  corso  delle  ultime  attività  della  magistratura,  il  legame  tra  Ordine  Nuovo, 
servizi segreti e rete informativa all’interno delle basi Nato (sostanzialmente riferibile agli Stati Uniti) è il nodo attorno 
al quale si è  sviluppata,  tra  il 1969 ed il 1974,  la  strategia  delle stragi fasciste, o – secondo una definizione diffusa  e 
certamente non priva di fondamento – stragi di Stato. 
Tra le tante dichiarazioni e testimonianze, appaiono significative le puntuali affermazioni di Graziano Gubbini, 
ordinovista  perugino  che  tra  il  1971  ed  il  1972  si  era  trasferito  in  Veneto  ed  era  entrato  nelle  formazioni  ordinoviste locali.  Questi  riferisce  di  incontri  con  militari  e  di  una  riunione  nella  caserma  di  Montorio,  cui  Gubbini  partecipò come  rappresentante  del  centro  Italia  unitamente  ad  un  rappresentate  per  il  sud  e  per  il  nord  per  “dar  vita  ad  una struttura di civili di ispirazione ordinovista che, in collegamento con ambienti militari, avrebbe dovuto organizzarsi con basi, armi ecc. […] con finalità anticomuniste" [...] "L’operazione venne denominata “Operazione Patria” e prevedeva la  costituzione  di  una  struttura  organizzata  in  modo  analogo  al  F.N.L.,  con  a  disposizione  basi,  armi  ed  il  nostro addestramento. Avremmo avuto a nostra disposizione per il nostro addestramento delle basi militari cioè la creazione di una  struttura  mista  di  militari  e  civili  che  avrebbe  potuto  avvalersi  dei  supporti  logistici  e  addestrativi  dell’esercito”. L'operazione  si  sarebbe  arenata  per  la  resistenza  degli  ordinovisti  del  centro  e  del  sud  alla  consegna  dell’elenco completo dei militanti dell’organizzazione. 
Anche  il  gruppo  perugino  di  O.N.  risulta  aver  avuto  contatti  con  il  servizio  di  informazione  tramite  Maurizio 
Bistocchi e Luciano Bertazzoni (indicato agli atti del servizio come fonte CAPE) , contatti non negati dagli interessati i 
quali tuttavia cercano di sminuirne la portata, ma collocati invece da Graziano Gubbini in un contesto ben più articolato: 
“Effettivamente  mi  risulta  che  il  Bistocchi  venne  contattato  da  un  ufficiale  dei  carabinieri  e  sia  lui  che  il  Bertazzoni mantennero  contatti  con  questa  persona.  Io  stesso  fui  avvicinato,  precedentemente,  da  un  sedicente  ufficiale  dei carabinieri che mi propose di collaborare organicamente nell’ambito di una struttura anticomunista. Questa persona mi disse che avremmo avuto a disposizione armi e quant’altro fosse servito [...]”. 
Per quanto riguarda poi i rapporti con ufficiali dell’esercito per il procacciamento di esplosivi ed altro analogo 
materiale,  occorrerà  ricordare  quanto  emerge  dal  documento  Azzi121  sulla  possibilità,  confermata  da  più  fonti,  di prelevare materiale proveniente dalle caserme di Pisa e di Livorno e sulla messa a disposizione di esplosivo da parte del colonnello Santoro, che a tal fine era in stretto contatto con l’industriale Magni. 
Degna di grande rilievo, a proposito delle collusioni tra fascisti e ambienti militari – in particolare quelli di Pisa e 
di Livorno – è la testimonianza di Andrea Brogi, chiamato durante il servizio militare a svolgere un ruolo informativo di 
tipo cospirativo. 
Brogi aveva militato in Ordine Nuovo e poi in Ordine Nero ed era uno dei fascisti più legati alla cellula eversiva 
di Cauchi, tra le più inquinate per i suoi legami con la massoneria – in particolare la P2 – i servizi segreti, i carabinieri e 
la federazione del Msi di Arezzo. 
Il racconto di Brogi, a tratti, è soprendente: “Allorchè prestai servizio alla Smipar (la scuola dei paracadusisti di 
Pisa)  ero  militante  del  Fuan  e  negli  ultimi  cinque  mesi  della  leva  ebbi  contatti  con  il  Capitano  De  Felice  il  quale  si qualificò  come  Ufficiale  di  collegamento  tra  il  Sid  e  il  Sios  Esercito.  Io  avevo  già  fatto  la  Scuola  trasmissioni  a  S. Giorgio  a  Cremano  e  mi  ero  specializzato  in  tale  materia,  già  peraltro  perito  industriale.  In  questo  contesto  funsi  da collaboratore informativo e coevamente ero impiegato presso il centralino della Scuola. Confermo che fui in tal guisa impiegato dal 19.11.1972, io incorporato il 3.6.72. Contesto il contenuto e il tenore dell’appunto declassificato secondo cui  “in  seguito  alla  pendenza  penale”  fui  “allontanato  dal  Centralino”.  Il  De  Felice    continuò  a  fruire  della  mia collaborazione perché si disse in sintonia ideologica con me e ciò a me stette bene. Mi promise che mi avrebbe mandato a Camp Derby nei mesi e anni futuri. Senonchè io non ottenni la rafferma a causa di incidenti che accaddero a Pisa ma l’atteggiamento  di  De  Felice  non  mutò.  Finito  il  periodo  di  leva  mi  disse  che  ci  dovevamo  rivedere  nei  giuramenti successivi perché aveva delle proposte da farmi. Io mi recai in particolare a una cerimonia, la prima successiva dopo il mio congedo e in tale occasione lo rividi e lì mi disse che il nostro rapporto avrebbe avuto uno sviluppo. Infatti il De Felice, dopo un paio di mesi dalla cerimonia, mi cercò a casa, a Firenze, ma mi trovò solo la terza volta chiedendomi di vederlo perché aveva da propormi di lavorare “per la nostra causa” favorevole alla svolta autoritaria in virtù di un golpe militare. Io non mi presentai all’appuntamento perché inserito nel Gruppo aretino e perugino di Ordine Nuovo. Contesto il tenore e le circostanze di fatto recitate dal De Felice il 22.9.92: egli si esprimeva in funzione anticomunista e parlava sempre in funzione di “noi”; egli favoriva il nostro sviluppo ideologico all’interno della Caserma. Ritengo che su di noi camerati  il  De  Felice  non  inviasse  informative  bensì  lavorasse  solo  su  quanti  gli  andavano  riferendo  sugli extraparlamentari  di  sinistra.  (…)  Confermo  che  il  De  Felice  si  definì  elemento  di  collegamento  tra  il  Sid  e  il  Sios Esercito e che mi propose, finito il militare, di lavorare per l’Ufficio I in quanto in tale settore “eravamo padroni della situazione”.  Dei  miei  reali  rapporti  con  il  De  Felice  ebbi  a  parlare  con  Cauchi,  nonché  con  il  Tuti  e  con  Francesco Bumbaca, deceduto. Nel memoriale rimase distrutta una  lista di Ufficiali dell’E. I. sia della Smipar che della  Brigata Vannucci  di  Livorno  che  pur  nei  tempi  precedenti  il  De  Felice”  [aveva]  “avuto  modo  di  leggere.  Tali  nominativi  li aveva  siglati  perché  risultati  favorevoli  alle  nostre  idee  politiche:  ricordo  del  Ten.  Celentano  della  Smipar,  del  Ten. Meiville, del Mar.llo Iorio, aiutante in Smipar, uomo simbolo. 
Secondo  il  giudice  istruttore  di  Venezia,  dr.  Carlo  Mastelloni,  è  assai  verosimile  che  De  Felice  –  il  quale  nel 
1992  era  diventato  capo  Ufficio  Affari  Territoriali  e  Presidiari  in  ambito  Brigata  Paracadutisti  Folgore  -  abbia  svolto doppio incarico informativo, privilegiando i suoi rapporti con il Sid. Il magistrato, inoltre, ha ritenuto la testimonianza di Brogi pienamente attendibile.  
Giova  ricordare  –  perché  di  pertinenza  della  Commissione  –  che  nei  confronti  di  De  Felice  non  fu  mai  preso 
alcun  provvedimento  e  che  all’ufficiale,  contro  ogni  minimo  buon  senso,  fu  rilasciato  anche  negli  anni  successivi  il Nulla Osta di Sicurezza. Lo stesso tenente Celentano è stato identificato dalla Digos di Venezia quale Enrico Celentano, diventato negli anni succesivi generale comandante della brigata Folgore, al centro di polemiche e interpellanze per la nota vicenda del cosiddetto “Zibaldone”. 
Anche questi due episodi – forse minori – dimostrano da un lato l’organicità tra settori degli apparati dello Stato 
e neofascisti, dall’altro l’assoluta inerzia degli apparati stessi di fare chiarezza e pulizia, in questo modo recando grave 
danno e offesa all’Istituzione stessa. Che avevano cercato maldestramente di difendere. 
Sui  rapporti  tra  la  cellula  neofascista  aretina  (il  cosiddetto  gruppo  Cauchi)  i  servizi  di  sicurezza  e  la  P2 
rimandiamo al paragrafo relativo alla strage del treno Italicus. 
Parallelamente alla rete di connessioni e di contatti, nel corso degli anni, si è sviluppata anche una intensa attività 
di  copertura  da  parte  dei  servizi  in  favore  degli  estremisti  di  destra.  Il  quadro  che  i  più  recenti  accertamenti  hanno riassunto  riprendendo  le  fila  di  precedenti  istruttorie  e  approfondito  con  nuove  acquisizioni,  sgombra  il  campo dall'equivoco  nel  quale  si  incorre  allorché  si  affronta  il  tema  della  responsabilità  dei  servizi  stessi,  fino  a  svuotare  di contenuto politico la inadeguata risposta dello Stato alle minacce terroristiche, stragiste e golpiste. L’equivoco riguarda la asserita, congenita incapacità e la cronica disorganizzazione di tali apparati di sicurezza. I servizi di informazione in realtà disponevano di notizie, di elementi di valutazione, di stabili fonti di informazione e di capacità professionali per la loro valorizzazione che li avrebbero messi in condizione di dare un aiuto determinante all’autorità giudiziaria e alla polizia  giudiziaria  se  solo  questo  fosse  stato  il  reale  intendimento  con  cui  l’attività  di  servizio  veniva  svolta  e  non piuttosto  la  sua  strumentalità  a  disegni  e  progetti  politici  intrisi  dalla  teoria  della  “Guerra  rivoluzionaria”,  là  dove  si affermava  che  la  guerra  contro  il  comunismo  doveva  essere  combattuta  con  ogni  mezzo  e  che  bisognava  combattere anche quelle forze che potremmo definire espressione dell’anticomunismo democratico  le quali, per  la  loro intrinseca debolezza e ingenuità politica, avrebbero rappresentato un obiettivo ostacolo alla lotta contro la sovversione, tanto più che  alcuni  atteggiamenti  dialoganti  avrebbero  finito  con  il  legittimare  un’area  politica  la  quale,  al  contrario,  andava totalmente criminalizzata. 
Come s’è ampiamente visto, la quantità e la qualità degli ufficiali dei servizi segreti, delle forze di polizia, delle 
forze armate impegnata in questo tipo di attività è stata tale da non permettere – come è stato fatto per lungo tempo - la fuorviante  definizione  di  servizi  o  apparati  “deviati”,  che  prevederebbe  l’inaffidabilità  democratica  di  un  piccolo 
settore, rispetto ad un corpo sano. Purtroppo, negli anni della strategia della tensione, i rapporti erano inversi e la condizione per poter accedere a incarichi delicati e strategici era, appunto, l’adesione all’impianto ideologico dell’oltranzismo atlantico. Non a caso, nel corso delle vecchie istruttorie, sono stati scoperti depistaggi sistematici, coperture e connivenze con  i  terroristi  fascisti,  attività  filo-golpiste,  nonché  una  presenza  costante  di  uomini  iscritti  alla  loggia  P2.  Gli  stessi vertici  dei  servizi  segreti  o  alte  personalità  degli  altri  apparati  sono  stati  più  volte  coinvolti  –  e  talvolta  condannati  – nelle indagini sull’eversione. 
Si  può  e  si  deve  quindi  parlare  più  correttamente  di  uso  deviato  dei  servizi  segreti  e  degli  altri  apparati  dello 
Stato.  Le  coperture  per  l’espatrio  di  Giannettini  e  di  Pozzan,  le  falsità  dibattimentali  suggerite  a  Labruna,  le  risposte evasive provenienti dai massimi vertici dello stato, le produzioni documentali monche ed elusive fornite frequentemente alle più diverse autorità giudiziarie da parte dei servizi appartengono ormai alla consolidata conoscenza collettiva; ma molti altri episodi possono essere ricordati. 
Il servizio di informazione militare ha costantemente disposto di informatori e di infiltrati nei gruppi ordinovisti 
ed  in  Avanguardia  Nazionale.  La  fonte  “Tritone”,  interna  a  O.N.  di  Padova  riferì  tempestivamente  sul  contenuto  di riunioni tenute poco dopo la strage di piazza della Loggia nel corso delle quali Maggi ebbe a spiegare agli intervenuti 
come l’attentato non dovesse costituire altro che il primo passo di una programmata escalation di attentati che dovevano rendere ingovernabile il paese. 
L’istruttoria milanese ha poi portato alla luce – come vedremo meglio in seguito - il gravissimo episodio della 
chiusura, da parte del generale Maletti, della fonte Casalini (fonte “Turco” negli atti del servizio) proprio nel momento 
in cui questi  stava per “scaricarsi la coscienza”  riferendo quanto a lui noto sulle implicazioni di Freda e dei suoi negli 
attentati della primavera del 1969 a Milano e nella strage del dicembre successivo. Oltre alla intrinseca gravità di tale 
fatto, è allarmante il modo in cui l’intervento di Maletti fu reso possibile. Risulta infatti che i sottufficiali che tenevano i 
contatti  con  Gianni  Casalini  ne  informarono  il  responsabile  del  centro  CS  di  Padova,  colonnello  Bottallo,  che  non investì  l’ufficio  D  della  questione  anche  per  timore  “che  le  notizie  contenute  potessero  essere  distorte”.  Agli  atti  del centro CS non fu conservato alcun appunto, ma fu informata la polizia giudiziaria che procedette ad un ulteriore esame della fonte con la partecipazione di un sottufficiale (il brigadiere Fanciulli) della divisione Pastrengo di Milano, il quale riferì  il  contenuto  del  colloquio  con  una  relazione  al  generale  comandante  la  divisione,  relazione  che  non  fu  mai trasmessa  alla  polizia  giudiziaria  e  scomparve  dagli  atti  della  divisione,  ma  che  fu  tempestivamente  seguita,  secondo l’appunto trovato presso Maletti, dalla tassativa indicazione di chiudere la fonte124. 
La stessa cosa era avvenuta per gli accertamenti su Gelli attivati nel 1974 e bloccati perentoriamente sempre da 
Maletti,  che  ne  viene  trasversalmente  informato  dal  capitano  Tuminiello  (anch’egli  della  P2)  o  dallo  stesso  Labruna  Fino al 21 febbraio 1975 la divisione era comandata dal generale Palumbo, cui subentrò il generale Palombi che vi rimase nei primi anni della gestione attorniato dagli ufficiali che erano stati vicini al suo predecessore. 
tramite  Viezzer,  con  la  minaccia  della  restituzione  all’arma  territoriale  di  chiunque  avesse  continuato  a  svolgere 
accertamenti  sul  personaggio.  Anche  nell’episodio  della  fonte  Casalini  scatta  una  catena    di  comando  di  matrice 
piduistica  che  ha  una  sua  determinante  articolazione  nel  gruppo  di  ufficiali  che  facevano  allora  capo  alla  divisione Pastrengo. Occorre in proposito rinviare alle circostanziate dichiarazioni rese dal generale Bozzo in più sedi giudiziarie, a  Roma,  Bologna,  Venezia,  Palermo  e    tenute  in  così  scarsa  considerazione  dalla  Corte  di  Assise  che  ha  escluso  la cospirazione  politica  per  la  loggia  P2,  e  alle  affermazioni  fatte  a  suo  tempo  in  proposito  dal  generale  Carlo  Alberto Dalla  Chiesa.  L’appunto  rinvenuto  tra  le  carte  di  Maletti  si  chiude  con  l’indicazione  di  conferimento  del  compito  di “procedere”  al  capitano  Del  Gaudio  (anch’egli  piduista  e  di  sicura  affidabilità  per  Maletti)  ottenendo  così  la sterilizzazione di una importante fonte investigativa. 
Per le sue false dichiarazioni in merito all’appunto e all’incarico avuto da Maletti il capitano Del Gaudio è già 
stato condannato con rito abbreviato ad un anno di reclusione dal tribunale di Venezia all’esito dell’istruttoria nata dallo 
stralcio di parte degli atti relativi alla strage di Peteano. 
Ma sulle collusioni tra servizi segreti e gruppo ordinovista del Triveneto esistono altre acquisizioni documentali 
e  testimoniali  che  dimostrano  una  gravissima  organicità  tra  servizi  segreti  e  terroristi  fascisti,  tanto  più  gravi  se  si considera  che  la  cellula  veneta  –  come  emerge  processualmente  –  è  responsabile  della  strage  di  piazza  Fontana,  di quella dell’attentato alla questura di Milano e, stando ai documenti finora resi pubblici, probabilmente anche di quella di piazza della Loggia. 
 
Gli uomini del Sid: infiltrati dei Servizi nei gruppi della destra eversiva 
E’ stato accertato presso gli archivi del Sismi - e attraverso alcune ammissioni dirette degli interessati - che il Sid 
disponeva di diverse fonti interne al gruppo ordinovista o inserite negli ambienti della destra eversiva, senza considerare 
coloro  i  quali,  come  Carlo  Digilio  e  Marcello  Soffiati,  facevano  parte  del  gruppo  ed  erano  nel  contempo  agenti 
informativi  per  conto  degli  americani,  e  senza  considerare  l’ambigua  posizione  di  Delfo  Zorzi,  eversore  ma 
frequentatore del Viminale. Gli infiltrati del Sid erano: 
 
A) Guido Negriolli, fonte dei  Cc di  Padova facenti parte del Sid. Negriolli fu tra  i primi, dopo la  strage di via 
Fatebenefratelli, a riferire che l’”anarchico” Gianfranco Bertoli altro non era che un personaggio legato a On; 
B) Gianfrancesco  Belloni; 
C) Dario Zagolin; 
D) Gianni Casalini, fonte Turco; 
E) Maurizio Tramonte, fonte Tritone; 
F) Giampietro Montavoci, fonte Mambo126. 
 
Lo stesso Gianfranco Bertoli, autore materiale della strage del 1973, è risultato informatore del Sifar con il nome 
in codice Negro. Si vedrà oltre come il suo fascicolo sia stato manomesso per non far apparire che la sua collaborazione 
con  il  servizio  fosse  continuata  anche  negli  anni  successivi,  e  che  la  sua  permanenza  in  un  kibbutz  israeliano  sia spiegabile solo con uno scambio di favori tra servizi amici. 
Tutte le fonti hanno riferito notizie importantissime,  a lungo nascoste all’autorità giudiziaria.  Ma – circostanza 
assai più grave – si è potuto accertare che gli informatori del Sid hanno svolto anche direttamente attività terroristica. 
In pratica alcuni episodi della strategia della tensione sono stati direttamente provocati dai fascisti stipendiati dal 
Sid. Significativo  è  il  racconto  del  collaboratore  Carlo  Digilio  a  proposito  dell’attentato  al  Gazzettino  di  Venezia 
avvenuto il 21 febbraio 1978 nel corso del quale fu uccisa una guardia notturna, Franco Battagliarin. 
All’alba di quel giorno, la guardia giurata aveva notato un ordigno deposto su un gradino dinanzi alla sede del 
quotidiano,  ma  appena  egli  si  era  avvicinato  e  aveva  tentato  di  rimuovere  l’ordigno,  questo  era  esploso  uccidendolo quasi sul  colpo.  L’attentato era stato rivendicato telefonicamente da Ordine Nuovo e gli  accertamenti  tecnici avevano consentito  di  appurare  che  l’innesco  dell’esplosivo  (rinchiuso  all’interno  di  una  pentola  a  pressione  al  fine  di aumentarne  la  potenzialità  offensiva)  era  caratterizzato  dalla  presenza,  come  temporizzatore,  di  una  sveglia  di  marca Ruhla, vero “marchio di fabbrica” della struttura di Ordine Nuovo sin dai tempi degli attentati ai treni dell’agosto 1969, commessi appunto, come molti altri successivi, utilizzando orologi o sveglie Ruhla. 
Digilio ha raccontato i retroscena di quell’azione terroristica:  
“[…] parecchio tempo dopo, durante un incontro con Giampietro Montavoci sulla riva degli Schiavoni, questi, in 
un contesto di vari discorsi sulla destra, mi confessò di essere l’autore dell’attentato al Gazzettino. 
Durante  questo  incontro,  quando  Montavoci  fece  il  primo  accenno  all’episodio,  avevo  fatto  in  modo  che  si 
aprisse  ed  egli,  oltre  alla  sua  responsabilità  personale,  aggiunse  che  l’attentato  era  stato  una  ritorsione  contro  il 
Gazzettino che da tempo aveva fatto una campagna di stampa contro la destra”127.  
Dunque Giampietro Montavoci, fonte Mambo del Sid, era stato l’autore materiale di un attentato che era costato 
la vita ad una guardia notturna. 
Partecipava  ad  azioni  terroristiche  e  nel  contempo  riceveva  i  compensi  da  parte  di  un’istituzione  dello  Stato 
democratico. Anche questa vicenda deve essere  severamente stigmatizzata.  Rappresenta un’ulteriore spiegazione del perché, così a lungo, non sono stati scoperti i responsabili delle stragi e degli attentati fascisti. Tra l’altro, come è stato ricordato in più testimonianze, Giampietro Montavoci era figlio di un poliziotto. E il gruppo di On riusciva ad essere avvisato in tempo reale di eventuali perquisizioni o controlli della Questura contro i gruppi della destra. 
 
Gli uomini della Nato e il caso di Richard Brenneke 
A questo punto  è necessario un  inciso per comprendere la  “qualità” degli informatori dei Sid (e della struttura 
militare in ambito Nato) inseriti negli ambienti ordinovisti. Non si trattava, infatti, di semplici confidenti e/o provocatori 
più o meno disinvolti, ma di veri e propri agenti info-operativi, i quali agivano – con margini di autonomia – ricevendo 
precise istruzioni. Agenti che si sono mossi su scala internazionale. Infatti, dal fascicolo del Sid intestato a Montavoci è 
emerso che il fascista-informatore aveva stabilito alcuni contatti in Cecoslovacchia “anche a fini di addestramento”. 
Una circostanza che è stata in parte confermata da Digilio, il quale ha riferito di essere a conoscenza di continui 
viaggi di  Montavoci nei paesi dell’Est, segnatamente la Romania e  la Jugoslavia: “L’ufficio fa presente  a Digilio che 
Montavoci  Giampietro  risulta  dalla  documentazione  acquisita  essere  stato  informatore  del  Sid  a  partire  dal  1978, 
fornendo informazioni sugli ambienti di estrema destra di Venezia. 
Risulta anche che egli avesse contatti in Cecoslovacchia anche a fini di addestramento. 
Posso dire che non sono mai stato a conoscenza di rapporti fra il Montavoci e il Sid. Sicuramente il Montavoci 
viaggiava  molto  nei  Pesi  allora  denominati  dell’est  europeo,  sicuramente  in  Romania  e  Jugoslavia  e  probabilmente anche in altri Paesi”. 
Oltre a  Montavoci, anche uno dei capi della cellula americana,  Sergio  Minetto, aveva organizzato una serie di 
missioni all’Est europeo. Sul punto Digilio è stato molto puntuale: “Mi è venuto in mente un altro particolare proprio 
relativo alle leghe metalliche e cioè che Minetto, grazie a missioni in Cecoslovacchia presso elementi croati che stavano 
in quel Paese, era riuscito ad avere notizie circa le formule di trattamento delle leghe metalliche, attività tecnica in cui le 
industrie cecoslovacche, in particolare quelle a Brno, erano molto avanzate”129. 
Minetto, va aggiunto, era colui il quale – per conto della struttura Nato – manteneva i contatti con gli Ustascia 
croati che continuavano ad agire in Jugoslavia e in Cecoslovacchia, nonché con i fuoriusciti che avevano una loro base 
a Valencia, nella Spagna franchista. 
Quste  circostanze  rappresentano  una  clamorosa  conferma  di  quanto  a  suo  tempo  dichiarato  dall’ex  agente 
americano  (a  contratto)  Richard  Brenneke,  che  operava  avendo  la  sua  base  nel  nord-est  italiano,  il  quale  intervistato dall’inviato  speciale  del  Tg1,  Ennio  Remondino,  nel  1990  sostenne  di  essere  più  volte  andato  a  Praga  per  conto  del servizio segreto americano a rifornirsi di armi ed esplosivi destinati – se così si può dire – agli arsenali del terrorismo atlantico e dei gruppi neofascisti vicini alla P2. 
A suo tempo, la vicenda venne considerata poco credibili anche in virtù di una a dir poco burocratica smentita 
delle autorità statunitensi circa l’appartenenza di Brenneke all’intelligence degli Usa. 
E’ stato lo stesso Digilio, proprio grazie alla suo patrimonio “interno” di conoscenze, a confemare che Brenneke, 
effettivamente, era un agente americano: “(…) Posso aggiungere in questa sede che il mio superiore David Carrett, di 
cui ho già ampiamente parlato, mi disse, poco prima  il subentro al suo posto di Teddy Richards, che uno dei soggetti 
impiegati  in  operazioni  speciali  nel  nord-est  italiano    per  la  loro  struttura  era  tale  Richard  Brenneke,  che  aveva  fatto servizio in particolare a Trieste e nel Friuli fino al 1974”.  
Tutte queste circostanze stanno ad indicare non solo l’alto livello degli informatori dei diversi servizi segreti che 
hanno  operato  all’interno  delle  strutture  neo-fasciste,  ma  anche  la  loro  operatività  nell’est  europeo,  nei  campi 
d’addestramento e nel traffico di armi. Ciò dovrebbe indurre a maggior prudenza coloro i quali ritengono in maniera fin 
troppo  semplicistica,  che  la  sola  presenza  di  un’arma  proveniente  da  Est  stia  ad  indicare  in  maniera  categorica  le responsabilità degli apparati di quei paesi. 
Probabilmente  lo  scenario  è  assai  più  complesso  e  sul  punto  bisogna  aggiungere  che  poco  o  nulla  si  conosce 
sulle eventuali connivenze e/o convergenze dei servizi segreti dei due blocchi per mantenere focolai di tensione utili al 
mantenimento dello status quo nell’ambito dei due diversi schieramenti. Pur senza la pretesa di giungere a conclusioni definitive, occorre sottolineare come un approfondimento a parte meriterebbe la vicenda delle missioni ad Est, partendo proprio dall’enorme materiale fornito da Brenneke al giornalista Remondino, a suo tempo liquidato come poco rilevante sia in sede politica che dall’autorità giudiziaria. 
Per quanto riguarda la  cellula ordinovista veneta, altre  considerazioni devono essere fatte  sulla figura di  Carlo 
Maria Maggi – sotto processo per la strage di piazza Fontana e condannato in primo grado all’ergastolo per la strage di 
via Fatebenefratelli – e su quella di Delfo Zorzi. 
Il primo, Maggi, risulta dalle testimonianze molto legato a Sergio Minetto, l’ex repubblichino componente della 
rete informativa attiva presso il comando Ftase di Verona. 
Tra  l’altro,  secondo  la  testimonianza  di  Digilio,  Maggi  –  pur  non  essendo  organico  alla  struttura  –  era  a 
conoscenza del fatto che molti suoi camerati in realtà lavoravano per gli americani e, secondo una consuetudine ripetuta nel tempo, faceva conoscere in anticipo quali fossero le intenzioni del suo gruppo. 
 
La figura di Delfo Zorzi 
Delfo Zorzi, secondo numerose testimonianze, risulta legato – al pari di Stefano Delle Chiaie – all’ufficio Affari 
Riservati del ministero dell’Interno. 
Ecco  cosa  ha  riferito  l’ex  ordinovista  Martino  Siciliano:  “In  merito  alla  conoscenze  di  Delfo  Zorzi    con 
funzionari del Ministero dell'Interno, confermo innanzitutto quanto ho già dichiarato in data 5.8.1996 in relazione alle 
notizie  che  appresi  dallo  stesso  Zorzi  circa  il  fatto  che  eravamo  ‘coperti’  da  funzionari  del  Ministero  dell'Interno  in occasione  del  nostro  viaggio  a  Trieste  per  essere  interrogati  dal  Giudice  sull'attentato  alla  Scuola  Slovena.  Poiché l'Ufficio  mi  fa  il  nome  del  Viceprefetto  Sampaoli  Pignocchi  quale  contatto  di  Delfo  Zorzi  al  Ministero,  accertato giudizialmente anche  attraverso le dichiarazioni di Federico Umberto D'Amato dinanzi alla Corte d'Assise di Venezia nel  1987,  rispondo  che  effettivamente  ricordo  il  nome  Sampaoli  come  quello  di  un  funzionario  del  Ministero dell'Interno  in  contatto  con  Delfo  Zorzi;  questo  nome  mi  fu  fatto  nell'ambiente  mestrino  di  Ordine  Nuovo  non  dallo stesso Zorzi, bensì da Maggi, Molin e da Bobo Lagna. 
In  particolare  quest'ultimo  mi  fece  cenno  al  nome  Sampaoli  come  una  delle  persone  che  lui  e  Zorzi  
frequentavano a Roma allorchè anche Bobo Lagna sì era iscritto all'Università. 
Nello  stesso  contesto  Lagna  mi  disse  che  sempre  a  Roma  frequentavano  il  professor  Pio  Filippani  Ronconi, 
esperto di dottrine  esoteriche  e orientali  e di  cui Delfo Zorzi mi regalò due dispense appena pubblicate sulla filosofia 
induista […]”. 
Di particolare rilievo è, tuttavia,  la dichiarazione sui dei rapporti tra Zorzi e  il  Ministero dell’interno,  emersi  a 
proposito della  tranquillità con la quale Zorzi si era presentato ai giudici di Trieste che avrebbero dovuto interrogarlo 
sugli attentati di Gorizia e Trieste, da lui realizzati con Martino Siciliano e Giancarlo Vianello: “Io gli chiesi perché ne 
era tanto sicuro (che l’interrogatorio sarebbe stato una formalità, nda) ed egli mi rispose tranquillamente che ne aveva 
avuto la conferma a Roma nell’ambiente dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno con cui era in contatto 
e presso cui aveva ottime entrature”. 
 
Come  s’è  visto,  una  prima  ammissione  –  o  forse  allusione  –  ai  rapporti  tra  Zorzi  e  un  alto  funzionario  del 
Viminale, era stata formulata dallo stesso Federico Umberto D’Amato, nel 1987, davanti alla corte d’Assise di Venezia: 
“[…]  Una  volta  ero  andato  nell’ufficio  di  Sampaoli,  Vice  Prefetto,  capo  dell’Ufficio  Stampa  della  Direzione 
Generale  di  Polizia,  e  questi  mi  presentò  un  signore  che  era  nel  suo  ufficio,  relativamente  giovane,  come  amico  di origine veneziane, me lo presentò come Zorzi. Poi successivamente a questo incontro mi ricordai che esisteva nella mia memoria  questo  nome  collegato  ad  una  qualche  attività  ideologica  di  destra  e  per  accertarmi  della  sua  esatta collocazione chiesi se ci fosse qualche fascicolo a nome Zorzi, e debbo aver trovato una qualche conferma di un attività che  all’epoca  era  allo  stato  iniziale.  Colloco  l’incontro  al  Ministero  nel  settantuno  o  primi  anni  settanta.  Dagli  atti risultava che lo Zorzi avrebbe fatto parte di O.N […].  
Preciso che Sampaoli non ha mai avuto un rapporto funzionale e di  collaborazione col mio ufficio. Escludo però 
che fino a quando io fui Capo del Sigsi lo Zorzi abbia potuto svolgere una qualche attività informativa in favore del mio 
ufficio. Quando poi io fui interrogato dal G.I. e mi fu chiesto se mi ricordassi di un qualche tipo di rapporto che ci fosse 
stato tra Zorzi ed il Ministero io gli riferii l’episodio di cui ho già detto. Poi chiesi notizie ai miei ex colleghi e appresi 
che lo Zorzi era latitante ed emigrato all’estero. Date le funzioni che Sampaoli allora svolgeva (Capo Ufficio Stampa) il 
suo ufficio era un “salotto culturale” frequentato da giornalisti, scrittori, intellettuali, e Sampaoli era appunto un uomo 
di    particolare  cultura.  Sampaoli  e  Zorzi  parlavano  di  qualche  cosa  di  culturale  ed  in  quella  occasione  appresi,  mi sembra, che Zorzi studiava a Napoli. Quindi escluderei che tra Zorzi e Sampaoli ci potesse essere un rapporto che fosse di natura diversa da quella culturale.  Io ignoravo quale fosse all’epoca la attività dello Zorzi”. 
Nel 1971 – al di là della sua presunta partecipazione alla strage di piazza Fontana – Zorzi aveva già realizzato gli 
attentati alla Scuola slovena di Trieste e al cippo di confinte italo-jugoslavo a Gorizia. 
Ma nello stesso tempo frequentava il Viminale per “scambi culturali”. 
Altre testimonianze riguardano il ruolo di Zorzi quale elemento di contatto con ambienti istituzionali favorevoli 
al dispiegarsi della strategia della tensione. 
Una  prima,  generica,  viene  da  Carlo  Digilio,  il  quale  ha  riferito  di  alcune  confidenze  ricevute  da  Giovanni 
Ventura: “Diceva (Ventura) di avere avuto dei finanziamenti per queste attività dei Servizi da  Roma.  Mi disse che lo 
stesso ruolo di agente dei Servizi era anche di Delfo Zorzi”134. 
Oltre  a  questo  c’è  la  lucida  testimonianza  di  Vincenzo  Vinciguerra  il  quale,  molto  tempo  prima  che  le  nuove 
istruttorie sulla strategia della tensione fossero avviate, aveva scritto cose assai significative sul punto (e su molte altre 
cose) dell’ambiguo ruolo di Zorzi. 
In particolare, Vinciguerra ha riferito della proposta, a lui fatta da Maggi e Zorzi, di assassinare Mariano Rumor: 
“La proposta di Carlo Maria Maggi e Delfo Zorzi di liquidare Rumor con la garanzia che non avrei avuto problemi con 
la  scorta,  oltre  a  rivelare  una  grossolana  mancanza  di  psicologia,  dimostrò  l’esistenza  di  legami  insospettati  con 
funzionari di polizia che dovevano trovarsi a ben alto livello per poter disporre dell’omicidio di un personaggio politico 
come Rumor, assicurando la neutralizzazione o la complicità della scorta. 
La conferma venne qualche anno più tardi, quando Cesare Turco, oramai arruolato a mia insaputa nelle forze di 
polizia  dello  stato  democratico  e  antifascista,  mi  rivelò  che  Delfo  Zorzi  era  amico  di  un  altissimo  funzionario  del 
ministro degli Interni. Seduto davanti a me, con aria compiaciuta, Delfo Zorzi valutò la reazione, che fu di gelo […]”135. 
Per quanto riguarda il progettato attentato contro Rumor, la testimonianza di Vinciguerra è stata considerata del 
tutto attendibile nel corso del processo per la strage di via Fatebenefratelli a Milano. 
Naturalmente,  la credibilità complessiva di Vinciguerra non è mai stata – né avrebbe potuto  esserlo –messa  in 
discussione da alcuna autorità giudiziaria. Le provocazioni e l’inquinamento da parte dei Servizi 
Che  i servizi fossero  in possesso di altre fondamentali notizie,  cui non dettero  il  legittimo sbocco processuale, 
emerge anche e soprattutto dal documento Azzi136. In esso si fa riferimento alla attribuibilità al gruppo La Fenice (e a 
Rognoni personalmente) dell’attentato alla Coop (individuato in quello avvenuto il primo marzo del 1973) e all’idea di 
convincere  Fumagalli  e  l’avanguardista  Di  Giovanni  a  prendervi  parte,  come  pure  si  fa  riferimento  al  progetto, 
confermato  da  altre  fonti,  di  far  rinvenire  nelle  adiacenze  della  villa  di  Giangiacomo  Feltrinelli  nei  pressi  di  Casale Monferrato  una  cassetta  di  esplosivo  e  parte  dei  timers  residui  dalla  strage  di  Piazza  Fontana  per  avvalorare l’attribuibilità della strage a quell'area. La cassetta fu poi rinvenuta in una località dell’appennino ligure subito dopo il fallito attentato al treno Torino-Roma dell’aprile del 1973. 
A proposito di questo progetto,  l’ex  terrorista di destra,  Edgardo Bonazzi ha  aggiunto un particolare di grande 
interesse  e  cioè  che  tale  provocazione  era  stata  personalmente  ispirata  da  Pino  Rauti,  anch’egli  coinvolto  nelle  prime indagini  sviluppatesi  a  Treviso  e  a  Milano  sulla  strage  e  quindi  obiettivamente  interessato  ad  azioni  diversive  che creassero  difficoltà  all’istruttoria  in  corso.  In  carcere,  poi,  Bonazzi  aveva  appreso  a  seguito  delle  confidenze  di  Nico Azzi, che Pino Rauti, capo di Ordine Nuovo, era da molto tempo in contatto con i servizi di sicurezza e di conseguenza l’attività di Ordine Nuovo era in qualche modo eterodiretta. 
Dallo stesso documento sono ricavabili  indicazioni  sulle responsabilità per  l’attentato  alla scuola Italo-Slovena 
dell’aprile del 1974 (ultimo degli episodi riferiti nell’appunto e l’unico verificatosi quando Azzi era già detenuto), fatto 
per  il  quale  il  Sid  tentò  una  attribuzione  alla  sinistra,  nonostante  si  collocasse  temporalmente  in  una  fase  di  estrema tensione  tra  la  destra  locale  e  la  comunità  slovena  triestina.  Agli  atti  del  servizio  è  stato  infatti  ritrovato  un  appunto, anche  questo  di  pugno  di  Maletti,  nel  quale  egli  fa  riferimento  ad  una  “fonte  diretta  mia”  che  indica  una  matrice  di sinistra  per  l’attentato  e,  riprendendo  una  nota  pervenuta  dal  centro  CS  locale,  incarica  Genovesi  di  predisporre  un appunto in tale senso  per il direttore del servizio, consigliandone l’inoltro al Ministero dell'interno. 
 
Altro tema di estrema importanza è quello dell’opera di inquinamento e di ostacolo svolta dai gruppi eversivi e 
da  settori  dei  servizi  per  pilotare  politicamente  gli  avvenimenti  di  quegli  anni  determinando  un  deterioramento  della situazione dell’ordine pubblico così da alimentare una reazione dell’opinione pubblica nei confronti della sinistra. 
Alcuni  di  essi  sono,  allo  stato,  collocabili  tra  i  depistaggi  successivi  agli  eventi  e  destinati  ad  impedire  che 
venissero individuati i veri responsabili. 
Altri episodi invece dimostrano una volontà di precostituzione di prove a carico della opposta fazione: la strage 
di  piazza  Fontana  costituisce,  in  quest’ambito,  un  capitolo  a  se’  per  la  straordinaria  gravità  dell’evento  e  per  la 
complessità  delle  implicazioni,  ma  lo  stesso  attentato,  già  richiamato,  in  cui  rimase  ferito  Nico  Azzi  doveva  essere attribuito alla sinistra e, per  tale ragione,  era stata ostentata la copia di "Lotta continua" nella tasca dell’impermeabile dell’attentatore.  Alla  sinistra  doveva  essere  attribuito  anche  l’attentato  al  treno  Brennero-Roma,  attentato  che  doveva avvenire presso Bologna e che avrebbe dovuto determinare una situazione di panico generale destinata a sfociare in una richiesta di dichiarazione dello stato di emergenza nel corso della manifestazione della maggioranza silenziosa prevista per il 12  aprile (cinque giorni dopo) a  Milano. Lo stesso disegno - cioè la creazione di una situazione di  intollerabile allarme e la precostituzione di una situazione favorevole ad iniziative autoritarie - proseguirà peraltro con la campagna di  attentati  ai  treni  del  1974  che  avrebbe  dovuto  avere  inizio  a  Silvi  Marina  (29  gennaio  1974)  e  svilupparsi  in  un crescendo di atti delittuosi,  alcuni dei quali programmati, altri portati a  termine, che doveva tragicamente raggiungere l'acme nello attentato dell’Italicus del 4 agosto. 
E' emerso che anche l’attentato avvenuto nel novembre del 1971 e che provocò il danneggiamento delle mura di 
cinta dell’università Cattolica a Milano, doveva essere attribuito alla sinistra138. Il depistaggio istituzionale di Camerino 
Nell’ambito di una sofisticata azione di provocazione si collocò poi l’operazione di Camerino, dettagliatamente 
ricostruita sia nell’ultima istruttoria di Bologna che in quella di Milano. In quella occasione furono fatti rinvenire armi 
ed  esplosivi  unitamente  a  moduli  di  documenti  in  bianco  e  materiale  cifrato  che  ne  consentissero  l’attribuzione  ad esponenti di  sinistra,  coinvolgendo così gruppi politici di diversa provenienza geografica e  anche uno studente greco. L’operazione fu compiuta con materiale esplosivo fornito, secondo quanto affermato da Delle Chiaie, da Massimiliano Fachini, mentre i documenti ed il cifrario furono chiesti a Guelfo Osmani dall’allora tenente D’Ovidio che comandava il presidio  territoriale  dei  carabinieri  a  Camerino.  L’indicazione  che  fece  scattare    formalmente  l’operazione  di  polizia giudiziaria partì dalla compagnia Trionfale dei Carabinieri di Roma ed in particolare dal capitano Servolini. Questi rese a tal proposito al giudice  istruttore una deposizione che  lo  stesso magistrato ha severamente valutato ("si caratterizza per le contraddizioni e l’assoluta inattendibilità") mentre, secondo il racconto di Guelfo Osmani, sarebbe stato proprio l’ufficiale  a  consegnare  a  D’Ovidio,  in  presenza  dello  stesso  Osmani,  la  canna  di  fucile  poi  ritrovata  insieme all’esplosivo, alle bombolette di gas e all’altro materiale nell’arsenale. La matrice di "sinistra" del deposito fu raccolta e rilanciata  con sospetta tempestività dal giornalista Guido Paglia,  che  aveva da  non molto  lasciato  i vertici di A.N.,  e che,  in  un  articolo  pubblicato  nella  stessa  data  del  rinvenimento,  riferisce  dati  che  la  decrittazione  del  cifrario, operazione  anch’essa  di  facciata,  avrebbe  reso  disponibili  agli  inquirenti  solo  qualche  giorno  dopo.  La  vicenda  vede pesantemente  implicato  il Servizio se  è vero che tra  le carte sequestrate  al generale  Maletti nel novembre del 1980 è stata  trovata,  in  uno  degli  appunti  relativi  agli  incontri  con  il  direttore  del  servizio,  alla  data  del  7  gennaio  1973, l’annotazione, accanto alla indicazione "Eversione di sin.": "Camerino (armi dx)". Ciò dimostra la consapevolezza dei vertici del servizio della operazione di provocazione che sarebbe costata l’incriminazione di alcuni esponenti dei gruppi di  sinistra,  prosciolti  definitivamente  dalla  Corte  di  Assise  di  Macerata  solo  il  7  dicembre  del  1977.  Alla  data dell’appunto Maletti non doveva essere soddisfatto dello sviluppo degli accertamenti giudiziari tanto che l’annotazione prosegue  con  una  indicazione,  non  perfettamente  comprensibile,  ma  dalla  quale  si  capisce  la  volontà  di  inviare  un anonimo  alla  Procura  Generale  della  Repubblica  di  Ancona,  secondo  una  prassi  della  quale  le  istruttorie  relative  alla strage di Bologna , a quella di Ustica, all’omicidio Pecorelli hanno dato non edificanti esempi. 
Si noti che l’operazione non nasce da una estemporanea iniziativa della periferia, ma è nota e meticolosamente 
sorvegliata dagli uffici centrali che ne controllano attentamente gli effetti pronti ad intervenire con aggiustamenti di tiro 
e  correzioni;  l’operazione  obbedisce  inoltre  ad  un  principio  di  economicità,  ponendosi  allo  stesso  tempo  più  obiettivi ugualmente utili al servizio: dal coinvolgimento di dissidenti greci alla polarizzazione dell’attenzione sulla violenza e la pericolosità  dei  gruppi  della  sinistra  in  concomitanza  con  il  depistaggio  operato  per  la  strage  di  Peteano.  Osmani afferma  inoltre  di  aver  consegnato  anche  un  rilevante  numero  di  moduli  di  patenti  al  capitano  D'Ovidio,  moduli  poi rinvenuti  nel  deposito  di  Camerino.  I  604  documenti  consegnati  al  capitano  D'Ovidio  facevano  parte  di  uno  stock  di 4.700  moduli  rubati  al  Comune  di  Roma  il  14  maggio  1972  e  da  quello  stesso  stock  proviene  il  modulo  del  falso documento  intestato  a  Enrico  Vailati  rinvenuto  sulla  persona  di  Sergio  Picciafuoco  a  Bologna  il  giorno  della  strage. 
Questo  particolare  impone  inquietanti  interrogativi  sui  mai  chiariti  rapporti  di  Picciafuoco  con  i  Servizi  di 
informazione.