L’Ufficio R.E.I. del SIFAR, tra Confindustria e Gladio Il tentato golpe del 1964 del Generale De Lorenzo.
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PRESENTAZIONE |
Sulla traccia della relazione proposta alla Commissione Stragi, sono intervenuti numerosi giornalisti, studiosi ed uomini politici, per dimostrare che - contrariamente a quello che pretende di sostenere la Sinistra - l'impegno che si sviluppò in Italia nel dopo guerra contro il comunismo, con il sostegno dell'Occidente, fu legittimo e necessario, non limitò la nostra sovranità, né impedì il compimento del nostro sviluppo democratico: al contrario, garanti stabilità al nostro assetto democratico, scongiurando il pericolo che l'Italia diventasse un paese satellite dell'URSS.
Tra gli interventi di interesse, quello dell'amico Alessandro de Lorenzo, che ha affrontato un tema sul quale la disinformazione è stata particolarmente insidiosa: il Sifar ed il Piano Solo
Alessandro è figlio del Generale Giovanni de Lorenzo, che visse da protagonista il decennio più significativo del nostro dopoguerra. Tra il 1956 ed il I966, infatti, il Generale de Lorenzo riavestì importantissimi incarichi militari: Capo del Sifar, Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri e Capo di Stato Maggiore dell'Esercito.
Ovunque, lasciò segni profondi ed altamente positivi della sua azione di comando: in particolare, il Sifar divenne in breve tempo un efficiente strumento capace di far fronte a tutte le esigenze della guerra fredda; l'Arma ottenne l'autonomia di bilancio e poté cos' ammodernare le sue strutture e collegarle via radio con una sala operativa d'avanguardia.
Secondo le tradizioni famigliari, anche Alessandro de Lorenzo intraprese la carriera militare, ma, nel 1990, decise di lasciare il servizio attivo con il grado di colonnello dei Carabinieri, per poter liberamente contrastare la campagna disinformante e denigratoria che la sinistra aveva rilanciato a quell'epoca contro il Padre, sull'onda del caso Gladio. È stato eletto consigliere comunale di Roma alle amministrative del 1993 ed anche in questa prestigiosa sede ha offerto un contributo informato ai propri alti ideali di onestà e trasparenza.
Da allora, Alessandro de Lorenzo si batte per difendere l'onorabilità della memoria del Padre, contribuendo, cos', a ristabilire la verità dei fatti per un periodo storico di particolare importanza.
Il suo intervento al Convegno su un tema ancora cos' discusso ed attuale rappresenta un contributo di conoscenza assai importante soprattutto per la Commissione Stragi, che ne terrà sicuramente conto. Senza fare alcuna rivelazione, ma rileggendo con completezza ed obiettività le conclusioni delle varie inchieste e dei processi, Alessandro de Lorenzo ha dimostrato che le cosiddette "deviazioni" attribuite al Sifar non erano state tali, e che il cosiddetto Piano Solo non era un Piano, tanto meno eversivo, ma una bozza di studio conosciuta dai vertici militari e rimasta nella cassaforte del Comando Generale, tutelata dal segreto di Stato.
Il generale Aldo Rossi, Capo di S.M.D. all'epoca dei fatti, nel concludere la sua deposizione davanti alla Commissione Beolchini ammonì "È doveroso riconoscere che l'attività del Sifar non è solo quella di cui si è discusso. In campo Nato, il Servizio italiano è stato sempre ammirato..."
Allo stesso modo, io penso sia doveroso ricordare che del Generale de Lorenzo non si può soltanto discutere se il Piano Solo (ben noto, peraltro, a tutte le Autorità) fu - o meno - un'iniziativa personale scaturita dallo zelo del Comandante dell'Arma , e se si trattò di un piano attuabile ovvero di una bozza di studio; è doveroso ricordare anche che il suo periodo di comando fu decisivo per risollevare le sorti dell'Arma.
Quando il Generale de Lorenzo ne assunse il Comando, infatti, l'Arma versava in uno stato di crisi assai grave, ben nota anche agli organi di informazione. Il morale dei militari era seriamente depresso, e la capacità operativa dei comandi territoriali si esplicava essenzialmente nell'attività informativa; pochissimi erano gli automezzi disponibili per il servizio d'istituto, per giunta con chilometraggio mensile limitato, per cui la vigilanza nei centri abitati e nelle campagne veniva eseguita a piedi od in bicicletta.
Tali limiti non derivavano da difficoltà di bilancio dello Stato, ma riflettevano una chiara volontà politica: agli inizi degli anni Cinquanta, il Capo della Polizia, Giovanni Carcaterra, ed il Comandante dell'Arma, generale Morosini, avevano stabilito - e non certo di loro iniziativa - un accordo sulle rispettive competenze: la Polizia avrebbe operato sui centri più importanti mentre la giurisdizione dell'Arma sarebbe stata limitata ai piccoli centri ed alle campagne.
Anche se non tutti gli Ufficiali rispettarono in pratica tale accordo, agli inizi degli anni sessanta, tuttavia, le grandi operazioni di polizia giudiziaria erano riservate alla Pubblica Sicurezza ed anche per il servizio di ordine pubblico l'intervento dei Carabinieri si limitava alle sole emergenze.
In poche parole, quando il Generale de Lorenzo ne assunse il Comando, l'Arma stava avviandosi a diventare un corpo di polizia campestre.
Appena insediatosi, il Generale de Lorenzo effettuò un'ispezione per tutte le legioni, si rese conto dell'estrema povertà di mezzi con i quali l'Arma era costretta ad operare e puntò subito alla soluzione; intuì che, per affrancarsi, l'Arma avrebbe dovuto gestire direttamente - e non tramite il Ministero - i fondi stanziati per le sue necessità.
Così, dopo pochi giorni dal suo arrivo, il generale de Lorenzo chiese che fosse riconosciuta all'Arma l'autonomia amministrativa e di bilancio.
La richiesta fu subito accolta (dando origine alla c.d. 'legge de Lorenzo' e nel volgere di poco tempo l'Arma fu potenziata come per un miracolo: centinaia di nuove caserme furono acquisite per i comandi territoriali; migliaia di vetture vennero assegnate ai vari reparti; furono costituiti i nuclei radiomobili dotati delle velocissime "gazzelle" e collegati per ponte radio su tutto il territorio nazionale; sorsero i centri elicotteri, ippico, elettronico e di investigazioni scientifiche; fu istituita una sala operativa, collegata a tutti i reparti dell'Arma. Inoltre, i Carabinieri lasciarono la triste divisa kaki adottata nel dopoguerra, e ripresero la loro tradizionale uniforme di panno turchino guarnita di rosso, anche per i servizi esterni.
Qualcuno potrà dire che tutto questo fu l'uovo di Colombo.
Dobbiamo, invece, chiederci cosa sarebbe stato dell'Arma se il Generale de Lorenzo non avesse preso certe iniziative.
Se la 'Storia è narrazione obiettiva di tutti gli eventi, dobbiamo ricordare tutto, in maniera imparziale e completa: la disinformazione uccide non solo con la menzogna, ma anche con il silenzio.
L'ALLEANZA SOCIALE ITALIANA, che ho l'onore di presiedere, è lieta di presentare una sintesi dell'intervento di Alessandro de Lorenzo, contributo di chiarezza e di verità storica.
Roma, 21 luglio 1997
Avv. Francesco Caroleo Grimaldi
Presidente
PREMESSA |
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Ma per certi giornalisti e certi 'storici' quei documenti sembrano non esistere: la disinformazione continua ed oggi minaccia di inquinare persino le conclusioni della Commissione Stragi, che si propone di esprimere un giudizio storico-politico globale sui primi quarant'anni di storia della Repubblica italiana.
Contro questa manovra io insorgo come figlio, come ufficiale e come cittadino, esigendo che il diritto di critica venga esercitato correttamente, esaminando, cioè, e vagliando tutte le testimonianze e tutti i documenti che sull'argomento sono stati acquisiti.
Ci sarebbero alcuni quesiti da porsi, ai quali l'opinione pubblica sollecita sicuramente una risposta: perché dopo trent'anni i "fascicoli" del Sifar continuano ad essere evocati come esempio di spionaggio politico, mentre nessuno ricorda che in Italia ha sempre funzionato - ufficialmente e senza suscitare scandalo - un casellario politico centrale?
Perché nessuno tiene conto del fatto che le bozze del cosiddetto 'Piano Solo' e di certi allegati non furono occultate, o distrutte (come sarebbe stato logico se si fosse trattato di un progetto eversivo), ma rimasero custodite nella cassaforte del Comando Generale e del Ministero della Difesa anche dopo che il generale de Lorenzo lasciò il servizio attivo?
Perché i partiti di centro-sinistra non hanno mai consentito che si indagasse sulle responsabilità politiche per i fatti del 1964 e per le cosiddette deviazioni del Sifar, così come il generale chiese più volte in parlamento, anche mediante un disegno di legge?
E per quale ragione, in definitiva, la figura del generale de Lorenzo fu criminalizzata a fine degli anni Sessanta, poi riscattata, ed oggi è nuovamente bersaglio di calunnie?
Certo, il generale de Lorenzo costituiva a quell'epoca un obiettivo "pagante", un simbolo, ed - al tempo stesso - un ostacolo per quanti volevano mano libera nella piazza e nella conduzione di certi traffici con l'industria militare; toglierlo di mezzo, per questi ambienti, era diventata una necessità.
Ma non si tratta solo di questo; ho motivo di ritenere che in certi ambienti - pur sapendo che non ci furono deviazioni, né golpe - si voglia continuare ad utilizzare il Sifar, il Piano Solo e la figura del generale de Lorenzo, come simboli, per indicare metaforicamente od alludere a vicende e sistemi, che, in ogni caso, si erano instaurati - per volontà politica, ovviamente - prima che mio Padre assumesse certi incarichi e perdurarono nei tempi successivi degenerando, anzi, ai giorni nostri.
Inoltre, in quegli ambienti si finge di ignorare un dato fondamentale che sfugge a quanti non vissero quelle vicende: durante gli "anni bui" del Sifar non ci furono stragi, né tensioni. Quelle strategie cominciarono dopo, quando il Sifar era stato smantellato ed il generale de Lorenzo aveva lasciato da tempo ogni comando.
Mi sembra un rilievo, questo, particolarmente significativo per la Commissione Stragi e per quanti cercano di scrutare nei cosiddetti "misteri" d'Italia.
Alessandro de Lorenzo
I° - IL SIFAR NEGLI ANNI DELLA GUERRA FREDDA
1. Brevi cenni storici
Il SIFAR - Servizio Forze Armate Italiane - fu istituito quattro anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel 1949, con il compito di ricercare informazioni sul potenziale bellico degli Stati stranieri e di neutralizzare l'attività informativa nemica, mediante la tutela del segreto militare e del potenziale bellico nazionale.
Dopo una prima fase di organizzazione che si concluse verso il 1952, con lo sviluppo della guerra fredda il SIFAR venne potenziato di anno in anno; il mondo era stato diviso in due blocchi contrapposti, e l'Italia ?schierata con il blocco dei Paesi occidentali? assunse un'importanza strategica di grande rilievo nello scacchiere europeo.
Ovviamente, la nostra collocazione politico-militare aveva come conseguenza principale la sua contrapposizione al blocco dei Paesi dell'Est, al COMUNISMO, cioè, al pericolo che esso rappresentava per i paesi dell'Europa occidentale.
La conseguenza più immediata e diretta di questo ruolo fu l'adozione di una serie di misure di sorveglianza e di discriminazione nei confronti del Partito Comunista Italiano, che era considerato ?a ragione? la "quinta colonna" dell'Unione Sovietica in Italia.
Tali misure furono disposte dalle Autorità di Governo e vennero attuate, soprattutto dal Sifar, di concerto con altri uffici collegati della NATO.
Non erano misure immotivate: nell'immediato dopo guerra, il PCI aveva tenuto in piedi il suo APPARATO PARA-MILITARE (quello che qualcuno ha definito GLADIO ROSSA), costituito da oltre 200 MILA uomini armati di tutto punto; una minaccia gravissima per la sicurezza interna.
Certo, le misure discriminatorie nei confronti di un partito politico rappresentato in Parlamento, mal si conciliavano con l'articolo 3 della Costituzione; e di quell'equivoco, di quella ambiguità, eravamo tutti consapevoli, ma nessuno osava mettere in dubbio ?a quel tempola necessità di controllare che il PCI non cedesse a tentazioni rivoluzionarie. Si sostiene oggi, con accenti di accusa e persino di rammarico, che il controllo del SIFAR sul PCI era eseguito per direttiva degli USA e limitò il compimento dello sviluppo democratico" dell'Italia; lo sviluppo, cioè, del PCI, che ci avrebbe portato nell'area dei Paesi dell'Est, alle dirette dipendenze dell'Unione Sovietica. La caduta del muro di Berlino e lo sfacelo dei Paesi comunisti ci dimostrano oggi quanto abbia perso l'Italia rimanendo nella NATO e nell'area dei Paesi occidentali. Indubbiamente, il SIFAR costituiva l'organismo più efficiente ed attivo per scongiurare il pericolo comunista; le attività che esso svolgeva a questo scopo erano invisibili e tendevano a prevenire, anzitutto, che attivisti del PCI si infiltrassero nei punti vitali dell'apparato dello Stato, soprattutto nelle FF.AA. Il PCI sapeva di questa sorveglianza e raccomandava ai suoi giovani iscritti di comportarsi in maniera irreprensibile durante il servizio militare, e di far tesoro di tutti gli insegnamenti che sarebbero stati loro impartiti per diventare buoni combattenti. Quelle cognizioni - spiegavano i dirigenti comunisti - sarebbero potuti servire, un giorno, per combattere contro gli eserciti capitalisti, esercito italiano compreso.
2. La prima campagna di stampa contro il SIFAR e la Commissione Beolchini.
Fino a metà degli anni Sessanta, le cose andarono lisce, a parte qualche protesta contro la discriminazione, che i partiti di sinistra (soprattutto il PCI) sollevavano talvolta sulla stampa ed in parlamento. Nell'autunno del 1965, si registrò un fatto nuovo: un settimanale diretto dal senatore Ferruccio Parri, L'ASTROLABIO, cominciò a pubblicare alcuni articoli accusando il SIFAR di svolgere spionaggio politico e di aver deviato, perciò, dai compiti istituzionali. Gli attacchi e le polemiche si svilupparono immediatamente dopo su altri organi di stampa collegati, e determinarono la sostituzione del Capo Servizio, generale ALLAVENA, e lo 'scioglimento' del SIFAR, che fu disposto con una circolare del 25/6/1966. Erano segni premonitori. Nel volgere di pochi mesi, nel servizio segreto italiano cambiò tutto: nome (il Sifar diventò SID), quadri ed orientamenti. Con il 1966, per evidente volontà politica, ovviamente, il nostro servizio segreto considerò cessato il pericolo comunista e nei confronti del PCI - gradatamente, ma definitivamente - caddero tutte le misure discriminatrici, che erano state adottate nei suoi confronti all'inizio della guerra fredda. Il generale ALLAVENA fu sostituito dall'ammiraglio HENKE, che, appena insediatosi, chiese in visione alcuni fascicoli riguardanti uomini politici e generali. Alcuni di quei fascicoli non furono rintracciati, perché - seguendo una vecchia prassi - il generale ALLAVENA li aveva distrutti al momento di lasciare la carica. Ed allora, fu propalata la notizia che il SIFAR aveva schedato tutti gli italiani, ed alcuni organi di stampa ?schierati su tali posizioni? innescarono una serie di autentiche 'bombe ad orologeria'. Obiettivamente, l'episodio dei fascicoli 'spariti' non aveva in se, alcuna rilevanza e, difatti, i fascicoli furono tutti ricostituiti, rintracciando gli atti esistenti negli uffici periferici del Servizio. Ma gli attacchi de L'ASTROLABIO proseguirono e raggiunsero la loro punta più elevata nel 1967, quando furono fatte esplodere due 'bombe', che erano state innescate da diversi mesi: la prima scoppiò nel gennaio 1967, allorché dalla stampa le critiche e gli attacchi si spostarono in parlamento ed il Ministro della Difesa, Tremelloni, istituì una singolare commissione di inchiesta presieduta dal generale Beolchini, per accertare (od inventare) quali "deviazioni" si potessero addebitare al Sifar. Secondo la PROPOSTA DI RELAZIONE del senatore Pellegrino (pag. 8) "può ritenersi certo quanto risulta dalla relazione Beolchini", ovverosia, che il SIFAR deviò dai suoi compiti istituzionali, a causa delle schedature illegali e della c.d. proliferazione dei fascicoli.
Non é così.
Anzitutto, va ricordato che fino al 1965 non esisteva alcuna normativa che delimitasse i compiti e le attribuzioni del Sifar; di conseguenza, non si poteva assolutamente sostenere che occupandosi di questioni politiche, il Sifar 'deviava' dai suoi compiti istituzionali.
Questo dato fu riconosciuto dalla stessa Commissione Beolchini (pagg. 64/65) per cui il P.M. ?nel processo de Lorenzo contro Corbi? si chiese come si potesse "affermare che quel Servizio avesse (abbia) degenerato".
In secondo luogo, va rilevato che la Commissione Beolchini fu istituita illegittimamente (tra l'altro non fu nemmeno registrata alla Corte dei Conti) ed agì esorbitando dai compiti che le erano stati assegnati (pagg. 37/38).
Infine, il suo presidente, il generale Beolchini, nutriva notoriamente sentimenti di ostilità nei confronti del generale de Lorenzo ed il Tribunale di Roma convenne che in una situazione del genere non potevano essere garantite le dovute condizioni di obiettività.
Per completezza di esposizione, nel paragrafo che segue vengono sintetizzati gli aspetti più significativi dell'inchiesta.
2. a) I lavori della Commissione
A causa dei presupposti prima ricordati, nel corso dell'indagine prevalse il risentimento personale sul dovere di accertare la verità e, perciò, l'obiettivo centrale dell'inchiesta divenne, di fatto, l'emarginazione del generale de Lorenzo dall'area militare; la Commissione Beolchini si comportò come un plotone di esecuzione.
Alla Commissione Beolchini era stato affidato il compito di accertare:
- le cause che avevano determinato la "sparizione" dei fascicoli, denunciata dall'ammiraglio HENKE;
- l'origine dei fascicoli e l'uso che era stato fatto dalle informazioni raccolte.
Ma la Commissione considerò tali compiti come un semplice spunto e non come il fine delle indagini, che si diressero verso un solo obiettivo: l'emarginazione del generale de Lorenzo.
La Commissione Beolchini ascoltò più di sessanta persone e la massima parte delle domande loro rivolte riguardavano fatti e situazioni che nulla avevano a che fare con lo scopo dell'indagine disposta dal Ministro. Tra l'altro, la Commissione pretese di indagare persino su questioni riguardanti l'organizzazione del SIFAR, l'impiego del personale e le "rapide" carriere di taluni ufficiali. Cercò di conoscere addirittura quali rapporti erano intercorsi tra taluni ufficiali del SIFAR ed alcuni presunti loro collaboratori e si cercò di stabilire quali fossero state le rispettive 'contropartite'. Per tutti, ricorderò le domande sui rapporti tra il gen. ALLAVENA capo del SIFAR, ed il dr. SPALLONE, medico di TOGLIATTI (Relazione Beolchini, verbale seduta 14/3/1967, pag. 7, all. n. 63).
Gli interrogatori furono svolti in maniera vessatoria e numerosi ex collaboratori del generale de Lorenzo furono illegittimamente colpiti da sanzioni disciplinari, perché colpevoli di reticenza.
Furono sentiti anche lo stesso gen. de Lorenzo e l'ex Capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Aldo ROSSI, da cui dipendeva istituzionalmente il SIFAR. I due ufficiali risposero a tutte le domande senza alcuna riserva e - di propria iniziativa - fecero dei significativi ed incontestabili rilievi di fondo, che sono stati ignorati dalla stampa e ?quel che più conta? dalla stessa proposta di RELAZIONE del senatore Pellegrino (vedi allegati alla Relazione Beolchini)
In particolare, il generale de Lorenzo fece rilevare che la Commissione aveva svolto un'inchiesta assolutamente illegittima e fuori dall'ambito stabilito dal Ministro (verbale seduta 15/3/1967 pag.4).
Il generale Rossi, già Capo di Stato Maggiore della Difesa e superiore diretto del generale de Lorenzo, volle premettere che il Servizio Informazioni militare si era trovato altre volte nella necessità di occuparsi di questioni politiche e che "la collocazione dell'Italia della NATO comportava la necessità di conoscere tutto dei settori vitali del Paese" (verbale seduta 16/3/1967).
Inoltre - precisò il gen. Rossi con estrema fermezza ed onestà - molte attività del SIFAR erano state svolte per ordine dei superiori della scala gerarchica, Capo dello Stato, Presidente del Consiglio, Ministro della Difesa.... (all. n. 64 alla Rel. Beolchini, pag. 7/8).
E potrei continuare a lungo, dimostrando - tra l'altro - che il Sifar era stato riconosciuto dagli alleati il miglior Servizio Informazioni della Nato, quello che produceva di più spendendo di meno.
Risultanze di tal genere provocavano evidenti motivi di imbarazzo nella commissione Beolchini e negli ambienti politici interessati; pertanto prima che la commissione concludesse i lavori il Ministro della Difesa, Tremelloni, incaricò il consigliere Lugo - persona di sua fiducia e membro della stessa Commissione Beolchini - di convincere il generale de Lorenzo a dimettersi spontaneamente dalla carica di capo di S.M.E. in cambio di un incarico diplomatico.
2. b) Tentato ricatto in nome del Ministro
Il consigliere Lugo si presentò dal generale de Lorenzo a nome del Ministro della Difesa, annunciandogli che dagli accertamenti della Commissione erano emerse a suo carico gravi (quanto imprecisate) responsabilità. Era una maniera per tentare di mettere il generale in una situazione di difficoltà.
La Commissione stava per chiudere i lavori.
"Se si dimette - gli disse Lugo senza mezzi termini - Lei sarà nominato ambasciatore".
II generale de Lorenzo, certo di avere la coscienza a posto, respinse con fermezza ogni blandizia e minaccia, rifiutò l'offerta e registrò il colloquio su nastro magnetico.
Fallito il tentativo del Consigliere Lugo, il giorno successivo, volle provarci personalmente il Ministro della Difesa; Tremelloni convocò il generale de Lorenzo nel suo gabinetto e gli rinnovò la proposta, ma ne ricevette un nuovo rifiuto.
Lo stesso giorno, il Consiglio dei Ministri destituì il generale de Lorenzo dalla carica di Capo di Stato Maggiore.
Quali responsabilità aveva contratto il generale de Lorenzo?
In sostanza, una soltanto: quella di non essersi tolto di mezzo per lasciare campo libero a quanti volevano acquistare carri armati che egli aveva considerato non adatti alle esigenze dell'esercito italiano e di concludere altri affari del genere, "con procedure poco chiare".
Ma questo è un altro discorso e se ne tratterà presto in un'altra sede. Qui mi limiterò a ricordare che il generale de Lorenzo quegli illeciti progetti li denunciò anche in Commissione Difesa (Carnera Deputati, 29/1/1969) precisando che egli si era opposto all'acquisto di materiali costosi e non idonei alle esigenze operative italiane.
In sostanza una "TANGENTOPOLl" ante litteram.
2. c) Sul ricatto, il segreto di Stato
Torniamo al colloquio de Lorenzo/Lugo.
Il generale de Lorenzo, dunque, registrò quella ricattatoria conversazione e ne depositò il nastro magnetico con relativa trascrizione alle Commissioni che indagarono sui fatti e persino al Tribunale.
C'erano tutti gli elementi per incriminare il consigliere Lugo del reato di tentata estorsione ed altro, ma non accadde nulla di simile. Al contrario. Nonostante costituisse la prova incontestabile di un gravissimo reato commesso su mandato del Ministro della Difesa, il colloquio de Lorenzo/Lugo fu addirittura coperto dal segreto di Stato, non certo per tutelare la sicurezza dello Stato, ma per garantire l'impunità del consigliere Lugo, della Commissione Beolchini e dello stesso Ministro della Difesa.
Quel singolare segreto di Stato venne rimosso soltanto nel 1990!
Incidentalmente, debbo ricordare che questi fatti - dopo la rimozione degli 'omissis' - divennero nel 1990 di pubblico dominio e sono stati considerati anche in una seduta della Commissione Stragi, durante la quale l'onorevole Macis rimarcò il tentativo di ricatto effettuato (sia pure con una "pistola scarica") dal consigliere Lugo nei confronti del generale de Lorenzo.
Ma la Commissione Stragi non andò oltre.
Auspico che il Senatore Pellegrino. attuale Presidente della Commissione Stragi. disponga al riguardo i dovuti approfondimenti, non soltanto sulla relazione. ma sugli allegati di tutte le commissioni che indagarono sul Sifar.
3. Le conclusioni della Commissione Beolchini
Il tentato ricatto nei confronti del generale de Lorenzo poteva essere interpretato in un modo soltanto: la Commissione Beolchini aveva cercato in tutti i modi di creare nei confronti del generale de Lorenzo responsabilità insussistenti, ma al momento di concludere, si trovava in mano un pugno di mosche.
Per demonizzare la figura del generale e toglierlo di mezzo, la Commissione Beolchini trasse conclusioni arbitrarie, inique e contraddittorie, enfatizzando un argomento suggestivo quanto infondato, quello riguardante la legittimità dell'impianto dei fascicoli e della cosiddetta schedatura generalizzata.
Si fece riportare dagli organi di informazione la notizia che il Sifar era arrivato ad impiantare 157.000 fascicoli, una cifra, questa che per un Paese come l'Italia non poteva indicare un fenomeno di schedatura generalizzata. Oggi, poi, una tale cifra è assolutamente irrilevante ove si consideri che ? secondo una nte inchiesta, tra fascicoli e schede riconducibili alle attività informative varie? in Italia se ne contano più di 250 milioni. Contro ogni obiettiva risultanza di fatto e di diritto, la Commissione Beolchini affermò che il SIFAR aveva deviato dalle sue finalità istituzionali soltanto a partire dal 1956, da quando, cioè, il generale de Lorenzo ne assunse il comando. Al tempo stesso, però, la Commissione riconosceva ?contraddicendosi? che l'attività del SIFAR non era disciplinata e che in mancanza di un chiara e definita normativa era difficile stabilire quali potessero essere i suoi limiti (Rel. Beolchini, 42/52).
Ed allora, non si comprende come sulla base di siffatte premesse, la Commissione Beolchini abbia poi potuto affermare che nell'attività del SIFAR erano state riscontrate deviazioni dai compiti istituzionali (ibidem, pag.20/23 Relazione Beolchini), se tali compiti non erano stati dettagliatamente precisati.
Un rilievo, questo, che sarà formulato - come abbiamo già visto, pag.7 - dal PM di udienza, durante il processo scaturito dalla seconda querela del generale de Lorenzo contro il settimanale l' Espresso.
Infine, nonostante le chiare risultanze emerse in proposito, la Commissione non volle riconoscere esplicitamente che delle notizie contenute nei fascicoli nessuno aveva fatto uso illecito; al contrario, creò artificiosamente nel Paese un clima di allarme e di diffidenza, che collocò il SIFAR in una pessima luce e ne segnò la fine.
4. Il segreto di Stato, a favore di chi?
Ebbene, vogliamo chiederci perché tali dichiarazioni furono coperte con il segreto di Stato e non furono menzionate ?neppure per estrattonella relazione finale della Commissione Beolchini?
E vogliamo chiederci, anche, per quale ragione - dopo la loro desegretazione - si continua ad ignorarne il contenuto complessivo e se ne utilizzano - in maniera disinformante - solo taluni passaggi, avulsi dal loro contesto?
Questa domanda io la rivolgo ai saggisti, agli storiografi, e, soprattutto, al senatore Pellegrino, Presidente della Commissione Stragi, che si è assunto il lodevole compito di riscrivere la storia dei primi cinquant'anni della Repubblica.
5. La Magistratura "archivia" la Relazione Beolchini
Le conclusioni della Commissione Beolchini furono vagliate dalla Magistratura di Roma.
Il Procuratore Generale - che seguiva la questione a causa della campagna di stampa che si sviluppava sempre più vivacemente sugli "abusi" del SIFAR - nel gennaio 1967 chiese al Ministro della Difesa di inviargli una copia della Relazione Beolchini, non appena fosse stata redatta.
Nel frattempo, esaminò come testi il nuovo capo del Servizio, l'ammiraglio Henke, alcuni giornalisti, nonché l'ex Presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi.
Allorquando ricevette la copia della Relazione Beolchini, il Procuratore Generale, svolse i suoi accertamenti e trasse le seguenti conclusioni:
a) i fascicoli "scomparsi" erano stati eliminati legittimamente dal generale Allavena, che non poteva, perciò, essere perseguito penalmente (pag.3/4 delle richieste del Procuratore Generale);
b) l'impianto dei fascicoli non ebbe origine con il generale de Lorenzo, ma sin da quando il SIFAR fu istituito.
In proposito, rilasciò dichiarazioni circostanziate soprattutto l'ex Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi;
c) nessun abuso era stato ravvisato, né nel fatto dell'impianto dei fascicoli e neppure nell'utilizzazione del loro contenuto.
Il giudice istruttore, dr. Giovanni Moffa, accolse le richieste del procuratore generale ed archiviò il procedimento con decreto 1/12/1967.
In conclusione. la Magistratura non rilevò alcun illecito nelle attività del SIFAR e tanto meno nei confronti del generale de Lorenzo.
Se non si vuol fare della DISINFORMAZIONE, Si può ignorare una tale decisione della Magistratura ed affermare ancora che le schedature del Sifar erano illegali?
Mi auguro che il Presidente Pellegrino voglia disporre l'acquisizione della "sentenza Moffa" agli atti della Commissione per le conseguenti valutazioni in relazione al giudizio espresso a pag. 80/81 della sua PROPOSTA DI RELAZIONE
1. -La campagna di stampa de L'ESPRESSO
La seconda "bomba ad orologeria" esplose il 10 maggio 1967, pochi giorni dopo che il generale de Lorenzo era stato illegittimamente destituito dalla carica di Capo di Stato Maggiore dell'Esercito.
Il settimanale L'ESPRESSO- riprendendo certe voci che erano circolate (e smentite!) tre anni prima- con l'aria di fare una rivelazione sensazionale, pubblicò un servizio dal titolo "FINALMENTE LA VERITÀ SUL SIFAR - 14 LUGLIO 1964 - COMPLOTTO AL QUIRINALE - SEGNI E DE LORENZO PREPARAVANO IL COLPO DI STATO".
Il generale de Lorenzo preparò subito una smentita, ma "qualcuno" tentò di dissuaderlo, spiegandogli che l'obiettivo non era lui. Il generale non cedette e fece pubblicare la smentita. L'Espresso proseguì in quella campagna, evidentemente programmata, e pubblicò altri articoli sullo stesso tema, sostenendo che - secondo confidenze riferite da due colonnelli dell'Arma - nell'estate del 1964 sarebbero state tenute delle riunioni al Comando Generale, per organizzare un colpo di Stato.
Per individuare gli ufficiali citati dal giornalista, il Comandante Generale dell'Arma, affidò subito al generale Giorgio MANES l'incarico di svolgere un'indagine.
Dopo un mese, il gen. MANES presentò il suo RAPPORTO premettendo di non essere riuscito ad identificare gli ufficiali che avrebbero fatto confidenze a L'ESPRESSO e "segnalando" che era riuscito, però, a "scoprire" che al Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri alcuni elementi del SIFAR avevano distribuito delle "liste" di persone pericolose da arrestare in determinate circostanze per prevenire perturbamenti dell'ordine pubblico.
Inoltre, il generale Manes segnalò di aver acquisito la testimonianza su alcune riunioni dei Capi di S.M. delle Divisioni, tenutesi al Comando Generale sul problema dello ordine pubblico nella primavera del 1964.
2. -Querele contro L'ESPRESSO. condanna dei giornalisti
Il generale de Lorenzo considerò diffamatorie le notizie pubblicate da l'ESPRESSO e sporse querela contro i giornalisti Eugenio Scalfari e Lino Jannuzzi.
Nel corso del processo -lungo e meticoloso- furono valutati anche la Relazione Beolchini, la "sentenza Moffa" ed il cosiddetto "RAPPORTO MANES". Il processo, perciò, fu un'occasione per valutare non soltanto l'accusa di tentativo di colpo di Stato, ma tutte le problematiche connesse all'attività del SIFAR, ai suoi rapporti con l'Arma dei CC. ed alla legittimità di certe iniziative adottate nel 1964 in materia di ordine pubblico.
Mi limito a riportare qui alcuni giudizi espressi in sentenza dal Tribunale:
a) - sulla Commissione Beolchini
Dopo averne individuato la categoria giuridica, "Commissione di Inchiesta che nulla ha di giurisdizionale") il Tribunale rilevò che il generale Beolchini era stato nominato Presidente "in spregio al criterio dell'imparzialità", stante il suo ben noto disaccordo con il generale de Lorenzo.
"Conclusioni", quelle della Commissione Beolchini, di scarso valore, alle quali "deve disconoscersi piena efficacia probatoria..." perché prive dell'indicazione degli "specif ci elementi in base ai quali esse furono adottate";
b) - sul 'Rapporto Manes'
Il c.d. 'Rapporto Manes' è stato oggetto nel tempo di diverse, arbitrarie, interpretazioni, ma -lungi dal costituire la prova del tentativo di un colpo di Stato- il Tribunale di Roma lo giudicò come la dimostrazione che nessuna misura eccezionale fu adottata nell'estate 1964, bensì soltanto "legittime misure cautelative per fronteggiare eventuali turbamenti dell'ordine pubblico".
Quanto alla fondatezza delle accuse contro il generale de Lorenzo, in merito all'organizzazione di un "colpo di Stato", il Tribunale censurò duramente L'ESPRESSO, nei seguenti termini: "L'attenta, minuziosa verifica di tutte le risultanze processuali impone una sola conclusione e cioè che non una delle affermazioni contenute negli articoli ha mai avuto concreto fondamento di verità".
"Falsità consapevoli - prosegue la sentenza - e certamente preordinate per un illecito scopo che, ad esser benevoli, può individuarsi nell'intendimento degli imputati di condurre una clamorosa campagna di stampa innestandola sullo "scandalo" del SIFAR, che andava incamminandosi sulla via del ridimensionamento e della definizione".
"Può quindi - conclude la sentenza di condanna - il Tribunale in piena scienza e coscienza affermare che gli imputati intenzionalmente e consapevolmente montarono una scandalosa e scandalistica campagna di stampa, ben conoscendo la falsità dell'assunto che intendevano accreditare presso l'opinione pubblica", contro il generale de Lorenzo.
"Conclusioni, le predette, a cui il Collegio è pervenuto a seguito dell'esame critico doverosamente spinto in profondità, secondo criteri di obiettiva analisi di tutte le risultanze... sulle quali non ha mai pesato, neppur minimamente il segreto militare opposto dalla competente autorità..."
3. -Commissione Lombardi e Commissione Parlamentare d'Inchiesta
Dopo la sentenza pronunciata il 1 marzo 1968 dal Tribunale di Roma contro i giornalisti de l'Espresso, l'ipotesi di un tentativo di colpo di Stato ordito nella primavera-estate del 1964 fu poi vagliata dalla c.d. Commissione Lombardi, istituita nel gennaio 1968 mentre era ancora in corso l'istruttoria dibattimentale per la querela de Lorenzo contro l'Espresso.
La Commissione Lombardi concluse escludendo "che le predisposizioni e le iniziative assunte nella primavera-estate 1964 avessero il fine e l'attitudine e dell'effettuazione di un colpo di Stato"
Qualche mese dopo, l'argomento fu oggetto di nuova verifica davanti al Tribunale di Roma, nel corso del procedimento relativo alla seconda querela sporta dal generale de Lorenzo contro i giornalisti Corbi e Gregoretti de L'ESPRESSO. Tra gli altri testimoni depose il gen. Lombardi, che confermò le conclusioni contenute nella sua relazione, con le quali si escludeva che il c.d. Piano Solo tendesse ad un colpo di Stato.
Nel corso della sua deposizione, il generale Lombardi dichiarò testualmente: "ho visto il Piano Solo e lo ho studiato a fondo... era rappresentato da tre fascicoli... i piani delle tre derisioni (che) sono andate a finire nella cassaforte del Comando Generale.
"Questi piani non erano al momento attuabili praticamente... perché erano basati sul richiamo dal congedo di personale richiamo che non era attuabile per mancanza di leggi..
I piani erano stati redatti in bozza".
Il 27 gennaio 1970, lo stesso giorno in cui il generale Lombardi deponeva davanti al Tribunale, il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri (vedi lettera riprodotta a pagina 12) comunicava al Tribunale stesso che "gli elaborati del c.d. piano Solo sono da considerarsi di vietata divulgazione" e perciò non potevano essere inviati secondo quanto il collegio aveva richiesto.
Tale comunicazione appare obiettivamente decisiva, al fine di dissipare ogni sospetto sulle responsabilità del generale de Lorenzo: se il Comando Generale, infatti, custodiva quelle bozze in cassaforte, considerandole coperte dal segreto nell'interesse della sicurezza dello Stato, è evidente che non poteva trattarsi di un'iniziativa personale del generale de Lorenzo, tanto meno illecita.
Il Tribunale depositò la sentenza il 13 novembre 1970, concludendo sul punto:
"Il tribunale deve dire di non avere prove per affermare che il Piano avesse uno scopo diverso dalla sua etichetta di tutela dell'ordine pubblico in caso di gravi perturbamenti" (sent. cit. pag. 127)
Siccome neppure questa conclusione parve sufficiente, fu istituita una Commissione Parlamentare di Inchiesta, in seguito ad una serie di proposte avanzate da diverse parti politiche.
Tra i proponenti c'era anche il generale Giovanni de Lorenzo (che nel frattempo era stato eletto deputato), con un disegno di legge che conferisse alla commissione il compito di indagare non soltanto sul c.d. Piano Solo, ma anche sulle attività del Sifar. Contro tale proposta reagirono i partiti di centro-sinistra e l'on.le de Lorenzo denunciò la manovra in commissione difesa della Camera (seduta 29 gennaio 1968, ore 10) rilevando che "il mandato affidato dal progetto dei gruppi di maggioranza alla Commissione parlamentare appare non volto all'accertamento della verità in relazione alle pretese ma ormai disattese deviazioni del Sifar, ma in effetti tendente a nascondere le eventuali maggiori responsabilità governative".
Nella circostanza, "il deputato de Lorenzo dichiara che la sua destituzione dalla carica di Capo di Stato Maggiore della Difesa fu determinata dai responsabili orientamenti che egli (de Lorenzo) aveva manifestato in merito: all'acquisizione dall'estero di materiali ed armamento particolarmente dispendiosi...il cui acquisto si prestava a troppe perplessità... ad un ingiustificato sperpero di fondi per l' inesistente necessità di uno sminamento fraudolentemente inventato... alle esigenze di addestramento della truppa di leva... che l'oratore (de Lorenzo) desiderava più aderenti alle necessità di un moderno esercito nazionale, per il quale l'apoliticità è coesione ed anche base essenziale dell'obbedienza..."
Non fu accolta la proposta dell'on. generale de Lorenzo, ma quella dei partiti di centro sinistra, che vollero l'indagine limitata al c.d. 'Piano Solo', agli "eventi del giugno-luglio 1964'.
La Commissione Parlamentare di Inchiesta ripercorse l'iter di tutte le Commissioni e di tutti i processi, che avevano avuto per oggetto il c.d. scandalo del SIFAR ed il 'Piano Solo', e concluse escludendo che si fosse verificato un tentativo di "golpe".
La relazione di maggioranza (vedi pag. 1054) concluse affermando testualmente:
" né dalle inchieste condotte con indubbia severità dal generale Manes e dal generale Lombardi;
· né dalle appassionate ricerche del senatore Jannuzzi e dell'onorevole Scalfari;
· né dalle laboriosissime istruttorie dei due processi (contro Jannuzzi e Scalfari, e contro Gaspari Corbi e Gregoretti);
· né dai lavori della nostra commissione parlamentare (sono) siano stati mai registrati o accertati una confi denza, una propalazione, un'indicazione allusiva al proposito eversivo... una qualsiasi lontana prova di intese comunque allusive a congiure... che avessero per oggetto il colpo di Stato politico-militare".
4. -Il "Piano Solo" nella PROPOSTA Dl RELAZIONE PELLEGRINO
La PROPOSTA DI RELAZIONE del senatore Pellegrino (pagina 84) sostiene che ci furono "contrasti valutativi... nelle conclusioni della Commissione di Inchiesta Alessi e che (vedi pag. 85) il Piano Solo non può essere considerato un piano preventivo perché "i documenti mostrano insomma anche modalità più proprie al passaggio della fase esecutiva al vero golpe...".
Non mi pare che con tali considerazioni si possano liquidare le argomentazioni della Relazione ALESSI; se la Commissione Stragi ha acquisito elementi più convincenti di quanti non ne siano stati acquisiti in passato, ebbene, vengano indicati.
Diversamente, si accettino le conclusioni di tutte le Commissioni di Inchiesta e del Tribunale di Roma, elencate a pag. 1054 della Relazione Alessi.
Secondo la mia impressione, nella PROPOSTA DI RELAZIONE del sen. Pellegrino si è voluto addirittura evitare di trattare l'argomento, sostenendo che è "improduttivo indugiare sulla realtà di un progetto golpista da parte del gen. de Lorenzo". A questo punto, vengono citate alcune frasi tratte dal memoriale dell'on. Moro, che da sole sono già sufficienti a fugare ogni sospetto di golpismo nei confronti del generale de Lorenzo.
Se, poi, a quelle frasi si aggiunge il testo del memoriale riportato a pagina 125 del DOC. XXIII n.5, vol. II (Relazione di Minoranza. C.P.I. Moro) la conclusione non può più lasciare dubbi: "Il generale de Lorenzo va ricordato come colui che collaborò con me (è l'onorevole Moro che scrive) nel '60 per far rientrare nei binari della normalità la situazione incandescente creatasi col Governo Tambroni".
Ma sappiamo tutti che - a proposito degli eventi dell'estate 1964 - quel memoriale c'è dell'altro e non certo a carico del generale de Lorenzo.
"L'obiettivo politico" di quegli eventi, dunque, non fu un colpo di Stato, tanto meno secondo i progetti calunniosamente attribuiti al generale de Lorenzo. >
C O N C L U S I O N E
Nonostante i limiti di tempo nei quali ho dovuto contenere il mio intervento, ritengo di aver offerto sufficienti indicazioni per dimostrare che lo "scandalo" del SIFAR ed il c.d. Piano Solo sono due esempi di disinformazione, che perdura nelle cronache ed in certa saggistica. Oggi -attraverso la PROPOSTA DI RELAZIONE del Sen. Pellegrino- la disinformazione minaccia di inquinare la storia della Repubblica Italiana.
Sono soltanto indicazioni, le mie; in una relazione necessariamente sintetica non è possibile fare di più.
La Commissione Stragi. però. può accertare la verità in maniera compiuta, perché nel suo archivio possiede la massima parte dei documenti necessari. Gli altri, quelli che ancora sono coperti da un incomprensibile quanto illegittimo "segreto", sono custoditi nell'archivio storico della Camera e non vedo quali ragioni possano essere opposte per impedire che la Commissione Stragi ne prenda conoscenza.
Mi riferisco a tutta la documentazione depositata dal generale de Lorenzo nella cancelleria della Commissione Alessi e che non fu utilizzata interamente; ricorderò per tutti le c.d. "veline REI-SIFAR" che, con motivi pretestuosi (Commissione Alessi- DOC XXIII n. 1- vol. II- Rel. Terracini pag. 40/41) furono coperte dal segreto di Stato. Sui documenti fondamentali della vicenda SIFAR/PIANO SOLO sono caduti tutti gli 'omissis' e non si comprende quale tipo di segreto debba ancora coprire le 'veline REI' ed altri documenti depositati da mio Padre.
Mi auguro che l'onorevole Presidente della Commissione Stragi voglia disporre l'acquisizione di tali documenti e, possibilmente, accertare le ragioni - od almeno individuarle, in linea di ipotesi - per le quali la Commissione Alessi non poté utilizzarli.
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Mi auguro, altresì, che la Commissione Stragi voglia acquisire tutte le memorie che il generale de Lorenzo - nella sua qualità di deputato - depositò tra il 1968 ed il 1970 alla Commissione Difesa della Camera dei Deputati e delle quali non riesco ad ottenere copia. |
Se a distanza di sei anni dalla loro stesura, e dopo tre anni dalI'inchiesta Beolchini, dal 'Rapporto Manes', dal processo contro Jannuzzi e Scalfari due anni dalla Commissione Lombardi, mentre era in corso l'inchiesta della Commissione Parlamentare Alessi, gli elaborati del c.d. Piano Solo erano ancora custoditi nella cassaforte del Comando Generale dell'Arma come documenti segreti, ebbene, mi pare che si possano trarre almeno due conclusioni:
il 'PIANO SOLO' non era un progetto personale del Generale Giovanni de Lorenzo;
più precisamente, il 'PIANO SOLO' era uno studio (e non un 'Piano'), rimasto allo stadio di "bozza", e non poteva avere per oggetto -ovviamente- un colpo di Stato.
Oltre al contributo che spero di avere apportato con la mia partecipazione a questo Convegno, mi propongo di proseguire nella corretta ricostruzione della vicenda considerata, fornendo tutta la documentazione custodita NELL'ARCHIVIO DEL GENERALE de Lorenzo, già messa a disposizione -peraltro- per la stesura di un libro che si trova in fase di avanzata preparazione. Roma, 5 febbraio 1997
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A far esplodere lo scandalo del SIFAR, il servizio segreto militare, e a mettere sotto accusa un personaggio di grande prestigio come il comandante dell’Arma dei carabinieri, il gen. Giovanni De Lorenzo, furono una serie di articoli apparsi sul settimanale L’Europeo, poi ripresi e "cavalcati" da un altro settimanale, L’Espresso.
L’articolo apparso sul n. 21 del 21 maggio 1967 dell’Espresso (in realtà in edicola la mattina dell’11 maggio), a firma di Eugenio Scalfari e Lino Jannuzzi, ebbe la forza di un terremoto.
Già il titolo del servizio è esplosivo:
"Finalmente la verità sul SIFAR: 14 luglio 1964, complotto al Quirinale. Segni e De Lorenzo preparavano il colpo di Stato".
L’articolo si riferisce ad avvenimenti di tre anni prima, quando, nel luglio del 1964 appunto, la crisi del primo governo di centro-sinistra presieduto da Aldo Moro ebbe un’improvvisa soluzione sotto la spinta di quello che il segretario del PSI, Pietro Nenni, aveva definito "un rumor di sciabole".
Nenni si riferiva, neppure tanto larvatamente, a pressioni di tipo militare, ad una minaccia che sarebbe stata esercitata dai carabinieri, forse complice il capo dello Stato, Antonio Segni, perché la seconda edizione del governo comprendente i socialisti scolorisse le sue velleità innovative e progressiste.
La mattina in cui il settimanale è in edicola il ministro della Difesa, il socialdemocratico Tremelloni, su invito dello stesso Moro ha già formato una commissione d’inchiesta (presieduta dal gen. Aldo Beolchini e composta dal gen. Umberto Turrini e dal consigliere di Stato Andrea Lugo). Questa – che andrà sotto il nome di commissione Beolchini – ha il compito di indagare sulle attività del SIFAR, di cui De Lorenzo è stato a lungo il dominus incontrastato e sulla "formazione di numerosi dossier". Ma altre inchieste saranno condotte su De Lorenzo:
- quella interna ai carabinieri (1967), affidata al vicecomandante dell'Arma il gen. Giorgio Manes;
- un’altra inchiesta del ministero della Difesa (commissione Lombardi, 1968);
- un’inchiesta parlamentare (1969) che si concluderà con una relazione di maggioranza e diverse relazioni di minoranza.
Le conclusioni delle prime due inchieste (Beolchini e Manes) saranno per 23 anni coperte dal segreto e i loro omissis verranno rivelati soltanto nel 1990, con l’esplodere della vicenda Gladio.
Il tentato golpe del 1964 del Generale De Lorenzo. L’oscuro ruolo del colonnello Renzo Rocca nel reclutamento delle milizie neofasciste. Base Gladio Capo Marrargiu, il campo d’addestramento della strategia della tensione. Chi comandava la Stay Behind italiana, prima del Piano Solo?
Noi della CIA non corrompiamo. Se avete un problema di corruzione, nella vostra società, esso esisteva molto prima che la CIA arrivasse. Corrompere significa dare denaro a chi fa cose per noi, e noi non diamo denaro per questo. Diamo denaro a chi non ha abbastanza denaro per fare quello che vuole. Fondamentalmente noi sosteniamo i regimi democratici e, fra tutti i paesi che dovrebbero capirlo, c’è l’Italia. È stato l’aiuto americano che per trent’anni ha impedito all’Italia di cadere in un comunismo autoritario. E ci siamo riusciti sostenendo i partiti del centro democratico, sempre.
(William Colby, intervistato da Oriana Fallaci nel marzo del 1976)
Nell’immediato secondo dopoguerra, dopo che l’Unione Sovietica riuscì a dotarsi della capacità di produrre armi nucleari, gli stati maggiori dei principali paesi membri dell’appena creata NATO, nel 1949, predisposero i piani di difesa in Europa occidentale sulla base dell’ipotesi di una guerra convenzionale e di un rapido attacco via terra degli eserciti vicini all’Unione Sovietica, i quali avrebbero potuto sfruttare il vantaggio di azioni insurrezionali e di guerriglia delle organizzazioni comuniste locali. L’ipotesi portò alla revisione delle strategie militari, con una risalto maggiore dato alla guerra non ortodossa, da condurre con strutture paramilitari segrete in posizione di difesa arretrata e di manovra in ritirata. A corollario di questo modello di difesa, gli americani si impegnarono in una guerra psicologica condotta in nome di un anticomunismo aggressivo ed apocalittico che vedeva l’Italia, confinante con la Jugoslavia e con il partito comunista più forte e meglio organizzato d’Occidente (il PCI), come principale campo di battaglia e laboratorio per testare le strategie di propaganda anticomunista e di contro-insorgenza.
Il primo atto classificato dal massimo organismo statunitense per la sicurezza nazionale, il National Security Council, datato 14 novembre 1947, certificò le preoccupazioni degli USA con una formula inequivocabile: “Il governo italiano, che propende ideologicamente verso le democrazie occidentali, è debole e soggetto ai continui attacchi da parte di un forte partito comunista”. Le successive direttive del NSC, tra il 1948 ed il 1954, diedero mandato ai direttori della CIA, Roscoe Hillenkoetter, Walter B. Smith e Allen Dulles, di effettuare le operazioni coperte (covert operations) per prevenire la vittoria del PCI alle elezioni. Una direttiva dell’NSC dell’11 gennaio 1951 precisò poi che analoghe misure andavano intraprese anche “nel caso che i comunisti guadagnino la partecipazione nel governo italiano con mezzi legali o minaccino di ottenere il controllo del governo italiano, o nel caso che quel governo cessi di mostrare una determinazione a opporsi alle minacce comuniste interne ed esterne”.
A supervisionare le nuove organizzazioni di difesa nell’ambito NATO e le prime strutture informative parallele che accompagneranno la storia della Repubblica italiana, furono posti uomini della CIA come William Colby, a Roma dal 1951 al 1959, che aveva effettuato importanti operazioni dell’OSS dietro le linee, in Francia e Norvegia, durante la seconda guerra mondiale, ed aveva avviato le operazioni Stay Behind in Scandinavia. Colby rivestì il ruolo di political attaché dell’ambasciata USA, durante il periodo in cui a via Veneto era ambasciatrice la fervente anticomunista Claire Boothe Luce (1953-1956) e vicecapo della CIA eraRobert Paul Driscoll, pupillo del direttore dell’agenzia, Allen Dulles. Driscoll, trasferito in Tunisia, si occupò di organizzare la presenza informativa della CIA in Grecia e a Beirut, ma continuò ad effettuare operazioni in Italia, in collaborazione con il ministro Fernando Tambroni.
William Colby è stato sicuramente una delle figure chiave nel controbilanciare la crescita politica del Partito Comunista Italiano. In seguito divenne capo della CIA a Saigon, in Vietnam, e direttore generale dell’agenzia tra il 1973 ed il 1976. Nel 1978 pubblicò un’autobiografia nella quale fece esplicito riferimento alle “Stay Behind nets”.
In quegli anni, a partire dal 1949, era in Italia anche Carmel Offie, consigliere politico, membro dell’Office of Policy Coordination (OPC), l’ufficio creato dal Dipartimento di Stato per la guerra psicologica, la propaganda ed il finanziamento delle iniziative per la destabilizzazione dell’Unione Sovietica, nonché patrocinatore della nascita dell’intervento autonomo della CIA nel nostro paese.
Succursali della CIA: il SIFAR e Gladio
È in un contesto del genere, con il paese ancora occupato militarmente dalle forze armate USA, che nel 1949 venne costituito il SIFAR - Servizio Informazioni Forze Armate, con una semplice circolare del Ministro della Difesa Randolfo Pacciardi, in una posizione di netta sudditanza agli USA, e regolato da un protocollo segreto che comportava la totale rinuncia alla sovranità italiana, in base al quale anche il personale doveva essere approvato dalla CIA. Il SIFAR, in base alla dottrina statunitense, veniva ad essere costituito da militari di provata fede anticomunista, in gran parte provenienti dalle file degli apparati militari ed informativi dell’ex regime fascista.
La strategia di propaganda e guerra psicologica, elaborata il 13 novembre del 1951 dalla Commissione C del Psychological Strategy Board, un organismo che riuniva rappresentanti del Dipartimento di Stato, della Difesa e della CIA, prevedeva un piano di discriminazione dei comunisti italiani, inviato al governo De Gasperi, che aveva tra i vari compiti: “discriminare” le aziende con manodopera comunista, azioni per far fallire o ridurre le cooperative controllate dai comunisti, stimolare il deviazionismo nel PCI, screditare il partito comunista e distruggere la rispettabilità delle sue figure di spicco, compromettere i comunisti che rivestono cariche pubbliche, creare scandali ad hoc, ridurre il potere della stampa comunista. Il piano sollecitava anche una riforma della legge elettorale “per tagliare la rappresentanza comunista in Parlamento”.
Come è stato possibile appurare dagli atti resi pubblici nel corso delle indagini giudiziarie, i servizi segreti italiani erano tenuti a passare le informazioni e ricevere le istruzioni da una apposita centrale della CIA in Italia che dipendeva direttamente dalla presidenza degli Stati Uniti. Da un accordo SIFAR-CIA del 1952 venne poi sviluppato il piano Demagnetize per depotenziare e tentare di mettere fuori legge il PCI in Italia.
Le attività anticomuniste non si basavano solo sulla propaganda e sulla guerra psicologica; l’8 ottobre del 1951, un promemoria inviato al capo di Stato Maggiore della Difesa intitolato “Organizzazione informativa-operativa nel territorio nazionale suscettibile di occupazione nemica”, proponeva la costituzione di una struttura a “carattere clandestino ed ordinamento cellulare tale da restare ignorata”.
Con la Germania divisa, il dibattito sull’idea francese di costituire una Comunità Europea di Difesa (CED) si prolungò fino al 1954, quando la Francia decise infine di non ratificare più l’accordo. L’organizzazione parallela di controguerriglia e propaganda nasceva così da un accordo bilaterale tra la CIA ed il SIFAR, fuori dal coordinamento Clandestine Planning Committee (CPC) creato da Stati Uniti, Francia e Regno Unito, sottoposto alla direzione del comando supremo della NATO, ilSupreme Headquarters Allied Powers Europe (SHAPE). L’Italia aderì al CPC solo nel maggio del 1959.
La struttura che si venne a creare assorbì larga parte dei gruppi di autodifesa operanti nelle zone di confine e dell’organizzazione segreta “O” che era stata creata, nel gennaio del 1946, dalle fila partigiane “bianche” della brigata Osoppo-Friuli (2150 uomini, diventati 4484 nel 1947), composta in larga parte da ex militari monarchici ed indipendenti, per il controllo del confine orientale, diventata poi il III Corpo dei Volontari della Libertà nel 1947; ed i partigiani bianchi del MACI(Movimento Avanguardista Cattolico Italiano), di Pietro Cattaneo, un movimento paramilitare che ebbe una investitura ufficiale dalla DC nel 1948, e che era fortemente attivo in Lombardia negli anni ’50, collegato con il MAR di Carlo Fumagalli.
Gladio, la Stay Behind italiana, con compiti di guerra non convenzionale, costituita nel 1956 come una struttura NATO coperta dal massimo grado di segretezza, il cui coordinamento fu affidato il 18 ottobre 1956 alla V sezione SAD (Studi ed addestramento) alle dipendenze dell’Ufficio R, delSIFAR; nasceva in pratica come una covert operation sotto la supervisione della CIA, attraverso un comitato di coordinamento chiamato Gladio Committee (costituito da 8 militari del SIFAR e 3 della CIA). Gli ufficiali inizialmente addestrati presso la training division dell’intelligence inglese furono poi suddivisi in 6 settori operativi di Gladio: informazione, sabotaggio, propaganda, comunicazione, cifra, esfiltrazione.
Alle dipendenze del SAD venne posto il CAG (Centro di Addestramento Guastatori) che dall’agosto del 1956 disponeva di una base in Sardegna, aCapo Marrargiu. Dell’esistenza di Gladio furono informati inizialmente solo il Ministro della Difesa Paolo Emilio Taviani (ministro della Difesa dal 1953 al 1958, dell'Interno dal 1962 al 1968 e dal luglio 1973 all'ottobre 1974), il presidente della repubblica Giovanni Gronchi, il vicepresidente Giuseppe Saragat, il ministro degli Esteri Gaetano Martino. In seguito, almeno fino al 1984, dell’esistenza di Gladio vennero informati i ministri della Difesa.
Dal 1958 fino al 1964 il CAG fu dotato anche di una Sezione Aerei Leggeri (SAL) e fu costituito il III gruppo aereo, per la pianificazione operativa e addestrativa dell'aereo adoperato dal servizio, il celebre Argo 16, e il IV gruppo trasmissioni, che serviva per l'addestramento e l'impiego degli apparati di trasmissione.
Solo nel 1964 la struttura Gladio aderì formalmente al coordinamento effettivo (ACC-Allied Clandestine Committee) della Stay Behind europea. A partire dagli anni '70, il cambiamento della strategia di difesa NATO in Europa, con il dispiegamento dei missili nucleari tattici, ed il cambiamento degli equilibri nel mediterraneo, Gladio cambiò le caratteristiche di reclutamento e la propria missione.
L’Ufficio REI (Ricerche Economico Industriali) del SIFAR, un servizio segreto della Confindustria?
Fonte solitamente attendibile ha segnalato che un gruppo di esponenti della nota organizzazione neofascista ‘Ordine Nuovo’, guidati dal giornalista Pino Rauti e da Clemente Graziani, si sarebbe dovuto recare il 12 corrente in Spagna e Portogallo per contatti di natura politica e per trattare con personalità di quei paesi circa la costituzione di centri informativi in Roma e in altre città italiane. In Portogallo i dirigenti del movimento avrebbero dovuto incontrarsi anche con alti funzionari della ‘Pide’ per la definizione di un piano diretto a facilitare l’acquisto di armi in Italia per conto di quel paese. A tal fine Clemente Graziani, quale intermediario, avrebbe ricevuto l’incarico di interessare nel senso una importante industria del nord Italia. Premesso quanto sopra sarà gradita, sull’argomento, ogni possibile notizia.
Lettera al col. Rocca da parte del col. Giovanni Allavena, capo dell’Ufficio D del Sifar, 26 marzo 1964, Prot. D/107930/1^
Dopo la fine della guerra, all’interno del neocostituito servizio segreto militare, il SIFAR, e sotto la supervisione degli attaché dell’ambasciata americana, un ruolo strategico per la pianificazione del depotenziamento della “minaccia comunista” fu svolto dall’ufficio REI (Ricerche Economico Industriali), un ufficio che in teoria si sarebbe dovuto occupare solo di controspionaggio industriale.
I compiti di controspionaggio dell’Ufficio REI, nel corso degli anni, permisero a diverse organizzazioni di reduci e combattenti di vivacchiare grazie ai finanziamenti privati che venivano veicolati da questa struttura. Gli industriali invece trovarono nel REI il servizio che garantiva all’occorrenza il contatto discreto con gli ambienti politici, economici e finanziari nazionali ed internazionali. In cambio il REI otteneva per il SIFAR le coperture per gli agenti del servizio all’estero, informazioni, l’assunzione di agenti e militari congedati e generosi contributi per finanziare le attività anticomuniste.
Ufficialmente con il compito di tutelare la segretezza delle licenze industriali, e per controllare il commercio delle armi delle aziende italiane verso l'estero, l’Ufficio REI era in verità una struttura con legami molto forti con laConfindustria, al punto che nello stesso stabile di palazzo Doria, a Roma, in via del Corso 303, oltre al REI ed alla SIATI (Società Italiana Applicazioni Tecniche ed Industriali una società di copertura del SIFAR), c’era anche un ufficio speciale della Confindustria, chiamato CIS, presso il quale lavoravano due ex agenti del SIFAR.
Durante gli anni ’60, in coincidenza con l’avvio della Strategia della Tensione, il potere degli industriali era quindi ben saldato nel cuore dello Stato e concentrato nelle mani di un ufficiale che lo gestì ininterrottamente per quasi vent’anni. L’Ufficio REI è stato diretto fino al 1966 dal colonnello piemontese Renzo Rocca, un militare che godeva della fiducia personale di Paolo Emilio Taviani. I finanziamenti delle organizzazioni sostenute dall’Ufficio REI avvenivano principalmente attraverso il procacciamento di inserzioni pubblicitarie per riviste e giornali, dietro le quali venivano nascosti cospicui finanziamenti. Per le mani di Rocca passarono così centinaia di miliardi fuori dai bilanci del SIFAR, che finirono a partiti, correnti, gruppi politici ed associazioni di varia natura.
Alle dipendenze del generale Giovanni De Lorenzo, capo del SIFAR dal 1955, la cui nomina fu fortemente sostenuta da Carmel Offie per tenere sotto controllo il presidente Gronchi, anche l’Ufficio REI ricevette un compito delicato: la redazione di rapporti segreti da destinare ad alcune figure chiave del governo e dello Stato per creare paura ed allarmismo, compito che venne eseguito con la redazione di dossier che quotidianamente venivano consegnati al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio ed al Ministro degli Interni, nei quali veniva descritto un contesto sociale preinsurrezionale.
Il SIFAR, su richiesta del Capo Stazione della CIA in Italia, dal 1956 al 1962 effettuò una colossale opera di schedatura di massa, raccogliendo almeno 157.000 fascicoli di politici, imprenditori, militari, sindacalisti, con informazioni che andavano dalle preferenze sessuali agli orientamenti politici, utilizzabili come potenziali strumenti di ricatto che poco avevano a che fare con la sicurezza nazionale. L’attività di raccolta informazioni e dossieraggio non aveva limiti, furono spiati anche il Presidente della Repubblica e il Papa.
Motivi di allarme certamente non mancavano in quegli anni, con i conflitti regionali ed i movimenti di liberazione nazionale che stavano portando alla decolonizzazione del Terzo Mondo, soprattutto nell’area mediterranea e mediorientale, come si rese evidente durante la crisi di Suez del 1956, approdando spesso a processi di nazionalizzazione ed esperimenti di socialismo che stavano estromettendo Francia ed Inghilterra dal ruolo di potenze coloniali nel mediterraneo. Su questo scacchiere, l’Italia, sostenuta dall’amministrazione USA, giocava una guerra segreta che è diventata, fino agli anni ’80, la trama che sta dietro gran parte delle vicende oscure della storia repubblicana.
Benché il PCI di Palmiro Togliatti non abbia mai tentato di rovesciare l’ordinamento democratico con mezzi insurrezionali, il grado di fedeltà o infedeltà atlantica dell’Italia diventò l’ago della bilancia delle dinamiche interne ed estere delle vicende che influenzavano le politiche nazionali. Il secondo dopoguerra aveva consegnato un paese in cui oltre il 70% dei voti era diviso tra il PCI e la Democrazia Cristiana, con un sistema parlamentare su cui le pressioni internazionali obbligavano la formazione delle maggioranze parlamentari al di fuori del coinvolgimento del PCI e con le pressioni dei settori più conservatori per non coinvolgere i socialisti, nel timore di un spostamento a sinistra dell’asse della politica estera, con la possibilità che ciò avrebbe potuto comportare un mutamento di tutto il turbolento scacchiere politico mediterraneo, con inevitabili ripercussioni sulla stabilità europea.
Tra gli anni ’50 e la prima metà degli anni ’60, i settori più conservatori delle forze politiche di governo avevano tentato inutilmente di risolvere il problema del crescente peso del PCI nella società italiana, con il tentativo di approvare una legge elettorale che riducesse drasticamente i seggi delle forze di opposizione, fino alla tentazione di provocare fenomeni insurrezionali, finalizzati a mettere fuori legge i comunisti e le organizzazioni sindacali meno gradite agli industriali.
A partire dal 1960, con la fine della ricostruzione post-bellica, all’interno della DC iniziarono le manovre di potere della nuova leva della “sinistra” democristiana, legata a monsignor Montini, disponibile al dialogo con i socialisti ed i comunisti, la quale aveva un punto di forza nel presidente Giovanni Gronchi, che era stato eletto con i voti determinanti del PCI. Il fallimentare tentativo criptofascista del governo Tambroni, cheaveva ottenuto i voti determinanti dei deputati dell’MSI, aveva visto, nello stesso anno, la fuoriuscita dei ministri della sinistra DC dal governo (Bo, Pastore e Sullo), e una serie di incidenti e provocazioni durante le manifestazioni del PCI e della CGIL avevano portato il clima sociale del paese sull’orlo di uno scontro armato, come a Genova, Licata, Bologna e Reggio Emilia, dove una rivolta popolare fu sedata dalle forze dell’ordine sparando sulla folla, provocando 5 morti.
In questi anni l’attività dell’Ufficio REI e dell’Ufficio D del SIFAR divenne frenetica, raccogliendo materiale informativo sia sul mondo industriale che politico-sindacale, associativo e giornalistico, procacciando finanziamenti alle testate ed alle associazioni in sintonia con i dettami degli industriali, attraverso contratti pubblicitari e mezzi finanziari fuori bilancio messi a disposizione dalla Confindustria, e mobilitando “civili” verso i campi di addestramento.
Intorno alla figura del generale De Lorenzo, il SIFAR era diventato un gruppo di potere che era riuscito ad occupare posti chiave nei ministeri e negli stati maggiori della difesa, grazie al controllo delle promozioni e della gestione dei posti di comando, fino ad assumere un ruolo di condizionamento della vita democratica del paese. Questa situazione venne denunciata anni dopo dal generale Beolchini e confermata alla commissione parlamentare d’inchiesta che fu istituita a partire dalla sua denuncia. Il generale Beolchini dichiarò che il potere personale di De Lorenzo si era creato a partire dal 1956 e si era affermato soprattutto dal 1959 in poi, quando rivestì l’incarico di comandante generale dei carabinieri, continuando ad esercitare la sua influenza sul SIFAR per interposta persona. A conferma del ruolo strategico rivestito dal colonnello Rocca, nello stesso periodo, il generale dei carabinieri Cosimo Zinza, in servizio all’Ufficio REI tra il 1958 ed il 1960, dichiarò alla commissione che Rocca “si occupava delle attività più disparate e più delicate e che esulavano molte volte dai compiti specifici spesso assegnati. Il colonnello Rocca era introdotto in tutti gli ambienti e la sua attività era la più imprevedibile in quanto gli venivano affidati degli incarichi particolarmente delicati”.
Il disegno eversivo prese corpo a partire dal 1963, dopo l’elezione del presidente Segni (nel 1962, con i voti determinanti del MSI) quando stava per nascere il primo governo di centro-sinistra, che aveva avuto un parziale via libera dal presidente J.F. Kennedy, con l’entrata dei socialisti nella maggioranza, con Aldo Moro presidente e Pietro Nenni suo vice. Il governo ebbe una vita parlamentare tormentata mentre, sulle scrivanie del presidente della Repubblica Antonio Segni, e dei ministri Tambroni e Andreotti, continuavano ad arrivare ogni giorno rapporti che descrivevano una situazione catastrofica, sull’orlo della guerra civile, con la richiesta di finanziamento di corpi speciali per fronteggiare il pericolo comunista.
La schedatura ed il dossieraggio erano proseguite anche dopo il 1962, quando al ministero dell’Interno era salito per la prima volta Paolo Emilio Taviani e il generale De Lorenzo era stato nominato comandante generale dell’arma dei carabinieri, lasciando il posto al SIFAR, il 15 ottobre 1962, al generale Egidio Viggiani, un suo fedelissimo che proveniva dall’esercito. Viggiani resse poi il comando del Sifar fino al 5 giugno del 1966, ovvero fino alla nascita del nuovo servizio d’informazioni, il SID, lasciando il posto al generale Giovanni Allavena, altro fedelissimo del generale De Lorenzo, il quale veniva dai carabinieri ed era stato responsabile dell’Ufficio D del SIFAR (Controspionaggio). Allavena rimase in carica dal 6 giugno 1965 fino al 1 giugno 1966.
Il culmine dell’operazione di destabilizzazione dell’ordine costituzionale fu raggiunto con iltentativo di golpe “Piano Solo” del 1964, così denominato perché avrebbero dovuto prenderne parte solo i carabinieri, che prevedeva l’occupazione delle redazioni de l’Unità e Paese Sera, l’arresto e la deportazione in una località segreta di 731 dirigenti politici e sindacali, scelti in base alla schedatura effettuata negli anni precedenti.
Il 14 giugno del 1964, in occasione dei festeggiamenti per l’anniversario dell’Arma dei Carabinieri, a Roma, sfilò l’undicesima brigata meccanizzata, dotata di autoblindo, cingolati e mezzi corazzati. La sera stessa il generale De Lorenzo annunciò che per il protrarsi delle celebrazioni, i reparti speciali confluiti a Roma non avrebbero lasciato la capitale prima del 20 luglio. Contemporaneamente all’attuazione del Piano Solo si svolse una esercitazione NATO denominata “Corazza Alata”.
Il tentativo di golpe rientrò con l’uscita dei socialisti dal governo, e non si sa tuttora se il Piano Solo, come altri successivi tentativi di golpe degli anni sessanta/settanta, avesse realmente l’obiettivo di sovvertire l’ordine repubblicano o fosse semplicemente uno strumento di pressione per evitare svolte politiche poco gradite alle forze armate e ai poter forti. Durante le concitate fasi di quella stagione, il 7 agosto 1964, nel corso di un colloquio molto teso tra il presidente della Repubblica Antonio Segni, il presidente del Consiglio Aldo Moro e il ministro degli esteri Giuseppe Saragat, Segni fu colpito da trombosi e, nel dicembre successivo, fu costretto a dimettersi. Sul contenuto del colloquio e sui reali obiettivi del Piano Solo esistono varie ipotesi suffragate da una documentazione resa possibile, limitatamente, solo negli anni ’90; tra questi elementi è rilevante notare che nel giugno del 1964 squadre di civili si esercitarono nella base segreta di Capo Marrargiu, campo di addestramento di Gladio. Negli stessi mesi, secondo gli appunti di Luigi Cipriani, la giunta della Confindustria aveva deciso uno stanziamento di 35 miliardi per il “Piano Noto”. Il 1964 è stato sicuramente un anno reso particolarmente complicato anche dalla morte di Togliatti a Yalta, il 21 agosto.
Nel 1965, passata la bufera, con Saragat eletto presidente della Repubblica, Giovanni De Lorenzo venne promosso capo di stato maggiore dell’Esercito, mentre l’Ufficio REI era ancora all’opera per finanziare, tra le altre iniziative anticomuniste, la rivista D di Pino Rauti, ed il convegno dell’Istituto Pollio, un ente creato da Enrico de Boccard (un ex repubblichino di Salò) tenutosi all’Hotel Parco dei Principi di Roma il 3 e 5 maggio di quell’anno. Al convegno, tra i relatori, parteciparono militari reduci del nazifascismo e neofascisti, tra cui Pio Filippani Ronconi (ex volontario delle Waffen SS nell’Afrika Korps, docente di sanscrito all’Orientale di Napoli e traduttore all’Ufficio Cifra del Min. della Difesa), i neofascisti Mario Merlino, Pino Rauti eStefano delle Chiaie; Guido Giannettini (coinvolto nelle indagini sulla strage di piazza Fontana ed espatriato all’estero con l’aiuto del SID), che tenne una relazione sulla “Varietà delle tecniche nella condotta della guerra rivoluzionaria”; il gen. Alceste Nulli-Augusti, il col. Adriano Magi-Braschi,Giorgio Pisanò, con una profetica relazione su “La controrivoluzione degli ufficiali greci”; Giano Accame, Eggardo Beltrametti, Vittorio De Biase (braccio destro di Giorgio Valerio, amministratore delegato della Edison), Ivan Matteo Lombardo (dirigente della Squibb, uno degli artefici della scissione di palazzo Barberini che dide vita al PSDI di Saragat), ed altri. Il convegno dell’Istituto Pollio è ritenuto dagli storici uno dei momenti più importanti nella pianificazione della Strategia della Tensione e dell’Operazione Chaos in Italia, iniziata ufficialmente nel 1967 e conclusasi nel 1974. L’operazione Chaos, creata da Richard Helms, per esplicito volere del presidente USA,Lyndon Johnson, prevedeva l’infiltrazione di agenti nei gruppi pacifisti e studenteschi.
Nel convegno al Parco dei Principi, l’intervento del Prof. Pio Filippani Ronconi si concentrò sulla necessità di costruire un livello clandestino di lotta anticomunista da affiancare a due livelli ufficiali, formati da docenti, funzionari, industriali e commercianti (il primo); e da associazioni d’Arma, nazionalistiche, irredentiste, ginniche e militari in congedo (il secondo). La Difesa Civile di questo terzo livello clandestino avrebbe dovuto costituirsi innuclei, "possibilmente l’un con l’altro ignoti, ma ben coordinati da un comitato direttivo, potrebbero essere composti in parte da quei giovani che attualmente esauriscono sterilmente le loro energie il loro tempo e, peggio ancora, il loro anonimato, in nobili imprese dimostrativa che non riescono a scuotere l’indifferenza della massa di fronte al deteriorarsi della situazione nazionale."
Un appunto datato 1961 dell’Ufficio R del Sifar, trovato anni dopo, relazionava al generale De Lorenzo proprio sugli sviluppi di un progetto che prevedeva la contemporanea presenza sul territorio italiano di tre singole organizzazioni destinate alla “guerra territoriale”. Due di esse erano in fase di costruzione, ma l’altra (suppostamente Gladio) era già operativa. Lo stesso documento faceva inoltre riferimento ad una struttura segreta la cui creazione era stata suggerita dal Comando designato del III corpo d’armata di stanza a Padova, il quale avrebbe dovuto occuparsi delle operazioni clandestine, gestite dallo stesso comando.
Nel corso degli anni, l’esistenza di questa struttura occulta, diversa da Gladio, è più volte emersa tra le testimonianze di militari ed ex ordinovisti, diventando nella letteratura giornalistica e giudiziaria il “SID parallelo”. Il tenente colonnello Amos Spiazzi, interrogato nel 1974 dal giudice Tamburino, ammise l’esistenza di una struttura denominata “Rosa dei Venti”, il cui gruppo dirigente era composto da ufficiali dei servizi segreti italiani ed americani, da industriali ed era finanziata dalle multinazionali. Questa organizzazione gestiva, attraverso degli intermediari, i gruppi terroristici ed aveva come finalità la creazione del disordine, per rendere necessario un intervento autoritario dello Stato.
I fatti relativi al “Piano Solo” furono taciuti all’opinione pubblica fino al 1967, quando un’inchiesta giornalistica dell’Espresso, a firma di Lino Jannuzzi, fece esplodere lo scandalo. Nel frattempo era stata varata la prima riforma repubblicana dei servizi segreti, nel 1965, con la nascita del SID (Servizio Informazioni Difesa), con la quale l’Ufficio REI passò sotto le competenze dell’Ufficio D, un organismo per il controspionaggio anche per il SID.
Un’inchiesta condotta da Ruggero Zangrandi, per il quotidiano Paese Sera, agli inizi del 1970, documentò l’attività di spionaggio dell’Ufficio REI, sia nei confronti di personalità della politica e dell’industria (fu spiato il gruppo dei collaboratori di Aldo Moro e, tra gli altri, Enrico Mattei) sia di finanziamento di organizzazioni politiche dell’area di centro e neofasciste, come Ordine Nuovo, Fronte Nazionale,Europa Civiltà, Soccorso Tricolore ed Avanguardia Nazionale; oltre che finanziare gruppi di provocatori addestrati per essere infiltrati nelle manifestazioni della sinistra, allo scopo di creare disordini, come le squadre del provocatore Luigi Cavallo.

Il vice comandante dei carabineri, il generaleGiorgio Manes, il 15 giugno del 1967 scrisse un rapporto in cui denunciò la degenerazione avvenuta nell’arma a causa del generale De Lorenzo. Nel rapporto redatto, generali di brigata e colonnelli ammisero di aver partecipato a riunioni segrete al comando generale, di aver discusso fasi operative del Piano Solo e della distribuzione ai tre capi di stato maggiore dei carabinieri delle liste di proscrizione e delle istruzioni per la deportazione dei prigionieri in località su cui poi gli organismi parlamentari applicarono degli omissis.
In una pagina dei diari del generale Manes si leggeva chiaramente “Sardegna – tenente colonnello Giuseppe Pisano sa tutto (…). Società fittizia con sede palazzo Baracchini (…) motivo: caccia – civili trattenuti in servizio vedi Rocca”. Secondo lo storico Giuseppe De Lutiis, l’appunto si riferiva alla base di capo Marrargiu, i cui terreni furono acquistati da una società fittizia, e all’addestramento delle milizie irregolari che il colonnello Rocca reclutava in funzione di appoggio in caso di golpe e per creare disordini nelle manifestazioni della sinistra, in particolare nello sciopero degli edili di Roma, il 9 ottobre del 1963, quando un gruppo di misteriosi personaggi aggredì a piazza SS. Apostoli il corteo dei 50mila edili che si era svolto pacificamente, provocando 168 feriti, vetrine spaccate, auto rovesciate e filobus incendiati, in una battaglia che durò mezza giornata che si concluse con dei rastrellamenti effettuati fino a tarda notte, con centinaia di arresti e decine di condanne per direttissima. Anche in quell’occasione governo, ministero dell’Interno, stampa e forze politiche della destra non esitarono ad accusare i comunisti e la CGIL. Il vicequestore Santillo rilasciò nell’occasione una dichiarazione alla stampa “sono stato scavalcato nella direzione delle operazioni”, che venne compresa solo molti anni dopo nella sua pienezza.
Un documento emerso solo qualche anno fa, nell’ambito delle indagini sulla strage di Brescia del 1974, contenuto in un fascicolo declassificato del SIFAR (n. 1962-2-21-32 intestato: “Aspetti dell’azione anticomunista in Italia e suggerimenti per attuare una politica anticomunista”), il 12 settembre 1963, testimonierebbe che il ruolo dell’Ufficio REI andasse al di là del perimetro del controspionaggio industriale. In questo documento infatti il colonnello Rocca scriveva al responsabile dell’Ufficio D (controspionaggio) del SIFAR, generale Giovanni Allavena,per utilizzare squadre di civili addestrate in base ai principi “della guerra psicologica, della guerra non ortodossa, della lotta clandestina, delle tattiche di disturbo (…) della tecnica della provocazione”, per fermare l’avanzata del comunismo, serviva un’azione “offensiva e aggressiva” per cui era necessario “creare gruppi di attivisti, di giovani, di squadre che possono usare tutti i sistemi, anche quelli non ortodossi, della intimidazione, della minaccia, del ricatto, della lotta di piazza, dell’assalto, del sabotaggio, del terrorismo.”
Nel 1973, nel corso dell’indagine sul tentato golpe della Rosa dei Venti, il giudice Tamburino, grazie alle dichiarazioni delneonazista Porta Casucci e successivamente, nel 1974, alle dichiarazioni di Roberto Cavallaro, era venuto a conoscenza del coinvolgimento di alti ufficiali in una organizzazione segreta, denominata organizzazione X, o SID Parallelo. Al vertice di questa organizzazione vi sarebbero stati 87 tra militari di vari corpi dell’esercito e dei servizi di sicurezza. Le indagini portarono all’arresto del capo del SID, il generaleVito Miceli, prima che l’inchiesta fosse sottratta al giudice Tamburino e trasferita a Roma, dal giudice Vitalone, che la sgonfiò. Gli indagati, tra cui il generaleSiro Rossetti, avevano confermato l’esistenza di una organizzazione occulta con funzioni anticomuniste. Nell’ambito dell’indagine condotta dal giudice Mastelloni, il generale Vittorio Emanuele Borsi di Parma, dichiarò che fin dal 1961, ed almeno fino al 1965, quando era capo di Stato Maggiore della III Armata di stanza a Padova:
“esisteva un’organizzazione paramilitare chiamata Ordine Nuovo, sorretta dai servizi di sicurezza della Nato, che aveva compiti di guerriglia e di informazione in caso di invasione; si trattava di civili e militari che all’emergenza, dovevano comunicare alla nostra Armata i movimenti del nemico. Si trattava di un’organizzazione tipicamente americana, munita di armamento ed attrezzature radio.”
Nel 1980, in una perquiszione a casa del generale Gianadelio Maletti, capo del reparto D (controspionaggio) del SID, tra il 1971 ed il 1974, fu trovato un appunto in cui si parlava di “nuclei segretamente addestrati dal SID parallelo”. Il giudice Guido Salvini, nell’ambito delle indagini sulla strage di Brescia, raccolse molteplici testimonianze sull’esistenza di un’organizzazione operativa tra gli anni sessanta e settanta, chiamata “Nuclei per la Difesa dello Stato”, della quale avevano fatto parte alcune cellule ordinoviste venete, tra cui quelle responsabili della strage di piazza Fontana. La struttura, organizzata dal generale Amos Spiazzi, in servizio presso l’Ufficio I della caserma Montorio di Verona, dipendeva dall’Ufficio guerra psicologica del comando FTASE di Verona, sarebbe stata diversa e distinta da Gladio, e sarebbe stata sciolta nel 1973.
Tra la documentazione sequestrata nel dicembre del 1990 presso l’archivio della VII divisione del SISMI, un appunto del 16 novembre del 1963 dell’Ufficio R del SIFAR, a cui afferiva il coordinamento di Gladio, dal titolo “Programmi di intensificazione dell’attività addestrativa orientativa”, fa riferimento esplicito ad una mutazione degli obiettivi originari di Gladio e ad una richiesta specifica della CIA di intensificare le attività addestrativa di due sezioni (SAD e CAG) al mutamento delle strategie nel “controllo e neutralizzazione delle attività eversive sovversive”. Il documento è considerato rilevante non solo perché fa esplicito riferimento al fatto che alcune unità Gladio di “pronto impiego”, “Stella Alpina”, “Azalea”, "Ginestra” e “Rododendro”, alla data del 30 settembre 1963, avessero una consistenza numerica di 1500 unità, ben oltre quindi i 622 gladiatori complessivi riferiti al parlamento nel 1990; ma perché fa riferimento ad attività addestrative o alla “counter-insurgency” presso Fort Bragg, in North Carolina, ed all’attivazione di “elementi Gladio sul territorio in funzione propagandistica, di contropropaganda e di disturbo”, per i quali la CIA “vedrebbe con simpatia tale intervento” essendo stato “programmaticamente già previsto (…) per le unità di pronto intervento (UPI), in particolare per la Stella Alpina”. L’appunto prosegue l’auspicio che i corsi di controguerriglia, disturbo, propaganda e contro-propaganda contro l’ideologia comunista siano effettuati a ufficiali dell’Esercito (in particolare gli ufficiali della catena “I”, spesso individuata come la struttura portante degli organismi paralleli delle attività politico-eversive in Italia), carabinieri e militari a lunga ferma, elementi di Gladio, a cominciare dalla “Stella Alpina”.
L’Ufficio REI del colonello Rocca, proprio nello stesso periodo dell’appunto, tra il 1962 ed il 1963, effettuò un’intensa opera di reclutamento di personale civile che veniva addestrato a Capo Marrargiu, come il gruppo che causò gli scontri durante lo sciopero degli edili a Roma del 1963.
Anni dopo, il 28 ottobre 1990, l’Unità pubblicò un’intervista ad un ex generale del SID, Nicola Falde, successore di Rocca all’Ufficio REI tra il 1967 ed il 1969, il quale rivelò che nell’occasione dello sciopero degli edili di Roma del 1963, il colonnello Rocca aveva fatto arrivare a Roma centinaia di uomini di un “organismo parallelo” accompagnati nei dintorni di piazza SS. Apostoli, in alcuni appartamenti e nei cortili di un palazzo, dove avevano ricevuto in consegna tute mimetiche e divise della polizia. Durante il corteo, gli uomini della “struttura parallella”, attaccò gli edili lanciando pietre sui lavoratori e effettuando degli assalti con mazze e randelli, causando i disordini. L’operazione dell’organismo parallelo fu una “esercitazione” in grande stile. L’ex generale che aveva rilasciato le dichiarazioni a Cipriani confermò la versione anche davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2.
Il 1963 è anche l’anno in cui furono occultati gli armamentari utili per le finalità di Gladio, nascosti e sepolti in località segrete denominate NASCO. I depositi, ufficialmente 139, dovevano rimanere segreti, ma nel 1972, un fortuito ritrovamento di uno dei NASCO, nella zona di Aurisina, diventerà il tassello che nel corso degli anni porterà il giudice Felice Casson a scoprire l’esistenza di Gladio, grazie alle rivelazioni dell’ex ordinovista Vincenzo Vinciguerra.
Nel gennaio del 1966, un assaggio della strategia di provocazione era venuto proprio da parte dell’organizzazione neofascista Avanguardia Nazionale, guidata da Stefano Delle Chiaie, con l’affissione di manifesti inneggianti alla Cina popolare nelle città di Firenze, Livorno e Roma. L’operazione fu promossa dal servizio segreto, tramite il direttore della rivista Il Borghese, Mario Tedeschi (ex X Mas), per il cui finanziamento si era interessato l’Ufficio REI. Nel convegno dell’Istituto Pollio, una delle relazioni, quella di Pino Rauti, prevedeva proprio delle azioni volte a provocare il PCI.
L’11 dicembre del 1965, si tenne ad Udine una riunione degli appartenenti alla struttura Gladio, sui temi della “insorgenza e contro-insorgenza”, nel corso della quale venne richiesta “una azione attiva di contropropaganda”. In quella sede, in base alla testimonianza diretta di Vincenzo Vinciguerra, il comandante della VIII formazione, “Manlio”, dichiarò che c’erano già delle organizzazioni che effettuavano la propaganda anticomunista, e dette delle istruzioni per la raccolta d’informazioni, per l’organizzazione di azioni intimidatorie e dimostrative nei confronti degli “avversari”, nella diffusione e compilazione di manifesti e volantini, in risposta a quelle della parte avversaria; e per l’organizzazione di conferenze e comizi. Tra il 15 e 24 aprile, in base ai documenti rinvenuti, si svolse l'operazione Delfino, nella zona di Trieste, la quale si tenne con la partecipazione di un nucleo di propaganda (P/4), di un nucleo di evasione ed esfiltrazione (E/4) e di una unità di pronto impiego (Stella Marina). L’esercitazione si sviluppò su temi concernenti le caratteristiche della guerra non convenzionale, in situazioni di insorgenza e contro-insorgenza, con azioni di provocazione quali aggressioni ed attentati da attribuire all’avversario, e la diffusione di materiale di disinformazione.
Tra Gladio e la strategia della tensione
Le vicende dell’Ufficio REI, soprattutto nel periodo precedente il 1964, non sono molto documentate a causa della distruzione di gran parte dei documenti, tuttavia gli appunti di Luigi Cipriani, che ha dedicato parte della sua vita parlamentare e di giornalista al ruolo svolto dagli apparati occulti del potere, annotano che l’agente CIA Carmel Offie, il quale era intervenuto nei confronti del presidente Gronchi, tramite il generale De Lorenzo, perché aveva accettato i voti del PCI, patrocinando successivamente l’elezione di Segni, avrebbe indirizzato il col. Rocca verso il finanziamento dei partiti anticomunisti e delle organizzazioni neofasciste.
Nel 1962, l’amministrazione Kennedy aveva effettuato degli avvicendamenti in Italia. Il colonnello James P. Strauss sostituì all’ambasciata l’attaché militare Vernon Walters, un falco che nel 1961 era favorevole ad un intervento militare in caso i socialisti fossero entrati al governo. Strauss però venne sistematicamente scavalcato nella gestione dei piani ultrasegreti dal capo stazione della CIA a Roma, Thomas Karamessines (che nel 1970 divenne direttore dell’operazione coperta della CIA, FUBELT, in Cile, contro Salvador Allende), mentre Renzo Rocca avrebbe ricevuto istruzioni per continuare a mantenere i contatti con Walters, contravvenendo ai protocolli NATO. Gli appunti di Cipriani testimonierebbero che Rocca nei fatti era diventato un referente operativo della Stay Behind italiana, ricoprendo funzioni che non potevano essere ignorate dal capo del SIFAR, il generale Egidio Viggiani.
A pagina 317 de “Il Malaffare”, di Roberto Faenza e Edward Becker, un libro che fu prontamente ritirato dal commercio nel 1978, viene riportato un documento Top Secret declassificato in base al quale Rocca sarebbe stato coinvolto dall’agente della CIA William Harvey in un’azione di disturbo nei confronti di Aldo Moro, basata su squadre d’azione per compiere attentati nelle sedi della Democrazia Cristiana e contro i quotidiani del Nord, da attribuire poi alle sinistre, in modo da rendere possibile la richiesta al governo delle misure eccezionali. Harvey avrebbe inoltre garantito a Rocca che negli archivi della CIA vi era un elenco di oltre duemila nominativi di formazioni paramilitari e di estrema destra italiane (probabilmente un elenco Gladio), che da tempo avevano offerto i loro servizi volontariamente in funzione anticomunista, si trattava di “uomini capaci di piazzare bombe, ordigni incendiari, fare propaganda, uccidere”. Il capostazione della CIA di Roma riceveva dal generale De Lorenzo due copie di ciascun fascicolo, di cui una veniva spedita alla sede centrale di Langley, in Virginia.
Una delle questioni ancora oggi poco illuminate dalla documentazione storiografica, riguarda il periodo del terrorismo altoatesino, tra il 1956 ed il 1966, durante il quale vi furono più di trecento attentati contro tralicci dell’altra tensione, centraline elettriche e stazioni ferroviarie, culminati nella notte dei fuochi, tra l’11 ed 12 giugno del 1961, in un crescendo che iniziò colpire anche forze di polizia, guardie di frontiera, finanzieri e carabinieri, ben nove dei quali caddero tra il 1964 ed il 1966. L’uso dell’esplosivo al plastico, e l’allargamento dello scenario degli attentati anche ad altre città italiane, come Domodossola, Rimini, Rovereto, Roma, Verona ed altre località, tra il 1962 ed il 1963, e il ruolo del SIFAR nelle operazioni, fecero sospettare che erano stati usati metodi non ortodossi, e che parte degli attentati erano stati condotti da agenti provocatori.
La vicenda venne alla luce nel 1991, dopo l’arresto di un ex funzionario dell’MSI di Bolzano, ed il ritrovamento di un quaderno di appunti con delle note su una struttura militare clandestina, confermando quanto il generale Giorgio Manesaveva già dichiarato e lasciato scritto nei suoi diari: "molti attentati in Alto Adige furono simulati dal controspionaggio". L’ex ministroPaolo Emilio Taviani aveva rivelato al giudice Casson che quando dirigeva il ministero degli Interni, aveva dato mandato al colonnello Rocca di costituire un nucleo di persone per stampare un giornale in lingua tedesca nell’Alto Adige. Il colonnello Amos Spiazzi rivelò invece che nel 1961, mentre era in servizio con il suo reparto in Alto Adige, soprese due uomini che nascondevano nello zaino micce e detonatori. I due uomini, fermati, mostrarono un tesserino del SIFAR e furono rilasciati dai carabinieri. Spiazzi fu prontamente trasferito. Un’ulteriore conferma dell’utilizzo di mezzi non ortodossi nella lotta contro il terrorismo altoatesino venne dalle dichiarazioni delgenerale Giancarlo Giudici, il quale il 12 settembre del 1964 si rifiutò di eseguire l’ordine folle di fucilare 15 uomini impartitogli dal colonnello Franco Marasco. Il generale De Lorenzo non stigmatizzò il comportamento dell’ufficiale, ed il generale Giudici fu trasferito la sera stessa.
Con la riforma dei servizi segreti e la nascita del SID, con l’arrivo dell’ammiraglio Eugenio Henke nel 1966, il cambio della guardia non salvò la riservatezza della missione di Renzo Rocca, che finì nell’occhio del ciclone dello scandalo dei dossier e venne allontanato dall’Ufficio REI. Nell’occasione del passaggio di consegne, l’ufficiale consegnò all’ammiraglio Henke oltre un migliaio di cartelle, dichiarando di aver agito su ordine del presidente della repubblica, del presidente del consiglio, del ministro dell’Interno e della difesa e dal capo dei servizi segreti.
Dopo l’esplosione dello scandalo dei dossieraggi illegali del SIFAR, il nome del colonnello Rocca finì su tutti i giornali. Mentre il suo nome ormai rimbalzava su più di un’inchiesta giornalistica basata sui dossieraggi illegali, in parlamento si chiedeva l’istituzione di una commissione d’inchiesta, nello stesso tempo Rocca venne chiamato a rispondere davanti ai magistrati del tentativo di corruzione del congresso del partito Repubblicano del 1961. Rocca dovette prima mimetizzare con la sua attività con la sigla di copertura SIATI, e con nomi di copertura, le sue attività, poi lasciò il servizio.
Il 27 giugno del 1968 il colonnello Rocca fu trovato morto in un ufficio in uso alla FIAT, dalla quale era stato assunto, in via Barberini, a Roma, ufficialmente per suicidio. In un’intervista rilasciata il 23 aprile del 1999 (pubblicata in:Gladio. Storia di finti complotti e di veri patrioti, di A.Pannocchia e F. Tosolini),Edgardo Sogno rivelerà la stessa mattina in cui morì il colonnello, questi aveva incontrato Luigi Cavallo alla fermata del tram a Frascati. Durante il viaggio fino a Roma, Rocca avrebbe rivelato a Luigi Cavallo che il ministro Taviani gli aveva chiesto “una cosa impossibile”, poche ore dopo fu trovato cadavere. La mattina stessa tentò ripetutamente di contattare il ministro Taviani, il quale si fece negare al telefono.
Il giudice Ottorino Pesce trovò sei motivi per credere a un delitto commesso per eliminare Rocca ma venne estromesso dalle indagini poco dopo. Poco prima di morire, il colonnello Rocca aveva prelevato del denaro in banca, risultò inoltre avere molti appuntamenti, segnati sull’agenda.
Il 31 marzo 1969, dopo due anni di battaglia delle sinistre venne costituita la commissione Stragi sugli eventi del giugno 1964. Il generale Manes, vittima di una violenta campagna denigratoria, non riuscì a confermare le accuse in commissione Stragi, a causa di un infarto che lo stroncò il 25 giugno del 1969, a 63 anni, davanti allo scrittoio del presidente della commissione, l’onorevole Alessi, a Montecitorio, proprio il giorno in cui era stato convocato per l’audizione.
Oltre al colonnello Rocca, morto un anno prima, che non potè testimoniare degli arruolamenti illegali prima del tentato golpe De Lorenzo, un’altra preziosa testimonianza venne a mancare alla commissione. Il 27 aprile del 1969, morì in uno strano incidente stradale anche il generale Carlo Ciglieri, un ufficiale dei carabinieri che aveva effettuato un’indagine interna che lo aveva portato in Alto Adige, dove molti neofascisti avevano soggiornato con coperture del SIFAR. Dalla sua auto, poco dopo l’incidente la cui dinamica causò qualche sospetto, sparì una misteriosa busta che era stata notata dai primi soccorritori.
L’indagine della commissione parlamentare d’Inchiesta sul tentato golpe, conclusasi il 15 dicembre 1970, mise in evidenza il ruolo del colonnello Rocca, il cui ruolo era nei fatti secondo solo al generale De Lorenzo, il cui Ufficio venne definito dal senatore Jannuzzi, una sorta di “SIFAR nel SIFAR”, con un bilancio autonomo e segreto. Il senatore Jannuzzi riferì anche di aver appreso da Rocca che “lui si occupava dei giornali, dei partiti, delle milizie civili”. Nell’ambito dell’arruolamento delle “milizie”, in previsione di un eventuale coinvolgimento nel Piano Solo, la commissione accertò l’effettiva attività di reclutamento di ex militari della marina, paracadutisti e carabinieri, del colonnello Rocca durante l’estate del 1963, principalmente in Liguria e Piemonte.
Nel 1994, i magistrati del tribunale militare di Padova, Sergio Dini e Benedetto Roberti, fecero pervenire alla Commissione Parlamentare Stragi un documento sui risultati d’indagine compiuti sulla struttura Gladio, che non potè essere completata perché fu avocata presso il tribunale militare di Roma. In base all’indagine gli indizi portavano ad ipotizzare un rapporto tra l’Ufficio REI e la struttura Gladio. La commissione decise quindi di convocare i due magistrati in seduta pubblica. Dini dichiarò che le attività di arruolamento effettuate da Rocca erano identiche a quelle della struttura Gladio. L’ipotesi della deportazione in una località segreta probabilmente la base di Poglina, nei pressi di Capo Marrargiu, base di addestramento di Gladi), che il colonnello aveva visitato anche in alcune cerimonie, del piano Solo e l’utilizzo della stessa base per l’addestramento dei civili, erano delle coincidenze che lasciavano supporre che Rocca, in quanto persona di fiducia di de Lorenzo, conoscesse approfonditamente la struttura Gladio, o addirittura ne ricevesse una copertura. Roberti sostenne che nell’indagine effettuata, la base di Capo Marrargiu era un campo di addestramento alla strategia della tensione.
inserito da domenico marigliano blogger
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